La sussidiarietà "orizzontale": alla ricerca dei soggetti "privati"

(editoriale fascicolo 1.1999)

 

La sussidiarietà ha giocato un ruolo importante nell’ispirare il movimento di riforma costituzionale e legislativa degli ultimi anni. E forse la sussidiarietà "orizzontale" (quella che riguarda i riparto dei compiti tra il pubblico e il privato) è emersa come un’idea anche più aggressiva e innovativa della più tradizionale sussidiarietà "verticale" (quella che dovrebbe ispirare il riparto dei compiti tra i diversi livelli del pubblico potere).

Che la sussidiarietà sia divenuta uno slogan ripetuto all’infinito, argomento di convegni e seminari, criterio d’ispirazione del legislatore o norma di principio della stessa legislazione positiva non ha però affatto diminuito l’elevato tasso di equivocità, di imprecisione e di ambivalenza che l’ha caratterizzata da sempre. Ed anche ciò vale per la sussidiarietà "orizzontale" ancora di più che per quella "verticale". Non potrebbe essere diversamente, perché la sussidiarietà orizzontale si porta dietro tutte le implicazioni e gli equivoci che intorbidano il discorso attorno ai rapporti tra pubblico e privato, nei diversi contesti in cui esso si sviluppa: il mercato, la televisione, l’assistenza pubblica, la scuola…

Il problema sono anzitutto i soggetti. Non è difficile individuare i soggetti protagonisti della sussidiarietà "verticale": lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni si sono fronteggiati in lunghe trattativi per farsi riconoscere, funzione per funzione, compito per compito, il ruolo di ente principale, titolare "naturale" (perché più vicino ai cittadini, ma di scala sufficiente per assicurare l’efficienza) della funzione o del compito in questione. Si è posto semmai il problema dell’adeguatezza dell’ente (troppe e troppo piccole le Regioni, troppi e troppo polverizzati i Comuni, ecc.): questo ha schiuso qualche spiraglio al profilarsi di soggetti nuovi, quali le Città metropolitane, oppure ad una legislazione capace di differenziare i ruoli all’interno della medesima classe di enti, in modo da riservare l’esercizio delle funzioni principali solo a quelli di essi che garantiscano una dimensione efficiente e spingere gli altri ad associarsi o fondersi. Sono gli obiettivi che hanno ispirato le leggi e i decreti "Bassanini" e che dovrebbero essere implementati dalla legislazione regionale.

Ma quali sono i soggetti della sussidiarietà "orizzontale"? Qui il problema si fa davvero arduo, perché se i soggetti pubblici possono apparire inadeguati, dove sono i soggetti privati, quali garanzie di efficienza sono in grado di offrire, in che misura assicurano il perseguimento dell’interesse generale? Il difficile dibattito sulla "parità" della scuola privata rispetto alla pubblica è solo la più recente delle occasioni in cui è apparsa la complessità del problema. Ancora più della sussidiarietà "verticale", quella "orizzontale" appare con nettezza costituire nulla più che un indirizzo di politica legislativa di larghissima massima, ben lontano ancora dal tradursi in norme operative; e per di più è qualcosa di sostanzialmente estraneo rispetto alla legislazione che dà (o dovrebbe dare) corpo alla sussidiarietà "verticale". Quest’ultima si può realizzare con una serie di provvedimenti di trasferimento delle funzioni dal centro verso la periferia, dalle regioni verso gli enti locali. Ma sono sempre le stesse "funzioni pubbliche" quelle che migrano da un livello all’altro, mentre la sussidiarietà "orizzontale" è proprio della quantità e della qualità di quelle funzioni che si dovrebbe occupare, nel senso che di esse vorrebbe operare una drastica riduzione. Ma è una riduzione che non può essere operata dai decreti di attuazione della Bassanini, né dalle conseguenti leggi regionali di trasferimento agli enti locali.

Dovranno essere le leggi di settore a dare senso ad uno slogan che tale ancora è rimasto e tale, probabilmente, ancora a lungo resterà. Perché è necessario immaginarsi in che modo verranno assicurati i princìpi e soddisfatte le esigenze che sino ad oggi hanno giustificato la permanenza in campo alle amministrazioni pubbliche delle funzioni che si vorrebbero lasciare ai soggetti privati. Già, appunto, ma a quali soggetti privati?

In certi casi l’individuazione dei soggetti privati non presenta difficoltà insormontabili. Per le prestazioni sanitarie e per l’assistenza sociale il processo di immissione dei soggetti privati nell’organizzazione dei servizi è già avanzato. Nella scuola siamo ancora in mare aperto, perché qui vi è qualche complicazione in più. Nessuno ospedale è concepito come "organizzazione di tendenza", tale da qualificare il proprio servizio in termini di "confessione" o di "ideologia": le strutture private operano secondo standard, princìpi ed etiche non diversi da quelli delle strutture pubbliche. Non è difficile, perciò, immaginarsi che il "servizio pubblico" abbia un gestore privato accanto a quello pubblico, così come accade nella televisione o nelle telecomunicazioni.

È probabile che anche nella scuola sia possibile procedere nella stessa ottica, ma solo ad alcune condizioni. Forse si potrebbe prospettare un "servizio educativo pubblico" gestito da soggetti diversi, alcuni pubblici (e non necessariamente "statali"), altri "privati": purché vi fossero regole comuni precise che disciplinano il modo in cui deve svolgersi il "servizio pubblico", sia esso offerto dalle scuole pubbliche o dalle scuole private. Si dovrebbe garantire la libertà di accesso di tutti al servizio, senza preclusioni "di tendenza", la laicità dell’insegnamento (compresa l’assenza di simboli e di insegnamenti a carattere religioso), il pluralismo dei docenti, che dovrebbero essere insindacabili nelle loro scelte personali (mentre oggi, nelle scuole di tendenza, sono cacciabili ad nutum per ogni infrazione alla confessione), e così via. Forse la gestione di un servizio pubblico così impostato non interesserebbe alcune delle attuali scuole confessionali, che sarebbero libere di proseguire la loro attività totalmente immerse "nel privato" (ossia, senza oneri per lo Stato), ma potrebbe sicuramente interessare altre scuole private, che non hanno l’indottrinamento come loro unico o principale obiettivo. Anche qui, in fondo, sarebbe un problema di scelta dei soggetti.

Un problema assai preciso di scelta dei soggetti si pone anche nel settore delle attività produttive. Qui ci troviamo di fronte anzitutto la questione delle Camere di commercio, che sono trasversali rispetto agli assi orizzontale e verticale della sussidiarietà: sono "pubblico" in quanto natura dell’ente, e sono "privato" in quanto a struttura rappresentativa; sono ancora "pubblico" per la natura delle funzioni amministrative loro assegnate dalla legge, e di nuovo "private" per la pretesa di rappresentare gli interessi del mondo dell’impresa, ponendosi in oggettiva concorrenza con le associazioni imprenditoriali. La legge 580/1993 le ha sottoposte ad una drastica riforma, ma lasciando aperto il disegno della loro riorganizzazione, rinviato all’autonomia statutaria. La legge 59 il decreto legislativo 112 ne hanno fatte salve le attribuzioni, ma non sono riusciti a delinearne meglio il ruolo. Le leggi regionali di riordino delle funzioni si muovono in direzioni divergenti: talvolta vi fanno menzione per mero adempimento formale delle previsioni del decreto Bassanini, in altri casi sembrano intenzionate a farne il pilastro dell’intervento regionale nei settori produttivi.

Proprio dalle Camere di commercio la Rivista intende iniziare un processo di riflessione sui soggetti e le forme della sussidiarietà "orizzontale". In questo fascicolo pubblichiamo una ricerca originale di Massimo Ferrante sulle Camere di commercio dopo la riforma del 1993, ricerca che offre spunti assai interessanti circa il ruolo delle Camere e la loro capacità di rappresentare gli interessi imprenditoriali. L’abbiamo sottoposta all’attenzione critica di Piero Bassetti, per sollecitare il commento di chi ha per tanto tempo vissuto al massimo livello l’esperienza camerale e il processo di riforma. E il commento non si è fatto attendere e, come il Lettore avrà modo di rilevare, non ha affatto deluso le aspettative.