Nella filosofia della scienza il termine ‘paradigma’ è stato introdotto da Thomas S. Kuhn ed è diventato d’uso comune. Per capirne il significato, si riportano alcuni passi del più famoso libro di Kuhn:
“Per ‘paradigma’ s’intende “uno o più risultati raggiunti dalla scienza del passato, ai quali una particolare comunità scientifica, per un certo periodo di tempo, riconosce la capacità di costruire il fondamento della sua prassi ulteriore. Oggi tali punti fermi sono elencati, seppure raramente nella loro forma originale, dai manuali scientifici sia elementari che superiori. Questi manuali espongono il corpo della teoria riconosciuta come valida, illustrano molte o tutte le sue applicazioni coronate da successo e confrontano queste applicazioni con osservazioni ed esperimenti esemplari.”
I paradigmi possiedono in comune
due caratteristiche: “i risultati che presentavano (sono) sufficientemente
nuovi per attrarre uno stabile gruppo di seguaci, distogliendoli da forme di
attività scientifica contrastanti con essi; e nello stesso tempo, (sono)
sufficientemente aperti da lasciare al gruppo di scienziati costituitosi su
queste nuove basi la possibilità di risolvere problemi di ogni genere.”
Il termine paradigma rappresenta
“il fatto che alcuni esempi di effettiva prassi scientifica riconosciuti come
validi – esempi che comprendono globalmente leggi, teorie, applicazioni e
strumenti – forniscono modelli che danno origine a particolari tradizioni di
ricerca scientifica con una loro coerenza. Queste sono le tradizioni che lo
storico descrive con etichette quali “astronomia tolemaica” (o “copernicana”),
“dinamica aristotelica” (o “newtoniana”), “ottica corpuscolare” (o “ottica
ondulatoria”), e così via. Lo studio dei paradigmi… è ciò che principalmente
prepara lo studente a diventare membro della particolare comunità scientifica
con la quale più tardi dovrà collaborare. Dal momento che in tale comunità egli
incontra scienziati che appresero i fondamenti della loro disciplina dagli
stessi modelli concreti, la sua attività successiva raramente susciterà un
aperto disaccordo riguardo ai principi fondamentali. Coloro la cui ricerca si
basa sui paradigmi condivisi dalla comunità scientifica si impegnano a
osservare le stesse regole e gli stessi modelli nella loro attività
scientifica. Questo impegno, e l'evidente consenso che esso produce, sono
requisiti indispensabili per una scienza normale, ossia per la genesi e per il
mantenimento di una particolare tradizione di ricerca.”
“Per vedere come ciò funziona,
dobbiamo riconoscere quanto limitato possa essere sia l'ambito che la
precisione di un paradigma, allorché esso appare in scena per la prima volta. I
paradigmi raggiungono la loro posizione perché riescono meglio dei loro
competitori a risolvere alcuni problemi che il gruppo degli specialisti ha
riconosciuto come urgenti. Riuscire meglio, però, non significa riuscire
completamente per quanto riguarda un unico problema o riuscire abbastanza bene
per moltissimi problemi. Il successo di un paradigma – sia esso l'analisi
aristotelica del movimento, o il calcolo tolemaico della posizione dei pianeti,
o l'uso della bilancia fatto da Lavoisier, o la matematizzazione che Maxwell
compì del campo elettromagnetico – è all'inizio, in gran parte, una promessa di
successo che si può intravedere in alcuni esempi scelti e ancora incompleti.
La scienza normale consiste nella realizzazione di quella promessa, una
realizzazione ottenuta estendendo la conoscenza di quei fatti che il paradigma
indica come particolarmente rivelatori, accrescendo la misura in cui questi
fatti si accordano con le previsioni del paradigma, e articolando ulteriormente
il paradigma stesso.
Pochi tra
coloro che non siano effettivamente impegnati nell'attività di una scienza
matura si rendono conto di quanto lavoro di ripulitura di tal genere resti da
fare dopo l'accettazione di un paradigma, o di quanto affascinante possa essere
l'esecuzione di un simile lavoro. E questi punti devono essere chiaramente
capiti. Le operazioni di ripulitura costituiscono l'attività che impegna la
maggior parte degli scienziati nel corso di tutta la loro carriera. Esse
costituiscono quella che qui chiamo la scienza normale. Una attività di tal
genere, se esaminata da vicino, sia come è stata fatta nel corso della storia,
sia come è condotta nei laboratori contemporanei, si presenta come un
tentativo di forzare la natura entro le caselle prefabbricate e relativamente
rigide fornite dal paradigma. Il compito della scienza normale non è affatto
quello di scoprire nuovi generi di fenomeni; anzi, spesso sfuggono quasi
completamente quelli che si potrebbero adattare all'incasellamento. Gli
scienziati non mirano neanche, di norma, a inventare nuove teorie, e anzi si
mostrano spesso intolleranti verso quelle inventate da altri. La ricerca
nell'ambito della scienza normale è invece rivolta all'articolazione di quei
fenomeni e di quelle teorie che sono già fornite dal paradigma.
Altri
problemi, compresi alcuni che erano stati usati in periodi anteriori, vengono
respinti come metafisici, come appartenenti a un'altra disciplina, o talvolta
semplicemente come troppo problematici per meritare che si sciupi del tempo
attorno ad essi. Un paradigma può finire addirittura, per questa via, con
l'isolare la comunità da quei problemi socialmente importanti che non sono
riducibili alla forma di rompicapo, poiché essi non possono venire formulati
nei termini degli strumenti tecnici e concettuali forniti dal paradigma…Una
delle ragioni per cui la scienza normale sembra fare progressi così rapidi è
che coloro che svolgono attività di ricerca entro i suoi quadri concentrano il
loro lavoro su problemi che soltanto la loro mancanza di ingegnosità potrebbe
impedir loro di risolvere.”
Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1962, pp. 29-30 e 44)