SENTENZA
DELLA CORTE DEL 19 NOVEMBRE 1991.
ANDREA FRANCOVICH E DANILA BONIFACI E ALTRI CONTRO
REPUBBLICA ITALIANA.
DOMANDE DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: PRETURA DI VICENZA E PRETURA DI BASSANO DEL GRAPPA - ITALIA.
MANCATO RECEPIMENTO DI UNA DIRETTIVA - RESPONSABILITA DELLO STATO MEMBRO.
CAUSE RIUNITE C-6/90 E
C-9/90.
Parti
Nei procedimenti riuniti C-6/90 e C-9/90,
aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte,
ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE, dalla
Pretura circondariale di Vicenza (nel procedimento C-6/90) e dalla Pretura
circondariale di Bassano del Grappa (nel procedimento
C-9/90) nelle cause dinanzi ad esse pendenti tra
Andrea Francovich
e
Repubblica italiana
e tra
Danila Bonifaci e altri
e
Repubblica italiana,
domande vertenti sull' interpretazione dell' art. 189, terzo comma, del
Trattato CEE e della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE,
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative
alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di
lavoro (GU L 283, pag. 23),
LA CORTE,
composta dai signori O. Due, presidente, Sir Gordon Slynn, R. Joliet, F.A Schockweiler,
F. Grévisse, P.J. Kapteyn, presidenti di
sezione, G.F. Mancini, J.C.
Moitinho de Almeida, G.C. Rodríguez Iglesias, M. Díez de Velasco e M. Zuleeg, giudici,
avvocato generale: J. Mischo
cancelliere: D. Louterman, amministratore principale
considerate le osservazioni scritte presentate:
- per Andrea Francovich e Danila Bonifaci
e a., dagli avvocati Claudio Mondin, Aldo Campesan e Alberto dal Ferro, del foro di Vicenza,
- per il governo italiano, dall' avvocato dello Stato Oscar Fiumara, in qualità
di agente,
- per il governo olandese dal sig. B.R. Bot, segretario generale presso il ministero degli Affari
esteri, in qualità di agente,
- per il governo del Regno Unito, dal sig. J.E. Collins, del Treasury Solicitor' s
Department, in qualità di agente, assistito dal sig. Richard Plender, QC,
- per
vista la relazione d' udienza,
sentite le osservazioni orali del sig. Andrea Francovich
e della sig.ra Danila Bonifaci, del governo italiano,
del governo britannico, del governo tedesco, rappresentato dall' avvocato Jochim Sedemund, del foro di
Colonia, in qualità di agente, e della Commissione, all' udienza del 27
febbraio 1991,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Motivazione
della sentenza
1. Con ordinanze 9 luglio e 30 dicembre 1989, pervenute alla Corte
rispettivamente l' 8 e il 15 gennaio 1990,
2. Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di
controversie tra Andrea Francovich e Danila Bonifaci e a. (in prosieguo: i
"ricorrenti") e
3. La direttiva 80/987 è diretta a garantire ai lavoratori dipendenti un minimo
comunitario di tutela in caso di insolvenza del datore
di lavoro, fatte salve le norme più favorevoli esistenti negli Stati membri. A
tal fine, essa stabilisce in particolare garanzie specifiche
per il pagamento di loro crediti non pagati relativi alla retribuzione.
4. A norma dell' art. 11, gli Stati membri erano
tenuti a emanare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative
necessarie per conformarsi alla direttiva entro un termine scaduto il 23
ottobre 1983. Poiché
5. Il sig. Francovich, parte nella causa principale
nel procedimento C-6/90, aveva lavorato per l' impresa
"CDN Elettronica Snc" a Vicenza e aveva
ricevuto a tale titolo solo acconti sporadici sulla propria retribuzione. Egli
ha quindi proposto ricorso dinanzi al Pretore di Vicenza, che ha condannato l' impresa convenuta al pagamento di una somma di circa 6
milioni di LIT. Nel corso del processo di esecuzione,
l' ufficiale giudiziario del Tribunale di Vicenza ha dovuto redigere un verbale
di pignoramento infruttuoso. Il sig. Francovich ha
allora fatto valere il diritto di ottenere dallo Stato italiano le garanzie
previste dalla direttiva 80/987 o, in via subordinata, un indennizzo.
6. Nella causa C-9/90, la sig.ra Danila Bonifaci e
altre trentatré lavoratrici dipendenti hanno proposto
un ricorso dinanzi al Pretore di Bassano del Grappa,
riferendo di aver lavorato in qualità di lavoratrici
dipendenti per la ditta "Gaia Confezioni Srl",
dichiarata fallita il 5 aprile 1985. Al momento della cessazione dei rispettivi
rapporti di lavoro, le ricorrenti erano creditrici di una somma di oltre 253
milioni di LIT, che era stata ammessa al passivo dell' impresa
dichiarata fallita. Oltre cinque anni dopo il fallimento, nulla era stato loro
corrisposto e il curatore del fallimento aveva fatto loro sapere che una
ripartizione, anche parziale, in loro favore era assolutamente improbabile. Di
conseguenza, le ricorrenti hanno adito il suddetto giudice chiedendo che
7. In questo contesto i giudici nazionali hanno
sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali, identiche nelle due
cause:
"1) In forza del sistema di diritto comunitario vigente, può il privato
che sia stato leso dalla mancata attuazione da parte dello Stato della
direttiva 80/987 - mancata attuazione accertata con sentenza di condanna della
Corte di giustizia - pretendere l' adempimento da parte dello Stato stesso
delle disposizioni in essa contenute che siano sufficientemente precise e
incondizionate invocando direttamente, nei confronti dello Stato membro
inadempiente, la normativa comunitaria per ottenere le garanzie che lo Stato
stesso doveva assicurare, e comunque rivendicare il risarcimento dei danni
subiti relativamente alle disposizioni che non godono di tale prerogativa?
2) Il combinato disposto degli artt. 3 e 4 della
direttiva 80/987 del Consiglio dev' essere interpretato nel senso che, nel caso in cui lo Stato
non si sia avvalso della facoltà di introdurre i limiti di cui all' art. 4, lo
Stato stesso è tenuto al pagamento dei diritti dei lavoratori subordinati nella
misura stabilita dall' art. 3?
3) Nel caso di risposta negativa alla domanda 2,
stabilisca
8. Per una più ampia illustrazione degli antefatti delle cause principali,
dello svolgimento del procedimento nonché delle
osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'
udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura
necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte.
9. La prima questione sollevata dal giudice nazionale pone due problemi che
occorre esaminare separatamente. Essa riguarda, in primo luogo, l' efficacia diretta delle norme della direttiva che
definiscono i diritti dei lavoratori e, in secondo luogo, l' esistenza e la
portata della responsabilità dello Stato per i danni derivanti dalla violazione
degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto comunitario.
Sull' efficacia diretta delle
disposizioni della direttiva che definiscono i diritti
dei lavoratori
10. La prima parte della prima questione formulata dal giudice nazionale è
diretta a stabilire se le disposizioni della direttiva che definiscono i
diritti dei lavoratori debbano essere interpretate nel
senso che gli interessati possono far valere tali diritti nei confronti dello
Stato dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di attuazione
adottati entro i termini.
11. Secondo una giurisprudenza costante, lo Stato membro che non ha adottato
entro i termini i provvedimenti di attuazione imposti
da una direttiva non può opporre ai singoli l' inadempimento, da parte sua,
degli obblighi derivanti dalla direttiva stessa. Perciò, in tutti i casi in cui
le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto
di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, tali
disposizioni possono essere richiamate, in mancanza di provvedimenti d'
attuazione adottati entro i termini, per opporsi a qualsiasi disposizione di
diritto interno non conforme alla direttiva, ovvero in quanto siano atte a
definire diritti che i singoli possono fare valere nei confronti dello Stato
(sentenza 19 gennaio 1982, Becker, punti 24 e 25
della motivazione, causa 8/81, Racc. pag. 53).
12. Occorre quindi chiedersi se le disposizioni della direttiva 80/987 che
definiscono i diritti dei lavoratori siano incondizionate e sufficientemente
precise. Tale esame deve riguardare tre aspetti, e cioè
la determinazione dei beneficiari della garanzia stabilita da detta
disposizione, il contenuto di tale garanzia e, infine, l' identità del soggetto
tenuto alla garanzia. Al riguardo si pone in particolare la questione se lo
Stato possa essere considerato tenuto alla garanzia
per non aver adottato, entro il termine prescritto, i necessari provvedimenti
di attuazione.
13. Per quanto riguarda, innanzitutto, la
determinazione dei beneficiari della garanzia, va rilevato che, in base all'
art. 1, n. 1, la direttiva si applica ai diritti dei lavoratori subordinati
derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro ed esistenti nei
confronti di datori di lavoro che si trovino in stato di insolvenza ai sensi
dell' art. 2, n. 1, ossia della disposizione che precisa le ipotesi in cui un
datore di lavoro dev' essere considerato in stato di
insolvenza. L' art. 2, n. 2, rinvia al diritto nazionale per la determinazione
delle nozioni di "lavoratore subordinato" e di "datore di
lavoro". Infine l' art. 1, n. 2, dispone che gli
Stati membri possono, in via eccezionale e a determinate condizioni, escludere
dall' ambito di applicazione della direttiva talune categorie di lavoratori
elencati nell' allegato della direttiva.
14. Queste disposizioni sono sufficientemente precise e incondizionate per
consentire al giudice nazionale di stabilire se un soggetto possa
essere o no considerato beneficiario della direttiva. Infatti, il giudice deve
solo verificare, in primo luogo, se l' interessato
abbia lo status di lavoratore subordinato in forza del diritto nazionale e se
non sia escluso, a norma dell' art. 1, n. 2, e del suo allegato I, dall' ambito
di applicazione della direttiva (v., per quanto riguarda le condizioni
richieste per una siffatta esclusione, le sentenze 2 febbraio 1989,
Commissione/Italia, punti 18-23 della motivazione, causa 22/87, cit., e 8 novembre 1990, Commissione/Grecia, punti 11-26
della motivazione, causa C-53/88, Racc. pag. I-3917);
in secondo luogo, se ci si trovi in una delle ipotesi di insolvenza
di cui all' art. 2 della direttiva.
15. Per quanto riguarda poi il contenuto della garanzia, l' art.
3 della direttiva dispone che dev' essere garantito il
pagamento dei crediti non pagati risultanti da contratti di lavoro o da
rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione per il periodo situato prima di
una data stabilita dallo Stato membro che, al riguardo, può scegliere fra tre
possibilità e cioè: a) la data in cui è insorta l' insolvenza del datore di
lavoro; b) quella del preavviso di licenziamento del lavoratore subordinato
interessato, comunicato a causa dell' insolvenza del datore di lavoro; c)
quella in cui è insorta l' insolvenza del datore di lavoro o quella della
cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro del lavoratore
subordinato interessato, avvenuta a causa dell' insolvenza del datore di
lavoro.
16. In relazione a tale scelta, lo Stato membro ha la
facoltà, in forza dell' art. 4, nn. 1 e 2, di
limitare l' obbligo di pagamento a periodi di tre mesi
o di otto settimane, a seconda dei casi, calcolati secondo modalità precisate
nel suddetto articolo. Infine, il n. 3 dello stesso articolo dispone che gli
Stati membri possono fissare un massimale per la garanzia di pagamento per
evitare il versamento di somme eccedenti il fine sociale della direttiva.
Qualora si avvalgano di tale facoltà, gli Stati membri debbono
comunicare alla Commissione i metodi con cui fissano il massimale. D' altro
canto l' art. 10 precisa che la direttiva non
pregiudica la facoltà degli Stati membri di adottare le misure necessarie ad
evitare abusi ed in particolare di rifiutare o di ridurre l' obbligo di
pagamento in taluni casi.
17. L' art. 3 della direttiva lascia così una scelta allo Stato membro per
determinare la data a partire dalla quale la garanzia
del pagamento dei diritti dev' essere fornita.
Tuttavia, come risulta già implicitamente dalla
giurisprudenza della Corte (sentenza 4 dicembre 1986, FNV, causa 71/85, Racc. pag. 3855; sentenza 24 marzo 1987, McDermott e Cotter, punto 15
della motivazione, causa 286/85, Racc. pag.
1453), la facoltà attribuita allo Stato di scegliere tra una molteplicità di
mezzi possibili al fine di conseguire il risultato prescritto da una direttiva
non esclude che i singoli possano far valere dinanzi ai giudici i diritti il
cui contenuto può essere determinato con una precisione sufficiente sulla base
delle sole disposizioni della direttiva.
18. Nella fattispecie, il risultato che la direttiva di cui trattasi prescrive
è la garanzia del pagamento ai lavoratori dei crediti non pagati in caso di insolvenza del datore di lavoro. Il fatto che gli artt. 3 e 4, nn. 1 e 2, concedano agli Stati membri una certa discrezionalità
per quanto concerne i metodi di fissazione di questa garanzia e la limitazione
del suo importo non pregiudica il carattere preciso e incondizionato del
risultato prescritto.
19. Infatti, come hanno messo in rilievo
20. Per quanto riguarda la facoltà, di cui all' art.
4, n. 2, di limitare tale garanzia, occorre rilevare che una siffatta facoltà
non esclude che si possa determinare la garanzia minima. Infatti, dalla
formulazione di tale articolo risulta che gli Stati
membri hanno la facoltà di limitare le garanzie accordate ai lavoratori a
taluni periodi anteriori alla data di cui all' art. 3. Questi periodi sono
stabiliti in relazione a ciascuna delle tre date
contemplate all' art. 3, onde è possibile, in ogni caso, determinare fino a che
punto lo Stato membro avrebbe potuto ridurre la garanzia prevista dalla
direttiva a seconda della data che avrebbe scelto se avesse attuato la direttiva.
21. Quanto all' art. 4, n. 3, secondo il quale gli
Stati membri possono fissare un massimale per la garanzia di pagamento al fine
di evitare il versamento di somme eccedenti il fine sociale della direttiva, e
quanto all' art.
22. Va quindi constatato che le disposizioni controverse sono incondizionate e
sufficientemente precise per quanto riguarda il contenuto della garanzia.
23. Per quanto riguarda infine l' identità di chi è
tenuto alla garanzia, l' art. 5 della direttiva stabilisce che:
"Gli Stati fissano le modalità di organizzazione, di finanziamento e di
funzionamento degli organismi di garanzia nel rispetto, in particolare, dei
seguenti principi:
a) il patrimonio degli organismi deve essere indipendente dal capitale di
esercizio dei datori di lavoro e essere costituito in modo da non poter essere
sequestrato in un procedimento in caso di insolvenza;
b) i datori di lavoro devono contribuire al finanziamento, a meno che quest' ultimo non sia integralmente assicurato dai pubblici
poteri;
c) l' obbligo di pagamento, a carico degli organismi esiste indipendentemente
dall' adempimento degli obblighi di contribuire al finanziamento".
24. E' stato sostenuto che, poiché la direttiva prevede la possibilità di
finanziamento integrale degli organismi di garanzia da parte dei pubblici
poteri, è inammissibile che uno Stato membro possa neutralizzare gli effetti
della direttiva sostenendo che avrebbe potuto porre a carico di
altri soggetti, in parte o in toto, l' onere
finanziario gravante su di esso.
25. Tale ragionamento non può essere condiviso. Dalla formulazione della
direttiva risulta che lo Stato membro è tenuto a
predisporre tutto un sistema istituzionale di garanzia appropriato. In forza dell' art. 5, lo Stato membro dispone di un' ampia
discrezionalità quanto all' organizzazione, al funzionamento e al finanziamento
degli organismi di garanzia. Occorre mettere in rilievo
che il fatto, invocato dalla Commissione, che la direttiva preveda come una
possibilità, fra le altre, che un sistema del genere sia finanziato
integralmente dai pubblici poteri non può significare che si possa identificare
lo Stato come debitore dei crediti non pagati. L' obbligo di pagamento è a
carico degli organismi di garanzia e solo esercitando
il suo potere di organizzare il sistema di garanzia lo Stato può disporre il
finanziamento integrale degli organismi di garanzia da parte dei pubblici
poteri. In questa ipotesi lo Stato si accolla un
obbligo che in linea di principio non gli incombe.
26. Ne consegue che, anche se le disposizioni controverse della direttiva sono
sufficientemente precise e incondizionate per quanto riguarda la determinazione
dei beneficiari della garanzia e il contenuto della garanzia
stessa, questi elementi non sono sufficienti perché i singoli possano far
valere tali disposizioni dinanzi ai giudici nazionali. Infatti, da un lato,
queste disposizioni non precisano l' identità di chi è
tenuto alla garanzia e, dall' altro, lo Stato non può essere considerato
debitore per il solo fatto di non aver adottato entro i termini i provvedimenti
di attuazione.
27. Si deve pertanto risolvere la prima parte della prima questione dichiarando
che le disposizioni della direttiva 80/987 che definiscono i diritti dei
lavoratori devono essere interpretate nel senso che gli interessati non possono
far valere tali diritti nei confronti dello Stato dinanzi ai giudici nazionali
in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati
entro i termini.
Sulla responsabilità dello Stato per
danni derivanti dalla violazione degli obblighi ad esso
incombenti in forza del diritto comunitario
28. Con la seconda parte della prima questione il giudice nazionale mira a
stabilire se uno Stato membro sia tenuto a risarcire i
danni derivanti ai singoli dalla mancata attuazione della direttiva 80/987.
29. Il giudice nazionale pone così il problema dell' esistenza
e della portata di una responsabilità dello Stato per danni derivanti dalla
violazione degli obblighi che ad esso incombono in forza del diritto
comunitario.
30. Questo problema dev' essere esaminato alla luce del sistema generale del
Trattato e dei suoi principi fondamentali.
a) Sul principio della responsabilità dello Stato
31. Va innanzitutto ricordato che il Trattato CEE ha
istituito un ordinamento giuridico proprio, integrato negli ordinamenti
giuridici degli Stati membri e che si impone ai loro giudici, i cui soggetti sono
non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini e che, nello stesso
modo in cui impone ai singoli degli obblighi, il diritto comunitario è altresì
volto a creare diritti che entrano a far parte del loro patrimonio giuridico;
questi diritti sorgono non solo nei casi in cui il Trattato espressamente li
menziona, ma anche in relazione agli obblighi che il Trattato impone ai
singoli, agli Stati membri e alle istituzioni comunitarie (v. sentenze 5
febbraio 1963, Van Gend
& Loos, causa 26/62, Racc.
pag. 3, e 15 luglio 1964, Costa, causa 6/64, pag. 1127).
32. Va altresì ricordato che, come risulta da una
giurisprudenza costante, è compito dei giudici nazionali incaricati di
applicare, nell' ambito delle loro competenze, le norme del diritto comunitario,
garantire la piena efficacia di tali norme e tutelare i diritti da esse
attribuiti ai singoli (v. in particolare sentenza 9 marzo 1978, Simmenthal, punto 16 della motivazione, causa 106/77, Racc. pag. 629, e sentenza 19 giugno
1990, Factortame, punto 19 della motivazione, cuasa C-213/89, Racc. pag.
I-2433).
33. Va constatato che sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle
norme comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i singoli non avessero la possibilità
di ottenere un risarcimento ove i loro diritti siano lesi da una violazione del
diritto comunitario imputabile ad uno Stato membro.
34. La possibilità di risarcimento a carico dello Stato membro è
particolarmente indispensabile qualora, come nella fattispecie, la piena
efficacia delle norme comunitarie sia subordinata alla condizione di un' azione da parte dello Stato e, di conseguenza, i
singoli, in mancanza di tale azione, non possano far valere dinanzi ai giudici
nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario.
35. Ne consegue che il principio della responsabilità dello Stato per danni
causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso
imputabili è inerente al sistema del Trattato.
36. L' obbligo degli Stati membri di risarcire tali danni trova il suo
fondamento anche nell' art. 5 del Trattato, in forza
del quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure di carattere
generale o particolare atte ad assicurare l' esecuzione degli obblighi ad essi
derivanti dal diritto comunitario. Orbene, tra questi obblighi si trova quello
di eliminare le conseguenze illecite di una violazione del diritto comunitario
(v., per quanto riguarda l' analogo disposto dell' art. 86 del Trattato CECA,
la sentenza 16 dicembre 1960, Humblet, causa 6/60, Racc. pag. 1093).
37. Da tutto quanto precede risulta che il diritto
comunitario impone il principio secondo cui gli Stati membri sono tenuti a
risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario
ad essi imputabili.
b) Sulle condizioni della responsabilità dello Stato
38. Se la responsabilità dello Stato è così imposta dal diritto comunitario, le
condizioni in cui essa fa sorgere un diritto a risarcimento dipendono
dalla natura della violazione del diritto comunitario che è all' origine del
danno provocato.
39. Qualora, come nel caso di specie, uno Stato membro violi l'
obbligo, ad esso incombente in forza dell' art. 189, terzo comma, del
Trattato, di prendere tutti i provvedimenti necessari a conseguire il risultato
prescritto da una direttiva, la piena efficacia di questa norma di diritto
comunitario esige che sia riconosciuto un diritto a risarcimento ove ricorrano
tre condizioni.
40. La prima di queste condizioni è che il risultato prescritto dalla direttiva
implichi l' attribuzione di diritti a favore dei
singoli. La seconda condizione è che il contenuto di tali diritti possa essere
individuato sulla base delle disposizioni della direttiva. Infine, la terza
condizione è l' esistenza di un nesso di causalità tra
la violazione dell' obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti
lesi.
41. Tali condizioni sono sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un
diritto ad ottenere un risarcimento, che trova direttamente il suo fondamento
nel diritto comunitario.
42. Con questa riserva, è nell' ambito delle norme del
diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare
le conseguenze del danno provocato. Infatti, in mancanza di una disciplina
comunitaria, spetta all' ordinamento giuridico interno
di ciascuno Stato membro designare il giudice competente e stabilire le
modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela
dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v. le
seguenti sentenze: 22 gennaio 1976, Russo, causa 60/75, Racc.
pag. 45; 16 dicembre 1976, Rewe, causa 33/76, Racc. pag. 1989; 7 luglio 1981, Rewe, causa 158/80, Racc. pag.
1805).
43. Occorre rilevare inoltre che le condizioni, formali e sostanziali,
stabilite dalle diverse legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei
danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami
analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere
il risarcimento (v. per quanto concerne la materia analoga del rimborso di
imposte riscosse in violazione del diritto comunitario, in particolare la
sentenza 9 novembre 1983, San Giorgio, causa 199/82, Racc.
pag. 3595).
44. Nella fattispecie, la violazione del diritto comunitario da parte di uno
Stato membro a seguito della mancata attuazione entro i termini della direttiva
80/987 è stata accertata con una sentenza della Corte. Il risultato prescritto
da tale direttiva comporta l' attribuzione ai
lavoratori subordinati del diritto ad una garanzia per il pagamento di loro
crediti non pagati relativi alla retribuzione. Come risulta
dall' esame della prima parte della prima questione, il contenuto di tale
diritto può essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva.
45. Stando così le cose, spetta al giudice nazionale garantire, nell' ambito delle norme di diritto interno relative alla
responsabilità, il diritto dei lavoratori ad ottenere il risarcimento dei danni
che siano stati loro provocati a seguito della mancata attuazione della
direttiva.
46. La questione sollevata dal giudice nazionale va pertanto risolta nel senso
che uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla
mancata attuazione della direttiva 80/987.
Sulla seconda e sulla terza questione
47. Alla luce della soluzione data alla prima questione pregiudiziale
non occorre pronunciarsi sulla seconda e sulla terza questione.
Decisione
relativa alle spese
Sulle spese
48. Le spese sostenute dai governi italiano, britannico, olandese e tedesco, nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno
presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei
confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento ha il
carattere di un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, a cui spetta
quindi statuire sulle spese.
Dispositivo
Per questi motivi,
LA CORTE,
pronunciandosi sulle questioni ad essa sottoposte
dalla Pretura di Vicenza (nella causa C-6/90) e dalla Pretura di Bassano del Grappa (nella causa C-9/90) rispettivamente con
ordinanze 9 luglio e 30 dicembre 1989, dichiara:
1) Le disposizioni della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE,
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative
alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di
lavoro, che definiscono i diritti dei lavoratori devono essere interpretate nel
senso che gli interessati non possono far valere tali diritti nei confronti
dello Stato dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di
attuazione adottati entro i termini.
2) Uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla
mancata attuazione della direttiva 80/987/CEE.