Sentenza “Faccini Dori” – C-91/92

 

22 Basti rilevare al riguardo che, come discende dalla sentenza 26 febbraio 1986, Marshall, già citata (punti 48 e 49), la giurisprudenza sulla possibilità di far valere direttive nei confronti degli enti statali è fondata sulla natura cogente attribuita alla direttiva dall' art. 189, natura cogente che esiste solo nei confronti dello "Stato membro cui è rivolta". Detta giurisprudenza mira ad evitare che uno "Stato possa trarre vantaggio dalla sua trasgressione del diritto comunitario".


23 Sarebbe infatti inaccettabile che lo Stato al quale il legislatore comunitario prescrive l' adozione di talune norme volte a disciplinare i suoi rapporti ° o quelli degli enti statali ° con i privati e a riconoscere a questi ultimi il godimento di taluni diritti potesse far valere la mancata esecuzione dei suoi obblighi al fine di privare i singoli del godimento di detti diritti. Per tale ragione la Corte ha ammesso la possibilità di far valere nei confronti dello Stato (o di enti statali) talune disposizioni delle direttive sulla conclusione degli appalti pubblici (v. sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, Racc. pag. 1839) e delle direttive sull' armonizzazione delle imposte sulla cifra d' affari (v. sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Racc. pag. 53).


24 Estendere detta giurisprudenza all' ambito dei rapporti tra singoli significherebbe riconoscere in capo alla Comunità il potere di emanare norme che facciano sorgere con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi, mentre tale competenza le spetta solo laddove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti.

 
25 Ne consegue che, in assenza di provvedimenti di attuazione della direttiva entro i termini prescritti, i consumatori non possono fondare sulla direttiva stessa un diritto di recesso nei confronti dei commercianti con i quali hanno stipulato un contratto, né possono far valere tale diritto dinanzi a un giudice nazionale.