CORTE COSTITUZIONALE

  

                           Sent. 39 del 1971

 

    nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 17 e

20  della  legge  16  maggio  1970, n.   281, concernente provvedimenti

finanziari  per  l'attuazione  delle  regioni  a   statuto   ordinario,

promossi:                                                              

    1)  dalla  Regione  della  Lombardia,  con ricorso notificato il 27

agosto 1970, depositato in cancelleria il  5  settembre  successivo  ed

iscritto al n. 11 del registro ricorsi 1970;                           

    2)  dalla  Regione  del Veneto, con ricorso notificato il 31 agosto

1970, depositato in cancelleria il 9 settembre successivo  ed  iscritto

al n. 16 del registro ricorsi 1970;                                    

    3) dalla Regione degli Abruzzi, con ricorso notificato il 2 ottobre

1970,  depositato  in cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 18

del registro ricorsi 1970.                                              

    Visti gli atti di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei

ministri;                                                              

    udito  nell'udienza  pubblica  del  16  dicembre  1970  il  Giudice

relatore Vezio Crisafulli;                                             

    uditi l'avv. Enrico Allorio, per la Regione della Lombardia, l'avv.

Pietro Tranquilli-Leali, per la Regione degli Abruzzi, ed il  sostituto

avvocato  generale  dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del

Consiglio dei ministri.                                                

                          Ritenuto in fatto:                           

    1. - Con ricorso notificato il 27 agosto 1970  e  depositato  il  5

settembre  successivo,  la Giunta regionale della Lombardia, in persona

del suo Presidente, ha impugnato  di  legittimita'  costituzionale  gli

artt.  17  e  20  della  legge  16  maggio  1970,  n.  281, concernente

provvedimenti finanziari  per  l'attuazione  delle  Regioni  a  statuto

ordinario,  per  contrasto  con  gli  articoli  5, 117, 119 e 123 della

Costituzione.                                                          

    Il ricorso muove, anzitutto, dalle premesse che  debbano  ritenersi

invasive  della  sfera  di competenza assegnata dalla Costituzione alla

Regione non soltanto tutte le leggi che disciplinino materie  riservate

alla  competenza statutaria o legislativa di questa, ma altresi' quelle

che pongano all'esercizio di tali competenze regionali limiti ulteriori

rispetto  a  quelli  costituzionalmente  previsti  o   che,   comunque,

impediscano,  ostacolino od indebitamente limitino l'esercizio da parte

della Regione delle  sue  competenze  di  qualsiasi  tipo  (statutarie,

legislative o amministrative).                                         

    E  precisa, poi, in relazione all'art. 17, una prima censura per la

parte in cui questa norma  contiene  il  divieto  dell'esercizio  della

potesta'  legislativa  regionale fino al momento in cui non siano state

emanate da parte dello Stato le corrispondenti  leggi-  cornice  o  non

siano   comunque  trascorsi  due  anni  dalle  elezioni  del  Consiglio

regionale. Il divieto in questione nella sua  formulazione  alternativa

da  un  lato  sembrerebbe  escludere,  e  dall'altro  ammettere  che la

preventiva determinazione dei  principi  fondamentali  stabiliti  dalle

leggi  dello Stato ex art.  117 della Costituzione possa rinvenirsi con

opportuna ricerca ermeneutica nella preesistente legislazione  statale,

senza  necessita'  di  una esplicita e rigorosa enunciazione attraverso

leggi-cornice.                                                         

    Lo stesso art. 17 sarebbe, inoltre, illegittimo nella parte in cui,

dettando i criteri cui il Governo dovra' attenersi nella emanazione dei

decreti delegati per il trasferimento delle funzioni dallo  Stato  alle

Regioni,  prevede che allo Stato restino conservati poteri di indirizzo

e coordinamento nelle materie  attribuite  alle  competenze  regionali:

imponendo,  in  tal  modo,  per  queste  ultime un ulteriore limite non

ammesso dalla Costituzione (cfr. il combinato disposto degli artt.  117

e 118).                                                                 

    L'art.  20,  a  sua  volta, prescrivendo nei commi primo e terzo il

coordinamento del sistema di  classificazione  delle  entrate  e  delle

spese  con  le  norme  della  legge  1  marzo  1964,  n.  62, come pure

l'osservanza delle norme sull'amministrazione del  patrimonio  e  della

contabilita'   dello  Stato,  violerebbe  l'autonomia  normativa  delle

Regioni  in  materia  di  contabilita',  quale  risulta  presupposta  e

garantita   dall'art.  117  della  Costituzione  che  attribuisce  alla

potesta'  legislativa  regionale  la  materia  dell'ordinamento   degli

uffici, nonche' la loro autonomia finanziaria tutelata dall'art. 119.  

    Il  quarto  comma  dell'art.  20,  infine, sarebbe in contrasto con

l'autonomia statutaria prescritta  dall'art.  123  della  Costituzione,

perche' stabilisce la forma di approvazione del bilancio regionale.    

    Le  conclusioni  della  parte  ricorrente sono, pertanto, intese ad

ottenere la declaratoria di incostituzionalita' delle norme anzidette. 

    2. - Anche la Giunta regionale del Veneto, con atto  notificato  il

31  agosto 1970 e depositato il 9 settembre successivo, ha impugnato di

legittimita' costituzionale le  stesse  norme  per  motivi  analoghi  a

quelli  esposti nel ricorso che precede e per contrasto con le medesime

disposizioni della Costituzione.                                       

    Questo ricorso comprende, peraltro, anche l'art.  115 fra le  norme

della    Costituzione   che   risulterebbero   violate   e   prospetta,

relativamente all'art. 17 della citata  legge  n.  281,  una  ulteriore

censura motivata sotto il profilo che tale norma prevede - in contrasto

con  l'art.  117  della  Costituzione  -  il ricorso alla delega per il

passaggio delle funzioni dallo Stato alle Regioni. Quanto all'art.  20,

si deduce la incostituzionalita' anche del secondo comma, di riflesso a

quella del primo e del terzo.                                          

    Le conclusioni sono identiche a quelle del ricorso che precede.    

    3.  -  Un  terzo  ricorso,  promosso  dalla  Giunta regionale degli

Abruzzi con atto notificato il  2  ottobre  1970  e  depositato  il  10

ottobre  successivo, impugna anch'esso con analoga motivazione le norme

innanzi esaminate della legge finanziaria per  le  regioni  ed  estende

inoltre  i  profili  di  illegittimita'  dedotti  anche nei riguardi di

quelle disposizioni dell'art.  17  che  concernono  il  passaggio  alle

regioni  delle  funzioni  amministrative  di  cui  all'art.  118  della

Costituzione,  la  predisposizione  di   vincoli   atti   a   garantire

l'inalienabilita',  l'indisponibilita' e la destinazione di alcuni beni

trasferiti alle Regioni, la previsione di rimedi  contro  l'inattivita'

delle   Regioni   nell'esercizio  di  funzioni  ad  esse  delegate,  il

procedimento per la emanazione dei decreti  delegati  di  concerto  tra

varii ministri.                                                        

    Anche  le  conclusioni di questa Regione sono per la illegittimita'

costituzionale dell'intera normativa in questione.                     

    4. - Si e' costituito in tutti e tre i giudizi  il  Presidente  del

Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale

dello  Stato,  con  atti  depositati  rispettivamente  per  i primi due

ricorsi il 15 settembre 1970 e per il terzo il 21 ottobre successivo.  

    L'Avvocatura dello Stato deduce preliminarmente la inammissibilita'

dei ricorsi, sia perche' tardivi, sia perche' concernenti una legge che

- al pari di quelle n. 62 del 10 febbraio 1953 e n. 108 del 17 febbraio

1968 - deve considerarsi quale vera e propria " matrice" delle  Regioni

e  per  conseguenza  non  impugnabile  direttamente da esse, ad evitare

l'assurda conseguenza che una sua declaratoria  di  incostituzionalita'

finisca  per  travolgere  l'ente  appena costituito, i suoi organi e la

stessa valida proposizione  del  ricorso.  Questo  secondo  profilo  e'

stato,   peraltro,   abbandonato   dall'Avvocatura   nella  discussione

all'udienza.                                                           

    Un terzo motivo di inammissibilita' per le impugnative  dirette  da

parte   delle   Regioni  si  ricaverebbe  poi  dal  disposto  della  IX

disposizione transitoria della Costituzione, che prevede il termine  di

un  triennio  per l'adeguamento delle leggi statali alle esigenze delle

autonomie locali ed alla competenza legislativa regionale.             

    Nel  merito,  l'Avvocatura  oppone  in  generale  alle  censure  di

illegittimita'   dedotte   dalle   Regioni  i  principi  di  unita'  ed

indivisibilita' della Repubblica e la conseguente  soggezione  ad  essa

degli  enti autonomi regionali, secondo quanto dispongono gli artt. 5 e

114 della Costituzione.                                                

    In particolare, con riferimento al temporaneo divieto di  esercizio

della  potesta' legislativa regionale, si invoca, poi, la necessita' di

una indicazione autentica  proveniente  dal  Parlamento  nazionale  dei

principi  fondamentali  enucleabili  per le singole materie: necessita'

non espressamente enunciata, ma chiaramente  desumibile  dall'art.  117

della Costituzione, specialmente se interpretata anche in coordinamento

al disposto delle norme transitorie VIII e IX della Costituzione. Anche

l'aspetto  di incostituzionalita' che attiene all'altra parte dell'art.

17 si rivelerebbe  infondato  di  fronte  alle  esigenze  di  carattere

unitario,  agli  obiettivi  del  programma  economico nazionale ed agli

impegni derivanti dagli obblighi internazionali che  costituiscono  gli

unici  settori  -  tutti di indubbia competenza statuale - nei quali le

attivita' regionali possono subire il lamentato coordinamento.         

    Quanto agli altri profili di illegittimita' prospettati, sempre  in

relazione  all'art.  17,  particolarmente  dalla Giunta regionale degli

Abruzzi, l'Avvocatura osserva che  la  previsione  di  vincoli  per  la

disponibilita'   dei   beni   trasferiti   dallo  Stato  riguarda  solo

determinate categorie di beni ed obbedisce, in funzione degli interessi

generali dello Stato, a criteri di necessita' giuridica e razionalita'.

    Infine, il coordinamento del sistema della  contabilita'  regionale

con  quello  statale  e l'approvazione con legge dei bilanci regionali,

che formano oggetto dell'art. 20 della legge  impugnata,  non  soltanto

possono  considerarsi,  avuto  riguardo  alla  esperienza  anche  delle

regioni a statuto  speciale,  come  espressione  di  principi  generali

dell'ordinamento,  ma trovano - ad avviso dell'Avvocatura dello Stato -

specifico fondamento:  il primo nell'art. 119 della  Costituzione,  che

impone  il  coordinamento tra la finanza regionale e quella statale; la

seconda nella  necessita'  di  una  corrispondenza  di  forma  rispetto

all'esercizio  della  stessa  autonomia legislativa regionale da cui il

bilancio trae la sua origine ed il suo contenuto.                      

    Le conclusioni della parte resistente  sono,  pertanto,  intese  ad

ottenere  una  declaratoria  di  inammissibilita' o di infondatezza dei

ricorsi.                                                               

    5. - Nell'udienza pubblica le difese delle  parti  hanno  insistito

nelle rispettive conclusioni.                                          

                        Considerato in diritto:                        

    1.  -  I  ricorsi delle Regioni della Lombardia, del Veneto e degli

Abruzzi hanno lo stesso  oggetto  e  vanno  percio'  decisi  con  unica

sentenza.                                                              

    2.   -   Non  puo'  essere  accolta  l'eccezione  pregiudiziale  di

inammissibilita' dei ricorsi  perche'  tardivi.  E'  ben  vero  che  il

termine  stabilito  nell'art.  2  della legge costituzionale 9 febbraio

1948, n. 1, ha  carattere  perentorio,  ma  il  problema  che  si  pone

nell'attuale  giudizio,  in  relazione ad una situazione per sua natura

irripetibile, concerne unicamente il dies a quo,  che  non  puo'  farsi

risalire  ad  un  momento  anteriore a quello in cui gli enti regionali

sono diventati, da soggetti virtuali, soggetti  attuali,  in  grado  di

concretamente  operare  e  di agire a tutela dei propri interessi. Cio'

perche' nessun soggetto esisteva per l'innanzi che fosse, ad un  tempo,

legittimato  a  ricorrere  contro leggi statali aventi - come quella in

oggetto  -  specifico  e   diretto   riferimento   alle   regioni,   ed

effettivamente costituito negli organi a cio' competenti.              

    Risponde  pertanto  alla  ratio della menzionata norma dell'art. 2,

nella sua applicazione alla fase di prima  attuazione  dell'ordinamento

regionale,  ritenere  che,  in tal caso, il termine inizi a decorrere -

anziche' dalla  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale  delle  leggi

statali   ritenute   invasive   della   competenza   costituzionalmente

attribuita alle Regioni - dalla data  di  formazione  delle  rispettive

Giunte,  vale  a  dire  degli  organi per ciascuna di esse competenti a

deliberarne la impugnazione.                                           

    3. - Nel merito, la prima censura dei ricorsi si rivolge contro  la

norma  dell'art.  17,  ultimo  comma, della legge n. 281, che subordina

l'esercizio delle funzioni legislative regionali alla previa emanazione

dei decreti legislativi  previsti  dal  primo  comma  per  regolare  il

passaggio  alle Regioni delle funzioni ad esse attribuite sulle materie

di cui all'art. 117 della Costituzione,  ovvero  -  in  mancanza  -  al

decorso  di un biennio dall'entrata in vigore della stessa legge.  Solo

per equivoco, nei ricorsi della Regione della Lombardia e della Regione

del Veneto (a differenza che in quello della Regione degli Abruzzi)  si

fa  questione,  al  riguardo,  di leggi-cornice statali, che dovrebbero

obbligatoriamente precedere l'esplicarsi delle competenze regionali;  e

l'equivoco  trae  probabilmente  origine  dalla  complessa formulazione

dell'intero  contesto  dell'art.  17,  che  sostituisce  in  parte   le

precedenti  disposizioni  dell'art.  9  della  legge  n.  62  del  1953

occupandosi congiuntamente sia delle cosidette leggi-cornice, che erano

in  questa  previste,  sia  dei  decreti   legislativi   regolanti   il

trasferimento  delle funzioni dallo Stato alle Regioni: ai quali ultimi

ha particolare e prevalente riferimento lo stesso art. 17, a cominciare

dal suo primo comma.                                                   

    Mentre, pero', per l'art. 9 della legge del  1953,  leggi-  cornice

erano  pregiudizialmente necessarie - eccezion fatta per alcune materie

indicate nel secondo comma - affinche' le regioni potessero iniziare  a

legiferare,  per  l'art. 17 della legge del 1970 i principi delimitanti

materia per materia la potesta'  legislativa  regionale  possono  anche

desumersi   dalla   legislazione   vigente,   e   possono   altresi'  -

naturalmente, ed anzi preferibilmente - essere  formulati  in  apposite

disposizioni  legislative,  senza  pero'  che  a  queste  sia  comunque

cronologicamente subordinata la legislazione regionale. La quale  viene

tuttavia   condizionata,   ma   ad   altro  e  diverso  presupposto,  e

precisamente al previo trasferimento delle funzioni, a norma della VIII

disposizione transitoria della Costituzione, da effettuarsi con decreti

legislativi sulla base della delegazione contenuta nella  stessa  legge

n.  281,  per  l'esercizio  della  quale e' prescritto il termine di un

biennio.                                                               

    E percio', in conclusione: da un lato, il Governo viene delegato ad

emanare  entro  due  anni  i  decreti  per il passaggio delle funzioni,

dall'altro, l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale  viene

differito  all'intervenuta  emanazione  di  detti  decreti,  ovvero  al

decorso dei due anni; infine,  sempre  entro  il  medesimo  periodo  di

tempo,  e'  stabilito dall'ultimo comma dell'art. 17 che si provveda, a

norma della IX disposizione transitoria della Costituzione, ad adeguare

le  leggi  statali  alle  esigenze  dell'autonomia  e  alle  competenze

legislative  attribuite  alle regioni (nel che puo' ritenersi implicito

un riferimento alla adozione di apposite leggi-cornice).               

    4. - Alla  stregua  dell'art.  9  della  precedente  legge,  nessun

termine  essendo  prefissato  all'adozione  delle  leggi-cornice  e non

essendo neanche prevista la possibilita' per le regioni  di  legiferare

senza  di  queste,  sia  pure  dopo  decorso  un  certo lasso di tempo,

l'esercizio delle potesta' legislative regionali  rischiava  di  essere

procrastinato  sine die, ed era comunque praticamente rimesso alla mera

discrezione del legislatore statale. Con il sistema accolto dalla nuova

legge, invece, le regioni potranno cominciare  a  legiferare  man  mano

che,  entro  i  due  anni, saranno stati emessi i decreti sul passaggio

delle funzioni, e comunque - anche in mancanza di questi - dopo decorso

il biennio. La situazione  appare,  sotto  questo  profilo,  nettamente

diversa.                                                               

    Nella  sostanza,  poi,  la  previsione  della necessita' del previo

trasferimento delle funzioni risponde a criteri di ordine generale  non

dissimili da quelli che stavano a base della necessaria precedenza, per

l'innanzi  stabilita dalla legge del 1953, delle leggi- cornice e cioe'

ad esigenze di certezza nei rapporti tra Stato e regioni, di ordinato e

coordinato svolgimento delle  rispettive  attribuzioni,  di  necessaria

gradualita'  nel  passaggio  da  un  sistema  di organizzazione statale

fortemente accentrato ad uno, per contro, di largo decentramento  anche

a livello legislativo.                                                 

    La  norma  dell'art.  17 tende, insomma, a contemperare il rispetto

dovuto all'autonomia regionale con le  esigenze  unitarie  che  trovano

formale  e  solenne  riconoscimento  nell'art.  5  della  Costituzione,

predisponendo un sistema che non si pone in contrasto con alcuna  norma

della   Costituzione.   Questa,   infatti,  nulla  stabilisce,  neppure

implicitamente,  nell'uno  o  nell'altro   senso,   quanto   ai   tempi

dell'effettiva   assunzione   da   parte   dei   nuovi  enti  regionali

dell'esercizio delle funzioni legislative  ed  amministrative  di  loro

spettanza,   limitandosi,   nella   VIII  disposizione  transitoria,  a

richiedere che sia lo Stato con propri atti legislativi a  regolare  il

trasferimento delle funzioni, oltre che dei funzionari e dipendenti che

si  renda  necessario a tal fine. Il legislatore ordinario era, dunque,

libero, nella sua discrezionalita'  politica,  di  subordinare  o  meno

quell'esercizio   all'avvenuto  trasferimento:  purche'  evidentemente,

entro termini e con modalita' tali da non consentire pretestuosi indugi

ed  ingiustificati  ritardi.  E  si  e'  gia'  detto  poc'anzi  che  il

meccanismo  instaurato  dall'art.  17  della legge impugnata non e', da

questo punto di vista, ne' elusivo ne' arbitrario:  tanto piu'  che  le

Regioni  interessate  sono chiamate a collaborare alla formulazione dei

decreti facendo pervenire le loro osservazioni in merito.              

    La  censura  non  e'  dunque  fondata;  mentre  inammissibile  deve

dichiararsi  l'altra,  fugacemente  accennata nel ricorso della Regione

veneta, e concernente  l'adozione  dello  strumento  della  delegazione

legislativa,  anziche'  di  quello della legge formale, per regolare il

trasferimento   delle   funzioni.      Dato  e  non  concesso  che  sia

configurabile nella  specie  una  violazione  della  VIII  disposizione

transitoria  della  Costituzione  (cio'  che non e', i decreti delegati

essendo pienamente parificati alle  leggi  formali  anche  ai  fini  di

eventuali riserve di legge), le regioni non avrebbero comunque titolo a

denunciarla  in  questa  sede,  perche'  i  soli  vizi  di legittimita'

costituzionale  di  leggi  statali  suscettibili  di   dar   luogo   ad

impugnazione  diretta  sono  quelli  che si risolvono in menomazione di

funzioni, poteri e facolta' costituzionalmente attribuiti alle regioni.

    5. - Infondata e' anche la censura rivolta contro l'art. 17,  lett.

a),  nella  parte  in  cui prevede che, nelle materie trasferite, siano

riservate allo Stato " funzioni di indirizzo e di  coordinamento  delle

attivita'   delle  regioni  che  attengono  ad  esigenze  di  carattere

unitario, anche con riferimento  agli  obiettivi  del  piano  economico

nazionale ed agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali".    

    Il  vero  significato  di  tale  disposizione risulta mettendola in

relazione con quella che subito la segue, nella lett. b), prima  parte,

e  prescrivente che il trasferimento delle funzioni debba avvenire "per

settori Organici di materie": evitando cioe' quel  frazionamento  delle

materie  stesse  che  le Regioni ricorrenti mostrano di temere e che e'

sempre fonte di incertezze e di contestazioni. Conseguentemente a  tale

impostazione,  confermata  dal  recente  dibattito  svoltosi nel Senato

della Repubblica e dall'ordine del giorno votato  a  conclusione  nella

seduta  del  18  dicembre  1970,  la  norma  della  lettera a) tende ad

assicurare tuttavia l'unita' di indirizzo che sia  di  volta  in  volta

richiesto  dal  prevalere  -  conforme  a  Costituzione  -  di esigenze

unitarie, che devono bensi' essere coordinate, ma non sacrificate  agli

interessi  regionali.  Di guisa che, unitariamente interpretato, l'art.

17 vuole che  alle  Regioni  siano  assegnate  per  intero  le  materie

indicate nell'art. 117 della Costituzione; ma vuole, d'altro lato, che,

sia  attraverso  la esplicita enunciazione dei "principi fondamentali",

di cui allo stesso art. 117, sia in altre e diverse forme, che  non  si

risolvano in una preventiva e generale riserva allo Stato di settori di

materie,  lo  svolgimento  concreto  delle  funzioni regionali abbia ad

essere   armonicamente   conforme   agli   interessi   unitari    della

collettivita'  statale:  giacche' le Regioni, lungi dal contrapporvisi,

ne costituiscono articolazioni differenziate. Ed  in  questo  senso  la

norma  denunciata  rappresenta,  per dir cosi', il risvolto positivo di

quel limite generale del rispetto dell'"interesse nazionale e di quello

di  altre  regioni",  che  l'art.  117  espressamente  prescrive   alla

legislazione  regionale  e  cui  e' preordinato il controllo successivo

detto comunemente "di merito", spettante al Parlamento  dietro  ricorso

dello Stato (art. 127 Costituzione).                                   

    E'  superfluo  aggiungere che, qualora, in ipotesi, le disposizioni

che saranno poste al riguardo dai  decreti  delegati  di  trasferimento

delle  funzioni,  travalicando  l'oggetto e gli scopi compatibili con i

poteri costituzionali delle Regioni, fossero  ritenute  invasive  delle

competenze  ad esse spettanti, non sfuggirebbero al sindacato di questa

Corte, davanti alla quale le Regioni sarebbero legittimate ad impugnare

i detti decreti dopo la loro pubblicazione.                            

    6. - Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono  a  dimostrare

la  infondatezza  anche  della censura, mossa senza motivazione alcuna,

dalla Regione degli Abruzzi nei confronti del medesimo art.  17,  nella

parte  relativa  alla  predisposizione  di  vincoli atti a garantire la

inalienabilita',  l'indisponibilita'  e  la destinazione di taluni beni

trasferiti al patrimonio indisponibile delle Regioni, " quando cio' sia

necessario alla tutela degli interessi generali dello Stato in rapporto

alla natura dei beni" (si pensi, a titolo  di  esempio,  all'importanza

delle  foreste  -  che,  appunto,  a  norma  dell'art.  11 della legge,

rientrano tra i beni trasferiti - ai fini della difesa del suolo).  Non

senza  soggiungere  al  riguardo  che  l'art.  119  della  Costituzione

espressamente stabilisce, nel suo ultimo comma, che spetta  alla  legge

dello  Stato  disciplinare  le  "modalita'"  relative  al demanio ed al

patrimonio di ogni Regione.                                            

    7. - Vanno altresi' disattese le censure rivolte all'art. 20, nella

parte in cui  demanda  a  un  decreto  presidenziale  su  proposta  del

ministro  per  il  tesoro  di  provvedere  alla  disciplina dei bilanci

regionali, per coordinarne il sistema delle entrate e delle  spese  con

la  legge 4 marzo 1964, n. 62, stabilendo inoltre che i bilanci debbano

essere approvati con legge.                                            

    Coordinare   non   significa   imporre   artificiose   uniformita',

disconoscendo  le  caratteristiche  peculiari di determinate voci della

finanza regionale (specie quanto alle entrate). D'altronde,  la  stessa

Costituzione,  nell'art.  119,  primo  comma,  garantisce  bensi'  alle

Regioni autonomia finanziaria, ma nelle forme e nei limiti stabiliti da

leggi della Repubblica, "che la coordinano con la finanza dello  Stato,

delle  Provincie  e dei Comuni". E questi, precisamente, sono la ragion

d'essere ed il contenuto delle  disposizioni  impugnate  dalle  Regioni

ricorrenti.                                                            

    Per   quanto  piu'  particolarmente  riguarda,  poi,  la  forma  di

approvazione  del  bilancio  regionale,  nulla  essendo   disposto   in

proposito  dalla  Costituzione,  la  legge non ha fatto che estendere a

tutte le Regioni, anche a statuto ordinario, un principio generale gia'

operante per quelle a  statuto  speciale,  che  ben  si  giustifica  in

considerazione  delle  analogie  -  di  certo  prevalenti rispetto agli

elementi differenziali - tra i bilanci regionali e  il  bilancio  dello

Stato. Non ne risulta violata l'autonomia finanziaria delle Regioni per

il  motivo  gia'  detto  che  questa si esplica, a norma dell'art. 119,

nelle forme e nei limiti stabiliti  dalle  leggi  dello  Stato.  E  per

questa  medesima  ragione  non  vale  invocare  l'autonomia statutaria,

poiche' per quanto restrittivamente si interpreti il richiamo dell'art.

123 alle leggi della Repubblica, sicuramente vi  rientrano  quelle  cui

espressamente  rinviano  disposizioni comprese nel Titolo V della Parte

II del testo costituzionale, com'e' il caso appunto, dell'art.  119.   

    E' appena necessario, infine,  rilevare  come  la  forma  richiesta

assolva  qui  ad una precisa funzione di garanzia, ponendosi la legge -

nei confronti  dell'attivita'  amministrativa  regionale  svolta  dalla

Giunta  ex  art.  121,  terzo  comma, della Costituzione - quale limite

esterno insuperabile e giuridicamente vincolante.                      

    8. - Le Regioni ricorrenti lamentano anche, sempre con  riferimento

all'art.  20,  che  sia  ad esse imposta l'osservanza delle norme delle

leggi statali sull'amministrazione del patrimonio e sulla  contabilita'

di  Stato,  "in  quanto  applicabili" e fino a quando non saranno state

emanate in materia " leggi della Repubblica".                          

    La censura  e'  priva  di  fondamento,  perche'  siffatto  obbligo,

stabilito   in  linea  meramente  provvisoria,  mentre  corrisponde  ad

esigenze pratiche incontestabili, e' conforme al principio generale che

le leggi statali seguitano  ad  essere  validamente  applicabili  nelle

Regioni  finche'  queste  non  abbiano legiferato sulle materie di loro

competenza.                                                            

    Per quanto riguarda poi, piu' particolarmente,  la  previsione  del

terzo  comma  di future leggi "della Repubblica", questa deve ritenersi

circoscritta a leggi statali contenenti disposizioni di  coordinamento,

da   adottarsi   a   norma   dell'ultimo   comma  dell'art.  119  della

Costituzione, nel senso che si e' sopra  precisato  al  punto  7  della

motivazione.  Fermo  restando che - come questa Corte ha gia' affermato

con la sentenza n. 107 del 1970, sebbene con riguardo ad una regione  a

statuto  speciale  -  la potesta' di disciplinare l'amministrazione del

patrimonio  e  la  contabilita'  regionale  rientra  nella   competenza

legislativa  spettante  a  tutte le regioni sull'ordinamento dei propri

uffici, e percio', quanto  alle  regioni  a  statuto  ordinario,  nella

competenza  bipartita prevista dall'art. 117 della Costituzione alinea,

e dovra' quindi esercitarsi entro i limiti dei principi e  delle  norme

di coordinamento della legislazione statale.                           

                           PER QUESTI MOTIVI                           

                        LA CORTE COSTITUZIONALE                        

    dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale

proposta dalla Regione veneta  nei  confronti  dell'articolo  17  della

legge  16  maggio  1970,  n.  281, recante provvedimenti finanziari per

l'attuazione delle Regioni a statuto  ordinario,  nella  parte  in  cui

prevede  il  ricorso  alla delegazione legislativa per il trasferimento

delle funzioni;                                                        

    dichiara non fondata, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione,

la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli  artt.

115,  117  e  119  della Costituzione, dell'art. 20, terzo comma, della

legge medesima;                                                        

    dichiara  non  fondate   le   altre   questioni   di   legittimita'

costituzionale  proposte con i ricorsi di cui in epigrafe nei confronti

degli artt. 17 e 20 della legge medesima,  in  riferimento  agli  artt.

115, 117, 118, 119 e 123 della Costituzione.                           

    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,

Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1971.                           

                                  GIUSEPPE BRANCA - MICHELE  FRAGALI  -

                                  COSTANTINO    MORTATI    -   GIUSEPPE

                                  CHIARELLI   -   GIUSEPPE   VERZI'   -

                                  GIOVANNI    BATTISTA    BENEDETTI   -

                                  FRANCESCO  PAOLO  BONIFACIO  -  LUIGI

                                  OGGIONI  -  ANGELO  DE MARCO - ERCOLE

                                  ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA - VINCENZO

                                  MICHELE TRIMARCHI - VEZIO  CRISAFULLI

                                  - NICOLA REALE - PAOLO ROSSI.