SENTENZA 404/1988
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 27 luglio 1978,
n. 392 (<Disciplina delle locazioni di immobili- urbani>), promossi con
ordinanze emesse il 21 dicembre 1981 dal Pretore di Rodi Garganico,
il 21 maggio 1982 dal Pretore di Cecina, il 6 ottobre
1982 dal Tribunale di Firenze e il 30 gennaio 1984 dal Pretore di Sestri
Ponente, iscritte rispettivamente ai nn. 116 e 588
del registro ordinanze 1982, al n. 368 del registro ordinanze 1983 e al n. 478
del registro ordinanze 1984 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 185 dell'anno 1982, nn. 39 e 253 dell'anno 1983 e n. 259 dell'anno 1984.
Visti gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella
camera di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.
Considerato
in diritto
l.-Le quattro
questioni, di cui alle ordinanze in epigrafe, riguardano l'art. 6 della
legge 27 luglio 1978, n. 392 (<Disciplina delle locazioni di immobili
urbani>) e vanno decise con unica sentenza.
2. - L'articolo suindicato
e sospettato: a) dal Pretore di Rodi Garganico, con
ordinanza del 21 dicembre 1981 (R. O. n. 116/1982), di violare il
principio d'eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione <nella parte in cui non prevede la
successione dell'altro coniuge al conduttore anche in caso di separazione di
fatto, se tra i due si sia così convenuto>[U1];
b) dal Pretore di Cecina, con ordinanza del 21 maggio
1982 (R. O. n. 588/1982), di
violare il[U2] principio d'eguaglianza di cui
all'art. 3 della Costituzione <nella parte in cui non prevede la possibilità
di succedere nel contratto di locazione al coniuge del
conduttore defunto, a lui unito da matrimonio religioso non trascritto>;
c) dal Pretore di Sestri Ponente, con ordinanza del 30 gennaio 1984 (R.O. n. 478/1984), di violare, oltre all'art. 3, anche gli artt. 2 e 42, secondo comma, della Costituzione <nella
parte in cui esclude il convivente more uxorio del
conduttore defunto dal diritto a succedergli nel contratto di locazione>[U3];
d) dal Tribunale di Firenze, con ordinanza del 6 ottobre 1982 (R. O. n.
368/1983), di violare, oltre all'art.
3, anche gli artt. 2 e 30 della Costituzione
<nella parte in cui non prevede la successione nel contratto per il convivente more uxorio se così sia convenuto nell'atto di
separazione e vi sia prole naturale>[U4].
3. - Le questioni sono fondate.
Il profilo, che tutte le accomuna, consiste nel chiedersi se la
mancata previsione della successione nella titolarità del contratto di locazione, fino alla normale consumazione della durata
quadriennale del rapporto, come stabilita ex lege,
non contrasti con valori presenti in Costituzione.
Non viene qui in evidenza, come
ritengono i giudici a quibus, un trattamento discriminatorio
a sfavore della convivenza more uxorio, che violerebbe il principio di
uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. E neppure un contrasto con la
spontaneità delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità
dell'uomo, di cui all'art. 2 della Costituzione, o, nel particolare caso di
specie sub d), un ostacolo all'esercizio e all'adempimento dei diritti e doveri
dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli
anche se nati fuori del matrimonio, di cui all'art. 30, primo comma, della
Costituzione.
Come affermato da una recente sentenza di questa Corte (n. 217 del 1988):
<il "diritto all'abitazione" rientra fra i requisiti essenziali
caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato
democratico voluto dalla Costituzione... In breve, creare le condizioni minime
di uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di cittadini
possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello all'abitazione, contribuire
a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto
l'immagine universale della dignità umana, sono compiti cui lo Stato non può
abdicare in nessun caso>. Altra sentenza di questa Corte (sent.
n. 49 del 1987) aveva già riconosciuto
<indubbiamente doveroso da parte della collettività intera impedire che
delle persone possano rimanere prive di abitazione>.
Tali statuizioni, pur espresse in ordine allo
specifico favor, di cui all'art. 47 , secondo comma, della Costituzione, per
l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, hanno una
portata più generale ricollegandosi al fondamentale diritto umano
all'abitazione riscontrabile nell'art. 25 della Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre 1948) e nell'art. 11 del Patto
internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (approvato il 16
dicembre 1966 dall'Assemblea generale della Nazioni Unite é ratificato dall'Italia
il 15 settembre 1978, in seguito ad autorizzazione disposta con legge 25
ottobre 1977, n. 881).
Quando il legislatore, nel contesto della
legge n. 392 del 1978, detta l'art. 6, rubricandolo <Successione nel
contratto>, esprime il dovere collettivo di <impedire che delle persone
possano rimanere prive di abitazione>, dovere che connota da un canto la
forma costituzionale di Stato sociale, e dall'altro riconosce un diritto
sociale all'abitazione collocabile fra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art.
2 della Costituzione.
4.-Ciò conduce ad ulteriore sviluppo le considerazioni svolte
nella sentenza di questa
Corte n. 252 del 1983.
All'inizio degli anni Ottanta un indirizzo dottrinale e
giurisprudenziale tendeva a costruire il diritto all'abitazione come un diritto
soggettivo perfetto, destinato a rendere sempre poziore
la posizione del locatario su quella del locatore, suggerendo come modello la disciplina francese e tedesca della locazione
abitativa a tempo indeterminato con recesso del locatore solo per giusta causa.
La Corte dovette allora obbiettare che la <stabilità della
situazione abitativa> non costituisce autonomo e
indefettibile presupposto per l'esercizio dei diritti inviolabili di cui
all'art. 2 della Costituzione.
La Corte invece affermava in proposito che <indubbiamente
l'abitazione costituisce, per la sua fondamentale
importanza nella vita dell'individuo, un bene primario il quale deve essere
adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge>.
La giurisprudenza precedente di questa Corte (sent.
n. 45 del 1980; ord.
n. 128 del 1980) non aveva dato il dovuto
rilievo all'abitazione come bene primario, valutando su un piano prospettico di
maggiore rilevanza l'estraneità del convivente more uxorio dagli elenchi
tassativi degli aventi diritto alla proroga dei contratti di locazione di immobili
adibiti ad uso di abitazione, in caso di morte del conduttore, sia in base
all'art. 2 bis, comma primo, parte prima, della legge 12 agosto 1974, n. 351,
sia in base all'art. 1, comma quarto, parte prima, della legge 23 maggio 1950,
n. 253.
Ritiene oggi la Corte che la nuova normativa sulla disciplina
delle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di
abitazione, introdotta dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, realizzando con il
regime dell'equo canone un superamento di quella previgente,
fondata sul meccanismo della proroga, determini una minore compressione del
diritto del proprietario-locatore e consenta pertanto una più penetrante
indagine sui fini che il legislatore ha inteso perseguire nel sostituire la
fattispecie <successione nel contratto> a quella della operatività della
proroga.
Il legislatore del 1950 ha usato la formula <la proroga opera
soltanto a favore del coniuge, degli eredi, dei parenti e degli affini del
defunto con lui abitualmente conviventi> (art. 1, comma 4, parte I, l. n. 253/1950); quello del 1974 la variante: <del
coniuge, dei figli, dei genitori o dei parenti entro il secondo grado del
defunto con lui anagraficamente conviventi> (art.
2-bis, comma 1, parte I, l. n. 351/1974).
La volontà di escludere qualunque soggetto
diverso da quelli elencati e fatta palese dall'avverbio <soltanto>.
Diversa formulazione e quella dell'art. 6,
primo comma, della vigente legge n. 392 del 1978: <in caso di morte
del conduttore, gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti
ed affini con lui abitualmente conviventi>.
Le species <figli, genitori,
parenti entro il secondo grado, con lui anagraficamente
conviventi>, della corrispondente norma del 1974, si espandono nei genera <eredi, parenti, affini con lui abitualmente
conviventi>.
Il legislatore del 1978, cioé, ha
voluto tutelare non la famiglia nucleare, ne quella parentale, ma la convivenza di un aggregato esteso fino a
comprendervi estranei-potendo tra gli eredi esservi estranei-, i parenti senza
limiti di grado e finanche gli affini.
E' evidente la volontà
legislativa di farsi interprete di quel dovere di solidarietà sociale, che ha
per contenuto l'impedire che taluno resti privo di
abitazione, e che qui si specifica in un regime di successione nel contratto di
locazione, destinato a non privare del tetto, immediatamente dopo la morte del
conduttore, il più esteso numero di figure soggettive, anche al di fuori della
cerchia della famiglia legittima, purchè con quello
abitualmente conviventi.[U5]
5.-Se tale é la ratio legis, é irragionevole che nell'elencazione dei successori
nel contratto di locazione non compaia chi al titolare originario del contratto
era nella stabile convivenza legato more uxorio.[U6]
L'art. 3 della
Costituzione va qui invocato dunque non per la sua portata eguagliatrice,
restando comunque diversificata la condizione del
coniuge da quella del convivente more uxorio, ma per la contraddittorietà
logica della esclusione di un convivente dalla previsione di una norma che
intende tutelare l'abituale convivenza.
Se
l'art. 3 della Costituzione é violato per la non ragionevolezza della norma
impugnata, l'art. 2 lo é quanto al diritto
fondamentale che nella privazione del tetto é
direttamente leso.
6.-La questione sub b), sollevata dal Pretore di Cecina -possibilità di succedere nel contratto di locazione
al coniuge del conduttore defunto, a lui unito da matrimonio religioso non
trascritto - e quella sub c) sollevata dal Pretore di Sestri Ponente -
successione anche questa mortis causa nel contratto
del convivente more uxorio- sono assolutamente identiche dato che la convivenza
con il conduttore defunto non riceve diversa qualificazione dalla circostanza
che nell'un caso essa sia stata suggellata dal matrimonio religioso non
trascritto e nell'altro sia rimasta affidata all'affectio
quotidiana.
Nella questione sub d), sollevata dal Tribunale di Firenze,
essendo la separazione tra i conviventi more uxorio soltanto una
espressione metaforica che indica in realtà la estinzione del rapporto
more uxorio, l'esistenza di prole naturale valorizza ulteriormente la ratio decidendi per la conservazione dell'abitazione alla residua
comunità familiare.
Nella questione sub a), sollevata dal Pretore di Rodi Garganico, la separazione di fatto tra coniugi non dovrebbe
avere alcuna rilevanza esterna, restando quella locata la casa coniugale. Ma
essendosi convenuta tra i coniugi la conservazione dell'abitazione per uno solo
di essi, la fattispecie, in base al principio di
razionalità di cui all'art. 3 della Costituzione non può ricevere trattamento
diverso da quello disposto per le ipotesi previste dal terzo comma dell'art. 6
della legge 392 del 1978 che recita: <In caso di separazione consensuale o
di nullità matrimoniale al conduttore succede l'altro coniuge se tra i due si sia
così convenuto>.
Rispetto al bene primario dell'abitazione che
la ratio legis salvaguarda, il titolo della
separazione, di fatto o consensuale, non può avere effetto discriminatorio
senza vulnerare ancora una volta il combinato disposto degli artt. 2 e 3 della Costituzione
nella configurazione su richiamata.
Che la separazione di fatto non comporti l'evidenza documentale
di quanto convenuto tra i coniugi, come nella separazione consensuale,
provveduta di verbale e di decreto di omologazione,
non é ragione sufficiente per giustificarne l'assenza dalla previsione legale.
L'accordo o l'atto concludente tra i separati di fatto sarà oggetto di prova e
il relativo accertamento ristabilirà la parità con l'accordo convenuto nel
verbale tra i separati con separazione consensuale omologata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la
illegittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, della legge 27 luglio
1978, n. 392 (<Disciplina delle locazioni di immobili urbani>), nella parte in cui non prevede
tra i successibili nella titolarità del contratto di
locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio[U7];
dichiara la
illegittimità costituzionale dell'art. 6, terzo comma, della legge 27 luglio
1978, n. 392, nella parte in cui non prevede che il coniuge separato di fatto
succeda al conduttore, se tra i due si sia così convenuto;
dichiara la
illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392,
nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore
che abbia cessato la convivenza, a favore del già convivente quando vi sia
prole naturale.