LEZIONE N. 3
(La Comunità europea e i “frattali” giuridici)
© Roberto Bin – Materiali di diritto dell’UE
La comunità europea non si colloca in nessuna delle due dimensioni descritte nella lezione precedente. Essa non è soltanto e interamente un'organizzazione internazionale, ma d'altra parte neppure è classificabile come una forma di organizzazione statuale. La comunità europea presenta elementi dell'una e dell'altra dimensione, ed è proprio questo a rendere difficile la sua analisi.
La comunità presenta alcune caratteristiche che la fanno assomigliare agli ordinamenti statuali: basti pensare che esiste una Gazzetta ufficiale della comunità in cui si trovano i testi di atti normativi, testi di sentenze e di atti di tipo amministrativo; la stessa corte di giustizia definisce la comunità come un ordinamento che si ispira ai principi dello Stato di diritto e non manca di accennare ai trattati istitutivi come alla "costituzione" dell'ordinamento comunitario, ordinamento nel cui ambito ritiene di poter individuare una gerarchia di norme; così come sembra applicare lo schema della gerarchia alle stesse relazioni tra le norme dell'ordinamento comunitario e le norme dell'ordinamento interno. E tuttavia quando si vanno a leggere le dichiarazioni che escono dal Consiglio europeo - che rappresenta l'organo che riunisce i capi di Stato o di governo degli Stati membri, quindi la rappresentazione più fedele della natura "internazionale" della Comunità - oppure si guarda al dibattito che ha accompagnato i lavori per la predisposizione della proposta di riforma dei Trattati - la "Costituzione europea" - ci si accorge subito che siamo all'interno della dimensione tipica delle organizzazioni internazionali, nelle quali sono sempre gli Stati a parlare e a discutere su un piano di parità la regolazione dei loro affari. Restando alle categorie cognitive che ho descritto nella prima lezione, alle due dimensioni separate e opposte dell'ordinamento internazionale e dell'ordinamento statale, noi dunque non riusciamo a collocare la comunità europea, a descriverne la natura, a spiegarne esattamente le caratteristiche.
È una situazione imbarazzante, ma non affatto infrequente nei tentativi di descrivere secondo categorie scientifiche i fenomeni e le situazioni che la realtà ci propone. Le categorie concettuali sono sempre un'approssimazione rispetto alla realtà, una semplificazione di essa che serve appunto a semplificarla e rendercela più maneggevole. Le forme fisiche che ci circondano, per esempio, noi le abbiamo da più di duemila anni semplificate e ridotte alle "dimensioni" elaborate da Euclide - la retta, la figura piana, il solido. E' attraverso la riduzione della realtà alla "forma" della linea retta (una strada), del rettangolo (un campo) o del cubo (una stanza) che noi siamo soliti "misurare" la realtà che ci circonda; ma nella realtà fisica non esiste nulla che corrisponda perfettamente ad una retta, ad un triangolo o ad un cubo: sono solo semplificazioni che ci fanno comodo. Anche nel diritto avviene qualcosa del genere, ma con una complicazione in più: le costruzioni giuridiche non sono "date" dalla natura, ma sono costruite dall'uomo proprio sotto la guida prescrittiva dei modelli che l'uomo ha elaborato. Lo Stato, per esempio, è qualcosa che viene creata per essere riconosciuta come "stato" e per acquisirne le qualità caratteristiche (la sovranità, la personalità giuridica in campo internazionale, ecc.). Nel mondo della geometria le dimensioni semplificate da Euclide per offrire una rappresentazione matematica delle forme della natura oggi non sono più ritenute sufficienti perché la maggiore capacità di calcolo e il bisogno di maggior definizione nella rappresentazione matematica della realtà hanno comportato l’esigenza di elaborare e calcolare forme che non si riducono alle tradizionali dimensioni di Euclide. Da ciò è nata la cosiddetta "geometria dei frattali", che si occupa di oggetti "la cui dimensione è vuoi una frazione, vuoi un intero "anormale", descrittivo a sua volta di uno stato irregolare o interrotto[1]". Il frattale è una figura di dimensione frazionarie (si pensi ad esempio ad un chicco di neve) che non può essere ridotta alle tradizionali dimensioni euclidee, cioè alla dimensione 1 (la linea retta), 2 (la figura piana ) o 3 (il solido): è una frazione (per es. 1+1/n), che si colloca tra due di queste dimensioni tipiche. Le categorie concettuali che rappresentano le “dimensioni” tipiche nascono dalla mente ordinatrice dell'uomo, i frattali nascono invece dalla casualità dei fenomeni naturali. La comunità europea appartiene a questi secondi. Essa rappresenta qualcosa di almeno parzialmente inedito, un fenomeno che si è sviluppato con un certo tasso di casualità senza una precisa immagine premodellata, senza una forma descrittiva. Da ciò deriva che la comunità europea non è riducibile alle dimensioni tipiche della scienza giuridica tradizionale, ossia alla dimensione 1 (l'organizzazione internazionale), 2 (lo Stato), 3 (l'ente "derivato" - si chiama così perché "deriva" la sua legittimazione dall'unico ente "originario", lo Stato), senza dovere rompere l’unità delle sue attività e diversamente classificarle. È piuttosto "una frazione", qualcosa che si colloca tra la dimensione 1 e la dimensione 2, ma non è riducibile né all'una né all'altra, perché è qualcosa di più della prima e qualcosa di meno della seconda. Insomma, non bastano né gli occhiali del diritto internazionale, né gli occhiali del diritto costituzionale per vederne e distinguerne perfettamente i contorni.
dimensione |
Dimensioni geometriche |
Dimensioni giuridiche |
||
1 |
|
linea retta |
ONU: Organizzazione internazionale |
|
1+1/n "frattale" |
chicco di neve |
Unione europea |
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2 |
rettangolo |
Stato |
||
3 |
parallelopipedo |
regione, provincia, comune |
Ente derivato |
Nel mondo dei diritto le categorie concettuali svolgono però una funzione in parte diversa da quella che esse svolgono nelle scienze "naturali". Quando noi giuristi imputiamo un certo fenomeno ad una categoria, non facciamo una operazione di semplice descrizione e classificazione, perché "sussumere" un evento in una determinata categoria o fattispecie giuridica significa attribuire a quell'evento il determinato regime giuridico proprio di quella categoria o di quella fattispecie. Per esempio, sussumere uno specifico contratto nella categoria della compravendita significa estendere a quel contratto le regole proprie della compravendita. Per questa ragione le categorie concettuali tendono ad assumere non una semplice funzione di descrizione della realtà, ma a produrre prescrizioni, ossia principi e regole che si deducono dalla particolare "natura giuridica" attribuita all'oggetto classificato attraverso l'impiego delle categorie. Perciò bisogna essere molto cauti nel definire la "natura" della comunità europea, assegnarla alla dimensione "stato" o a quella "organizzazione internazionale", perché così si finisce con falsare la rappresentazione del fenomeno che essa rappresenta e a derivare tutta una serie di implicazioni normative che probabilmente forzano la realtà. E' importante invece riconoscerne la natura di " frattale ", cioè di oggetto non riducibile interamente alle categorie tradizionali, ma per la cui spiegazione servono considerazioni diverse. Oltretutto la comunità europea non è una realtà immobile, consolidata, del tutto formata, ma è una forma di organizzazione in via di continuo trasformazione. Non c'è dubbio che essa sia nata nella dimensione 1, cioè come organizzazione internazionale. Se noi prendiamo come riferimento storico l'arco temporale del quinquennio tra il 1948 e il 1951, possiamo constatare un fenomeno assai interessante: in questo periodo infatti vengono istituite numerose organizzazioni internazionali in ambito europeo, quali la UEO – un’organizzazione a scopi prevalentemente difensivi che poi si associa alla NATO – la Convenzione per la cooperazione economica europea che prevedeva l'istituzione dell'OECE, il Consiglio d'Europa, la Comunità europea di difesa (CED) - ambizioso progetto di mettere in comune le forze armate di diversi paesi dell’Europa occidentale – e la prima Comunità europea, la CECA. C'è un forte movimento politico che punta alla costituzione di una federazione europea, ossia di un tipo di organizzazione politica che rientra pienamente nella dimensione 2, cioè tra le “forme di Stato”: in tale dimensione, la “federazione” riconosce al solo Stato centrale le prerogative della sovranità, mentre le relazioni di esso con gli “stati membri” rientrano nelle relazioni tipiche tra la dimensione 2 (lo Stato) e la dimensione 3 (gli enti "derivati") e sono rette da regole federali. Ma, contemporaneamente, c’è anche un forte movimento che guarda alla necessaria riorganizzazione dell’Europa secondo modalità che mantengano la sovranità degli Stati, puntando cioè ad una forma di organizzazione internazionale, magari intensa come la confederazione, figura tipica della dimensione 1.
Come nell'ambito della dimensione 2 l'organizzazione dello Stato può essere più o meno intensa, prevedere cioè un sistema di rapporti più o meno stretti tra lo Stato e gli enti subordinati, così anche nella dimensione 1 i rapporti tra stati sovrani possono essere più o meno stretti, andare per esempio dal semplice accordo di cooperazione economica alla costituzione di un'organizzazione comune a cui gli stati membri riconoscono il potere di imporre obblighi e dove. Le organizzazioni sorte in Europa dopo la seconda guerra mondiale sono tutte compatibili con gli schemi tipici della dimensione 1: vi sono organi comuni che rappresentano i Governi degli stati membri. Vi può essere un organo di tipo arbitrale a cui gli stati demandano le controversie sull'interpretazione dei trattati che l'assoluzione delle eventuali vertenze tra loro. Vi possono essere anche assemblee parlamentari di "secondo livello", ossia composte da persone non elette direttamente ma nominate (nel proprio seno) dai parlamenti nazionali: esse non hanno mai concreti poteri decisionali, limitandosi a svolgere un tenue controllo politico sul programma delle attività e sul rendiconto delle stesse; esse servono essenzialmente, non tanto alla “democratizzazione” dei processi decisionali dell’organizzazione, quanto piuttosto a consentire ai parlamenti nazionali di non perdere interamente il controllo sull’operato dei loro rispettivi esecutivi; non c’è dubbio infatti che le attività svolte dalle organizzazioni internazionali si basano per intero sui Governi degli Stati membri, per cui più l’organizzazione è “attiva”, più gli esecutivi potenziano le loro competenze, a danno delle assemblee parlamentari nazionali, che rischiano di trasformarsi in meri organi di ratifica di decisioni assunte altrove. Di regola poi gli organi di queste organizzazioni (salvo l'assemblea parlamentare) decidono – almeno per le questioni di qualche rilievo - all'unanimità, che è la tipica modalità con cui si relazionano gli stati sovrani nell'ambito delle organizzazioni che essi si danno: sono organizzazioni che sorgono per il libero comune consenso "paritario” e sul libero comune consenso paritario basano il proprio funzionamento.
Sottolineo questo aspetto del cosiddetto "deficit democratico" che caratterizza tutte le organizzazioni internazionali perché esso rappresenta un tema ricorrente, forse anche abusato, nella critica rivolta alla comunità europea. Merita sottolinearlo proprio per evidenziare come sia tipico della politica estera in generale, cioè di tutto ciò che avviene nella dimensione 1, produrre conseguenze sul sistema di governo nazionale, nella dimensione 2. La stessa storia costituzionale ci insegna infatti che proprio la politica estera è stata uno dei terreni di scontro tra le pretese delle assemblee elettive di sottoporre a controllo il potere del sovrano, potere che nella politica estera e nella conduzione delle guerre pretendeva di esprimersi con assolutezza: tutte le costituzioni moderne hanno cercato di ridurre il potere estero degli esecutivi e di estendere su di esso il controllo democratico delle assemblee elettive. Perciò ogni qualvolta uno Stato dia luogo ad una organizzazione internazionale, a cui trasferisce una porzione dei suoi poteri decisionali, diviene immediatamente percepibile l'effetto che si produce sul piano delle relazioni interne tra i poteri costituzionali: le organizzazioni internazionali potenziano il ruolo degli esecutivi, mentre il tentativo di affiancare ad essi un'assemblea di tipo parlamentare attribuendole la funzione di controllo politico produce evidentemente i risultati correttivi di ben poco significato.
Le organizzazioni che si creano in Europa dopo il 1948 rispondono più o meno tutte a questo schema organizzativo. Ma il comune desiderio di creare condizioni di stabilità politica e di cooperazione economica, desiderio dietro al quale c'era anche la pressione degli Stati uniti d'America di ottenere un forte coordinamento economico nella utilizzazione degli aiuti americani per la ricostruzione postbellica, non era di per sé sufficiente a superare le diversità di visione e i conflitti di interesse che esistevano tra i diversi stati. Per ciò, tanto più l'organizzazione si proponeva obiettivi di ampio respiro, tanto più la regola inderogabile della unanimità diventava un ostacolo insuperabile che ne pregiudicava l'efficienza.
Attenzione: per l’analisi di
queste organizzazioni si consulti cronologia e le pagine ad essa collegate
Da questo punto di vista la nascita nel 1951 della comunità
europea del carbone dell'acciaio, comunemente nota come CECA, costituisce una
svolta importante. È un'organizzazione a fini molto limitati, mirati
soprattutto a risolvere il nodo storico strategico dei bacini della Saar e
della Ruhr, per i quali erano scoppiate le due ultime guerre. La comunità nasce
con l'adesione limitata ai due soggetti principalmente coinvolti, Francia e
Germania, nonché all'Italia e ai tre paesi del Benelux (Belgio,
Olanda e Lussemburgo). Ma proprio lo scopo limitato, l'ambito ben definito di
operatività della comunità, ha consentito che in essa si potesse derogare,
almeno per le decisioni più operative, al principio di unanimità. La comunità
ha inoltre un potere normativo e le sue norme hanno la caratteristica di non
rivolgersi soltanto agli stati membri ma di operare direttamente nelle loro
ambito rivolgendosi alle imprese. Questi sono i semi, dai quali sono destinate
a spuntare e crescere le altre istituzioni comunitarie.