Sentenza 109/1993 – imprenditoria femminile – eguaglianza sostanziale

 

In diritto

 

2.- Una prima censura riguarda gli artt. 2, 4 e 8 della legge n. 215 del 1992, i quali determinano, rispettivamente, i soggetti che possono accedere ai benefici disposti dalla predetta legge (art. 2) e le agevolazioni previste al fine di incentivare la promozione di nuove imprenditorialità femminili e di permettere l'acquisizione di servizi reali da parte dei soggetti precedentemente indicati (artt. 4 e 8). Ad avviso delle ricorrenti, le disposizioni contenute nei predetti articoli sembrano contrastare con le norme costituzionali ricordate nel precedente punto della motivazione, dal momento che individuerebbero le agevolazioni finanziarie e i relativi possibili beneficiari in relazione ad attività economiche e imprenditoriali svolgentisi in ambiti (agricoltura, turismo, etc.) affidati alle competenze delle province autonome e delle regioni.

Le questioni non sono fondate.

Al fine di decidere i dubbi di costituzionalità sollevati nei confronti degli artt. 2, 4 e 8 della legge impugnata, occorre prima precisare in cosa consistono le "azioni positive" a favore delle donne nel campo imprenditoriale.

2.l.- Ai sensi dell'art. 1, secondo comma, della legge n.215 del 1992, le disposizioni contenute nell'atto contestato perseguono le seguenti finalità:

a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa;

b) promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici;

c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile;

d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne;

e) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi.

In vista della realizzazione di tali fini, l'impugnato art. 2 individua, quali soggetti che possono accedere ai benefici indicati in altre disposizioni della stessa legge, le società cooperative e di persone costituite in misura non inferiore al sessanta per cento da donne, le società di capitali le cui quote di partecipazione appartengano in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne, le imprese individuali gestite da donne operanti nei settori dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi (lettera a). Lo stesso articolo, alla lettera b), aggiunge che ai medesimi benefici possono accedere le imprese o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le società di promozione imprenditoriale, anche a capitale misto pubblico e privato, i centri di formazione imprenditoriale o eroganti servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati, per una quota non inferiore al settanta per cento, a donne.

In relazione alle distinte categorie di soggetti indicati nelle due lettere dell'art. 2, l'art. 4 determina, poi, le agevolazioni di cui quei soggetti possono beneficiare. Le società e le imprese indicati nella lettera a), semprechè siano costituite dopo l'entrata in vigore della legge n.215 del 1992, possono usufruire di contributi in conto capitale fino al cinquanta per cento delle spese per impianti e attrezzature sostenute per l'avvio dell'impresa ovvero per l'acquisto di attività commerciali e turistiche o di attività nel settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio o dei servizi, nonchè per i progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione attinenti ai prodotti, alle tecnologie o all'organizzazione.

Inoltre, gli stessi soggetti ora considerati possono beneficiare di contributi fino al trenta per cento delle spese sostenute per l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttività, all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonchè per lo sviluppo di sistemi di qualità.

I soggetti indicati nell'art. 2, lettera b), possono usufruire, a norma dell'art. 4, terzo comma, di contributi fino al cinquanta per cento delle spese sostenute per le attività descritte dallo stesso art.2.

Infine, l'art. 8 dispone che ai soggetti indicati nell'art. 2, lettera a), possono essere concessi finanziamenti agevolati, di importo non superiore a trecento milioni e di durata non superiore a cinque anni, ad un tasso di interesse pari al cinquanta per cento del tasso di riferimento in vigore per il settore cui appartiene l'impresa beneficiaria.

2.2.- Dalla descrizione ora compiuta si desume che le disposizioni impugnate prevedono incentivazioni finanziarie a favore di imprese a prevalente partecipazione femminile ovvero a favore di istituzioni volte a promuovere l'imprenditorialità femminile, al chiaro scopo di agevolarne lo sviluppo, con riferimento ai momenti più importanti del ciclo produttivo, nei vari settori merceologici in cui operano. Si tratta, più precisamente, di interventi di carattere positivo diretti a colmare o, comunque, ad attenuare un evidente squilibrio a sfavore delle donne, che, a causa di discriminazioni accumulatesi nel corso della storia passata per il dominio di determinati comportamenti sociali e modelli culturali, ha portato a favorire le persone di sesso maschile nell'occupazione delle posizioni di imprenditore o di dirigente d'azienda.

In altri termini, le finalità perseguite dalle disposizioni impugnate sono svolgimento immediato del dovere fondamentale - che l'art. 3, secondo comma, della Costituzione assegna alla Repubblica - di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Le "azioni positive", infatti, sono il più potente strumento a disposizione del legislatore, che, nel rispetto della libertà e dell'autonomia dei singoli individui, tende a innalzare la soglia di partenza per le singole categorie di persone socialmente svantaggiate - fondamentalmente quelle riconducibili ai divieti di discriminazione espressi nel primo comma dello stesso art. 3 (sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali) - al fine di assicurare alle categorie medesime uno statuto effettivo di pari opportunità di inserimento sociale, economico e politico.

Nel caso di specie, le "azioni positive" disciplinate dalle disposizioni impugnate sono dirette a superare il rischio che diversità di carattere naturale o biologico si trasformino arbitrariamente in discriminazioni di destino sociale. A tal fine è prevista, in relazione a un settore di attività caratterizzato da una composizione personale che rivela un manifesto squilibrio a danno dei soggetti di sesso femminile, l'adozione di un trattamento di favore nei confronti di una categoria di persone, le donne, che, sulla base di una non irragionevole valutazione operata dal legislatore, hanno subìto in passato discriminazioni di ordine sociale e culturale e, tuttora, sono soggette al pericolo di analoghe discriminazioni.

Trattandosi di misure dirette a trasformare una situazione di effettiva disparità di condizioni in una connotata da una sostanziale parità di opportunità, le "azioni positive" comportano l'adozione di discipline giuridiche differenziate a favore delle categorie sociali svantaggiate, anche in deroga al generale principio di formale parità di trattamento, stabilito nell'art. 3, primo comma, della Costituzione. Ma tali differenziazioni, proprio perchè presuppongono l'esistenza storica di discriminazioni attinenti al ruolo sociale di determinate categorie di persone e proprio perchè sono dirette a superare discriminazioni afferenti a condizioni personali (sesso) in ragione della garanzia effettiva del valore costituzionale primario della "pari dignità sociale", esigono che la loro attuazione non possa subire difformità o deroghe in relazione alle diverse aree geografiche e politiche del Paese.

Infatti, se ne fosse messa in pericolo l'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale, il rischio che le "azioni positive" si trasformino in fattori (aggiuntivi) di disparità di trattamento, non più giustificate dall'imperativo costituzionale di riequilibrare posizioni di svantaggio sociale legate alla condizione personale dell'essere donna, sarebbe di tutta evidenza.

Ciò non toglie che nel programma di "azioni positive" previsto, in conformità alla precisa indicazione costituzionale che ne affida il compito alla "Repubblica", siano coinvolti anche soggetti pubblici diversi dallo Stato (regioni e province autonome). Ma un coinvolgimento del genere, come la Corte non ha mai mancato di affermare (v., da ultimo, sent. n. 281 del 1992), è costituzionalmente possibile soltanto all'interno di un quadro diretto a garantire un'effettiva coerenza di obiettivi e di comportamenti.