CORTE COSTITUZIONALE
Sent.
39 del 1971
nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 17 e
20
della legge 16
maggio 1970, n. 281, concernente provvedimenti
finanziari per l'attuazione delle
regioni a statuto
ordinario,
promossi:
1) dalla Regione
della Lombardia, con ricorso notificato il 27
agosto 1970, depositato in cancelleria
il 5
settembre successivo ed
iscritto al n. 11 del registro ricorsi
1970;
2) dalla Regione
del Veneto, con ricorso notificato il 31 agosto
1970, depositato in cancelleria il 9
settembre successivo ed iscritto
al n. 16 del registro ricorsi 1970;
3) dalla Regione degli Abruzzi, con ricorso notificato il 2 ottobre
1970,
depositato in cancelleria il 10
successivo ed iscritto al n. 18
del registro ricorsi 1970.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio
dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica
del 16 dicembre 1970 il
Giudice
relatore Vezio Crisafulli;
uditi l'avv. Enrico Allorio, per la Regione della Lombardia, l'avv.
Pietro Tranquilli-Leali, per la Regione
degli Abruzzi, ed il sostituto
avvocato
generale dello Stato Michele
Savarese, per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con ricorso notificato il 27 agosto 1970 e depositato il 5
settembre
successivo, la Giunta regionale
della Lombardia, in persona
del suo Presidente, ha impugnato di
legittimita' costituzionale gli
artt.
17 e 20 della legge
16 maggio 1970,
n. 281, concernente
provvedimenti finanziari per
l'attuazione delle Regioni
a statuto
ordinario, per contrasto con
gli articoli 5, 117, 119 e 123 della
Costituzione.
Il ricorso muove, anzitutto, dalle premesse che debbano
ritenersi
invasive
della sfera di competenza assegnata dalla Costituzione
alla
Regione non soltanto tutte le leggi che
disciplinino materie riservate
alla
competenza statutaria o legislativa di questa, ma altresi' quelle
che pongano all'esercizio di tali competenze
regionali limiti ulteriori
rispetto
a quelli costituzionalmente previsti o che,
comunque,
impediscano, ostacolino od indebitamente limitino l'esercizio da parte
della Regione delle sue
competenze di qualsiasi
tipo (statutarie,
legislative o amministrative).
E precisa, poi, in relazione
all'art. 17, una prima censura per la
parte in cui questa norma contiene
il divieto dell'esercizio della
potesta'
legislativa regionale fino al
momento in cui non siano state
emanate da parte dello Stato le
corrispondenti leggi- cornice
o non
siano
comunque trascorsi due
anni dalle elezioni
del Consiglio
regionale. Il divieto in questione nella
sua formulazione alternativa
da
un lato sembrerebbe
escludere, e dall'altro
ammettere che la
preventiva determinazione dei principi
fondamentali stabiliti dalle
leggi
dello Stato ex art. 117 della
Costituzione possa rinvenirsi con
opportuna ricerca ermeneutica nella
preesistente legislazione statale,
senza
necessita' di una esplicita e rigorosa enunciazione
attraverso
leggi-cornice.
Lo stesso art. 17 sarebbe, inoltre, illegittimo nella parte in cui,
dettando i criteri cui il Governo dovra'
attenersi nella emanazione dei
decreti delegati per il trasferimento
delle funzioni dallo Stato alle
Regioni,
prevede che allo Stato restino conservati poteri di indirizzo
e coordinamento nelle materie attribuite
alle competenze regionali:
imponendo, in tal modo,
per queste ultime un ulteriore limite non
ammesso dalla Costituzione (cfr. il
combinato disposto degli artt. 117
e 118).
L'art. 20, a
sua volta, prescrivendo nei
commi primo e terzo il
coordinamento del sistema di classificazione delle entrate e
delle
spese
con le norme della legge
1 marzo 1964,
n. 62, come pure
l'osservanza delle norme
sull'amministrazione del
patrimonio e della
contabilita' dello Stato, violerebbe
l'autonomia normativa delle
Regioni
in materia di
contabilita', quale risulta
presupposta e
garantita dall'art. 117 della
Costituzione che attribuisce
alla
potesta'
legislativa regionale la
materia dell'ordinamento degli
uffici, nonche' la loro autonomia
finanziaria tutelata dall'art. 119.
Il quarto comma
dell'art. 20, infine, sarebbe in contrasto con
l'autonomia statutaria prescritta dall'art.
123 della Costituzione,
perche' stabilisce la forma di
approvazione del bilancio regionale.
Le conclusioni della
parte ricorrente sono, pertanto,
intese ad
ottenere la declaratoria di
incostituzionalita' delle norme anzidette.
2. - Anche la Giunta regionale del Veneto, con atto notificato
il
31
agosto 1970 e depositato il 9 settembre successivo, ha impugnato di
legittimita' costituzionale le stesse
norme per motivi
analoghi a
quelli
esposti nel ricorso che precede e per contrasto con le medesime
disposizioni della Costituzione.
Questo ricorso comprende, peraltro, anche l'art. 115 fra le
norme
della
Costituzione che risulterebbero violate e prospetta,
relativamente all'art. 17 della
citata legge n. 281, una
ulteriore
censura motivata sotto il profilo che tale
norma prevede - in contrasto
con
l'art. 117 della
Costituzione - il ricorso alla delega per il
passaggio delle funzioni dallo Stato alle
Regioni. Quanto all'art. 20,
si deduce la incostituzionalita' anche del
secondo comma, di riflesso a
quella del primo e del terzo.
Le conclusioni sono identiche a quelle del ricorso che precede.
3. - Un terzo ricorso,
promosso dalla Giunta regionale degli
Abruzzi con atto notificato il 2
ottobre 1970 e
depositato il 10
ottobre
successivo, impugna anch'esso con analoga motivazione le norme
innanzi esaminate della legge finanziaria
per le
regioni ed estende
inoltre
i profili di
illegittimita' dedotti anche nei riguardi di
quelle disposizioni dell'art. 17
che concernono il
passaggio alle
regioni
delle funzioni amministrative di cui all'art.
118 della
Costituzione, la predisposizione di
vincoli atti a
garantire
l'inalienabilita', l'indisponibilita' e la destinazione di
alcuni beni
trasferiti alle Regioni, la previsione di
rimedi contro l'inattivita'
delle
Regioni nell'esercizio di
funzioni ad esse
delegate, il
procedimento per la emanazione dei
decreti delegati di
concerto tra
varii ministri.
Anche le conclusioni di questa Regione sono per la
illegittimita'
costituzionale dell'intera normativa in
questione.
4. - Si e' costituito in tutti e tre i giudizi il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale
dello
Stato, con atti
depositati rispettivamente per
i primi due
ricorsi il 15 settembre 1970 e per il
terzo il 21 ottobre successivo.
L'Avvocatura dello Stato deduce preliminarmente la inammissibilita'
dei ricorsi, sia perche' tardivi, sia
perche' concernenti una legge che
- al pari di quelle n. 62 del 10 febbraio
1953 e n. 108 del 17 febbraio
1968 - deve considerarsi quale vera e
propria " matrice" delle
Regioni
e
per conseguenza non
impugnabile direttamente da
esse, ad evitare
l'assurda conseguenza che una sua
declaratoria di incostituzionalita'
finisca
per travolgere l'ente
appena costituito, i suoi organi e la
stessa valida proposizione del
ricorso. Questo secondo
profilo e'
stato,
peraltro, abbandonato dall'Avvocatura nella discussione
all'udienza.
Un terzo motivo di inammissibilita' per le impugnative dirette
da
parte
delle Regioni si
ricaverebbe poi dal
disposto della IX
disposizione transitoria della
Costituzione, che prevede il termine di
un
triennio per l'adeguamento delle
leggi statali alle esigenze delle
autonomie locali ed alla competenza
legislativa regionale.
Nel merito, l'Avvocatura oppone in generale
alle censure di
illegittimita' dedotte dalle Regioni
i principi di
unita' ed
indivisibilita' della Repubblica e la
conseguente soggezione ad
essa
degli
enti autonomi regionali, secondo quanto dispongono gli artt. 5 e
114 della Costituzione.
In particolare, con riferimento al temporaneo divieto di esercizio
della
potesta' legislativa regionale, si invoca, poi, la necessita' di
una indicazione autentica proveniente
dal Parlamento nazionale
dei
principi
fondamentali enucleabili per le singole materie: necessita'
non espressamente enunciata, ma
chiaramente desumibile dall'art.
117
della Costituzione, specialmente se
interpretata anche in coordinamento
al disposto delle norme transitorie VIII e
IX della Costituzione. Anche
l'aspetto
di incostituzionalita' che attiene all'altra parte dell'art.
17 si rivelerebbe infondato
di fronte alle
esigenze di carattere
unitario,
agli obiettivi del
programma economico nazionale ed
agli
impegni derivanti dagli obblighi
internazionali che costituiscono gli
unici
settori - tutti di indubbia competenza statuale - nei
quali le
attivita' regionali possono subire il
lamentato coordinamento.
Quanto agli altri profili di illegittimita' prospettati, sempre in
relazione
all'art. 17, particolarmente dalla Giunta regionale degli
Abruzzi, l'Avvocatura osserva che la
previsione di vincoli
per la
disponibilita' dei beni trasferiti dallo Stato riguarda
solo
determinate categorie di beni ed
obbedisce, in funzione degli interessi
generali dello Stato, a criteri di
necessita' giuridica e razionalita'.
Infine, il coordinamento del sistema della contabilita' regionale
con
quello statale e l'approvazione con legge dei bilanci
regionali,
che formano oggetto dell'art. 20 della
legge impugnata, non
soltanto
possono
considerarsi, avuto riguardo
alla esperienza anche
delle
regioni a statuto speciale,
come espressione di
principi generali
dell'ordinamento, ma trovano - ad avviso dell'Avvocatura dello
Stato -
specifico fondamento: il primo nell'art. 119 della Costituzione, che
impone
il coordinamento tra la finanza
regionale e quella statale; la
seconda nella necessita' di una
corrispondenza di forma
rispetto
all'esercizio della stessa autonomia legislativa regionale da cui il
bilancio trae la sua origine ed il suo
contenuto.
Le conclusioni della parte resistente
sono, pertanto, intese
ad
ottenere
una declaratoria di
inammissibilita' o di infondatezza dei
ricorsi.
5. - Nell'udienza pubblica le difese delle parti hanno insistito
nelle rispettive conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - I ricorsi delle Regioni
della Lombardia, del Veneto e degli
Abruzzi hanno lo stesso oggetto
e vanno percio'
decisi con unica
sentenza.
2. - Non puo' essere
accolta l'eccezione pregiudiziale di
inammissibilita' dei ricorsi perche'
tardivi. E' ben
vero che il
termine
stabilito nell'art. 2
della legge costituzionale 9 febbraio
1948, n. 1, ha carattere
perentorio, ma il
problema che si
pone
nell'attuale giudizio, in relazione ad una situazione per sua natura
irripetibile, concerne unicamente il dies
a quo, che non puo' farsi
risalire
ad un momento anteriore a
quello in cui gli enti regionali
sono diventati, da soggetti virtuali,
soggetti attuali, in
grado di
concretamente operare e di agire a tutela dei propri interessi. Cio'
perche' nessun soggetto esisteva per
l'innanzi che fosse, ad un tempo,
legittimato a ricorrere contro leggi statali aventi - come quella in
oggetto
- specifico e
diretto riferimento alle
regioni, ed
effettivamente costituito negli organi a
cio' competenti.
Risponde pertanto alla
ratio della menzionata norma dell'art. 2,
nella sua applicazione alla fase di
prima attuazione dell'ordinamento
regionale, ritenere che, in tal caso, il termine inizi a decorrere -
anziche' dalla pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale delle leggi
statali
ritenute invasive della
competenza costituzionalmente
attribuita alle Regioni - dalla data di
formazione delle rispettive
Giunte,
vale a dire degli organi per ciascuna di esse competenti a
deliberarne la impugnazione.
3. - Nel merito, la prima censura dei ricorsi si rivolge contro la
norma
dell'art. 17, ultimo
comma, della legge n. 281, che subordina
l'esercizio delle funzioni legislative
regionali alla previa emanazione
dei decreti legislativi previsti
dal primo comma
per regolare il
passaggio
alle Regioni delle funzioni ad esse attribuite sulle materie
di cui all'art. 117 della
Costituzione, ovvero -
in mancanza - al
decorso
di un biennio dall'entrata in vigore della stessa legge. Solo
per equivoco, nei ricorsi della Regione
della Lombardia e della Regione
del Veneto (a differenza che in quello
della Regione degli Abruzzi) si
fa
questione, al riguardo,
di leggi-cornice statali, che dovrebbero
obbligatoriamente precedere l'esplicarsi
delle competenze regionali; e
l'equivoco trae probabilmente origine
dalla complessa formulazione
dell'intero contesto dell'art. 17,
che sostituisce in
parte le
precedenti disposizioni
dell'art. 9 della
legge n. 62
del 1953
occupandosi congiuntamente sia delle
cosidette leggi-cornice, che erano
in
questa previste, sia
dei decreti legislativi regolanti il
trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni: ai quali ultimi
ha particolare e prevalente riferimento lo
stesso art. 17, a cominciare
dal suo primo comma.
Mentre, pero', per l'art. 9 della legge del 1953, leggi- cornice
erano
pregiudizialmente necessarie - eccezion fatta per alcune materie
indicate nel secondo comma - affinche' le
regioni potessero iniziare a
legiferare, per l'art. 17 della legge
del 1970 i principi delimitanti
materia per materia la potesta' legislativa
regionale possono anche
desumersi dalla legislazione vigente,
e possono altresi'
-
naturalmente, ed anzi preferibilmente -
essere formulati in
apposite
disposizioni legislative, senza pero'
che a queste sia comunque
cronologicamente subordinata la
legislazione regionale. La quale viene
tuttavia
condizionata, ma ad
altro e diverso
presupposto, e
precisamente al previo trasferimento delle
funzioni, a norma della VIII
disposizione transitoria della
Costituzione, da effettuarsi con decreti
legislativi sulla base della delegazione
contenuta nella stessa legge
n.
281, per l'esercizio
della quale e' prescritto il termine
di un
biennio.
E percio', in conclusione: da un lato, il Governo viene delegato ad
emanare
entro due anni
i decreti per il passaggio delle funzioni,
dall'altro, l'esercizio della
potesta' legislativa regionale
viene
differito
all'intervenuta emanazione di
detti decreti, ovvero
al
decorso dei due anni; infine, sempre
entro il medesimo
periodo di
tempo,
e' stabilito dall'ultimo comma
dell'art. 17 che si provveda, a
norma della IX disposizione transitoria
della Costituzione, ad adeguare
le
leggi statali alle
esigenze dell'autonomia e
alle competenze
legislative attribuite alle regioni
(nel che puo' ritenersi implicito
un riferimento alla adozione di apposite
leggi-cornice).
4. - Alla stregua dell'art.
9 della precedente
legge, nessun
termine
essendo prefissato all'adozione delle leggi-cornice e non
essendo neanche prevista la possibilita'
per le regioni di legiferare
senza
di queste, sia
pure dopo decorso
un certo lasso di tempo,
l'esercizio delle potesta' legislative
regionali rischiava di
essere
procrastinato sine die, ed era comunque praticamente rimesso alla mera
discrezione del legislatore statale. Con
il sistema accolto dalla nuova
legge, invece, le regioni potranno
cominciare a legiferare man mano
che,
entro i due
anni, saranno stati emessi i decreti sul passaggio
delle funzioni, e comunque - anche in
mancanza di questi - dopo decorso
il biennio. La situazione appare,
sotto questo profilo,
nettamente
diversa.
Nella sostanza, poi,
la previsione della necessita' del previo
trasferimento delle funzioni risponde a
criteri di ordine generale non
dissimili da quelli che stavano a base
della necessaria precedenza, per
l'innanzi
stabilita dalla legge del 1953, delle leggi- cornice e cioe'
ad esigenze di certezza nei rapporti tra
Stato e regioni, di ordinato e
coordinato svolgimento delle rispettive
attribuzioni, di necessaria
gradualita' nel passaggio da
un sistema di organizzazione statale
fortemente accentrato ad uno, per contro,
di largo decentramento anche
a livello legislativo.
La norma dell'art.
17 tende, insomma, a contemperare il rispetto
dovuto all'autonomia regionale con le esigenze
unitarie che trovano
formale
e solenne riconoscimento nell'art. 5 della
Costituzione,
predisponendo un sistema che non si pone
in contrasto con alcuna norma
della
Costituzione. Questa, infatti,
nulla stabilisce, neppure
implicitamente, nell'uno o nell'altro
senso, quanto ai
tempi
dell'effettiva assunzione da parte
dei nuovi enti
regionali
dell'esercizio delle funzioni
legislative ed amministrative di loro
spettanza, limitandosi, nella VIII
disposizione transitoria, a
richiedere che sia lo Stato con propri
atti legislativi a regolare il
trasferimento delle funzioni, oltre che
dei funzionari e dipendenti che
si
renda necessario a tal fine. Il
legislatore ordinario era, dunque,
libero, nella sua discrezionalita' politica,
di subordinare o
meno
quell'esercizio all'avvenuto
trasferimento: purche' evidentemente,
entro termini e con modalita' tali da non
consentire pretestuosi indugi
ed
ingiustificati ritardi. E
si e' gia' detto poc'anzi
che il
meccanismo instaurato dall'art. 17
della legge impugnata non e', da
questo punto di vista, ne' elusivo ne'
arbitrario: tanto piu' che
le
Regioni
interessate sono chiamate a
collaborare alla formulazione dei
decreti facendo pervenire le loro
osservazioni in merito.
La censura non
e' dunque fondata;
mentre inammissibile deve
dichiararsi l'altra, fugacemente accennata nel ricorso della Regione
veneta, e concernente l'adozione
dello strumento della
delegazione
legislativa, anziche' di quello della legge formale, per regolare il
trasferimento delle funzioni. Dato
e non concesso che sia
configurabile nella specie
una violazione della
VIII disposizione
transitoria della Costituzione (cio'
che non e', i decreti delegati
essendo pienamente parificati alle leggi
formali anche ai
fini di
eventuali riserve di legge), le regioni
non avrebbero comunque titolo a
denunciarla in questa sede,
perche' i soli
vizi di legittimita'
costituzionale di leggi statali
suscettibili di dar
luogo ad
impugnazione diretta sono quelli
che si risolvono in menomazione di
funzioni, poteri e facolta'
costituzionalmente attribuiti alle regioni.
5. - Infondata e' anche la censura rivolta contro l'art. 17, lett.
a),
nella parte in
cui prevede che, nelle materie trasferite, siano
riservate allo Stato " funzioni di
indirizzo e di coordinamento delle
attivita' delle regioni che
attengono ad esigenze
di carattere
unitario, anche con riferimento agli
obiettivi del piano
economico
nazionale ed agli impegni derivanti dagli
obblighi internazionali".
Il vero significato
di tale disposizione risulta mettendola in
relazione con quella che subito la segue,
nella lett. b), prima parte,
e
prescrivente che il trasferimento delle funzioni debba avvenire
"per
settori Organici di materie":
evitando cioe' quel frazionamento delle
materie
stesse che le Regioni ricorrenti mostrano di temere e
che e'
sempre fonte di incertezze e di
contestazioni. Conseguentemente a tale
impostazione, confermata dal recente
dibattito svoltosi nel Senato
della Repubblica e dall'ordine del giorno
votato a conclusione nella
seduta
del 18 dicembre 1970, la
norma della lettera a) tende ad
assicurare tuttavia l'unita' di indirizzo
che sia di volta in volta
richiesto
dal prevalere -
conforme a Costituzione - di esigenze
unitarie, che devono bensi' essere
coordinate, ma non sacrificate agli
interessi
regionali. Di guisa che,
unitariamente interpretato, l'art.
17 vuole che alle Regioni siano
assegnate per intero
le materie
indicate nell'art. 117 della Costituzione;
ma vuole, d'altro lato, che,
sia
attraverso la esplicita
enunciazione dei "principi fondamentali",
di cui allo stesso art. 117, sia in altre
e diverse forme, che non si
risolvano in una preventiva e generale
riserva allo Stato di settori di
materie,
lo svolgimento concreto
delle funzioni regionali abbia
ad
essere
armonicamente conforme agli
interessi unitari della
collettivita' statale: giacche' le
Regioni, lungi dal contrapporvisi,
ne costituiscono articolazioni
differenziate. Ed in questo
senso la
norma
denunciata rappresenta, per dir cosi', il risvolto positivo di
quel limite generale del rispetto
dell'"interesse nazionale e di quello
di
altre regioni", che
l'art. 117 espressamente prescrive alla
legislazione regionale e cui
e' preordinato il controllo successivo
detto comunemente "di merito",
spettante al Parlamento dietro ricorso
dello Stato (art. 127 Costituzione).
E' superfluo aggiungere che, qualora, in ipotesi, le
disposizioni
che saranno poste al riguardo dai decreti
delegati di trasferimento
delle
funzioni, travalicando l'oggetto e gli scopi compatibili con i
poteri costituzionali delle Regioni,
fossero ritenute invasive
delle
competenze ad esse spettanti, non sfuggirebbero al sindacato di questa
Corte, davanti alla quale le Regioni
sarebbero legittimate ad impugnare
i detti decreti dopo la loro
pubblicazione.
6. - Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono a
dimostrare
la
infondatezza anche della censura, mossa senza motivazione
alcuna,
dalla Regione degli Abruzzi nei confronti
del medesimo art. 17, nella
parte
relativa alla predisposizione di vincoli atti a
garantire la
inalienabilita', l'indisponibilita' e la destinazione di taluni beni
trasferiti al patrimonio indisponibile
delle Regioni, " quando cio' sia
necessario alla tutela degli interessi
generali dello Stato in rapporto
alla natura dei beni" (si pensi, a
titolo di esempio, all'importanza
delle
foreste - che,
appunto, a norma
dell'art. 11 della legge,
rientrano tra i beni trasferiti - ai fini
della difesa del suolo). Non
senza
soggiungere al riguardo
che l'art. 119
della Costituzione
espressamente stabilisce, nel suo ultimo
comma, che spetta alla legge
dello
Stato disciplinare le
"modalita'" relative al demanio ed al
patrimonio di ogni Regione.
7. - Vanno altresi' disattese le censure rivolte all'art. 20, nella
parte in cui demanda a un
decreto presidenziale su
proposta del
ministro
per il tesoro di provvedere
alla disciplina dei bilanci
regionali, per coordinarne il sistema
delle entrate e delle spese con
la
legge 4 marzo 1964, n. 62, stabilendo inoltre che i bilanci debbano
essere approvati con legge.
Coordinare non significa
imporre artificiose uniformita',
disconoscendo le caratteristiche peculiari di determinate voci della
finanza regionale (specie quanto alle
entrate). D'altronde, la stessa
Costituzione, nell'art. 119, primo
comma, garantisce bensi'
alle
Regioni autonomia finanziaria, ma nelle
forme e nei limiti stabiliti da
leggi della Repubblica, "che la
coordinano con la finanza dello Stato,
delle
Provincie e dei Comuni". E
questi, precisamente, sono la ragion
d'essere ed il contenuto delle disposizioni impugnate dalle Regioni
ricorrenti.
Per quanto piu'
particolarmente riguarda, poi,
la forma di
approvazione del bilancio regionale,
nulla essendo disposto
in
proposito
dalla Costituzione, la
legge non ha fatto che estendere a
tutte le Regioni, anche a statuto
ordinario, un principio generale gia'
operante per quelle a statuto
speciale, che ben
si giustifica in
considerazione delle analogie -
di certo prevalenti rispetto agli
elementi differenziali - tra i bilanci
regionali e il bilancio
dello
Stato. Non ne risulta violata l'autonomia
finanziaria delle Regioni per
il
motivo gia' detto
che questa si esplica, a norma
dell'art. 119,
nelle forme e nei limiti stabiliti dalle
leggi dello Stato.
E per
questa
medesima ragione non
vale invocare l'autonomia statutaria,
poiche' per quanto restrittivamente si
interpreti il richiamo dell'art.
123 alle leggi della Repubblica,
sicuramente vi rientrano quelle
cui
espressamente rinviano disposizioni
comprese nel Titolo V della Parte
II del testo costituzionale, com'e' il
caso appunto, dell'art. 119.
E' appena necessario, infine,
rilevare come la
forma richiesta
assolva
qui ad una precisa funzione di
garanzia, ponendosi la legge -
nei confronti dell'attivita'
amministrativa regionale svolta
dalla
Giunta
ex art. 121,
terzo comma, della Costituzione
- quale limite
esterno insuperabile e giuridicamente
vincolante.
8. - Le Regioni ricorrenti lamentano anche, sempre con riferimento
all'art.
20, che sia
ad esse imposta l'osservanza delle norme delle
leggi statali sull'amministrazione del
patrimonio e sulla contabilita'
di
Stato, "in quanto
applicabili" e fino a quando non saranno state
emanate in materia " leggi della
Repubblica".
La censura e' priva
di fondamento, perche'
siffatto obbligo,
stabilito in linea meramente
provvisoria, mentre corrisponde
ad
esigenze pratiche incontestabili, e'
conforme al principio generale che
le leggi statali seguitano ad
essere validamente applicabili
nelle
Regioni
finche' queste non
abbiano legiferato sulle materie di loro
competenza.
Per quanto riguarda poi, piu' particolarmente, la previsione del
terzo
comma di future leggi
"della Repubblica", questa deve ritenersi
circoscritta a leggi statali contenenti
disposizioni di coordinamento,
da
adottarsi a norma
dell'ultimo comma dell'art.
119 della
Costituzione, nel senso che si e'
sopra precisato al
punto 7 della
motivazione. Fermo restando che - come
questa Corte ha gia' affermato
con la sentenza n. 107 del 1970, sebbene
con riguardo ad una regione a
statuto
speciale - la potesta' di disciplinare
l'amministrazione del
patrimonio e la contabilita' regionale rientra nella
competenza
legislativa spettante a tutte le regioni sull'ordinamento dei propri
uffici, e percio', quanto alle
regioni a statuto
ordinario, nella
competenza bipartita prevista dall'art. 117 della Costituzione alinea,
e dovra' quindi esercitarsi entro i limiti
dei principi e delle norme
di coordinamento della legislazione
statale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la
questione di legittimita' costituzionale
proposta dalla Regione veneta nei
confronti dell'articolo 17
della
legge
16 maggio 1970,
n. 281, recante provvedimenti finanziari
per
l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario,
nella parte in
cui
prevede
il ricorso alla delegazione legislativa per il
trasferimento
delle funzioni;
dichiara non fondata, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione,
la questione di legittimita'
costituzionale, in riferimento agli
artt.
115,
117 e 119 della Costituzione,
dell'art. 20, terzo comma, della
legge medesima;
dichiara non fondate
le altre questioni
di legittimita'
costituzionale proposte con i ricorsi di cui in epigrafe nei confronti
degli artt. 17 e 20 della legge
medesima, in riferimento agli artt.
115, 117, 118, 119 e 123 della
Costituzione.
Cosi' deciso in
Roma, nella sede
della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 febbraio
1971.
GIUSEPPE BRANCA - MICHELE FRAGALI
-
COSTANTINO MORTATI
- GIUSEPPE
CHIARELLI -
GIUSEPPE VERZI' -
GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI -
FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO - LUIGI
OGGIONI -
ANGELO DE MARCO - ERCOLE
ROCCHETTI - ENZO CAPALOZZA -
VINCENZO
MICHELE TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI
- NICOLA REALE - PAOLO
ROSSI.