ñ ñ

 

Roberto Bin

(editoriale di "Le istituzioni del federalismo", 5, 1999)

 

Il "muro" scolastico

Numerose generazioni l’hanno attesa inutilmente, ma ora la svolta epocale sta per compiersi. Il sistema scolastico italiano è sottoposto ad un processo di riforma che lo percorrerà per tutta la sua lunghezza, dalla scuola materna all’università e alla formazione post-lauream. Se i frequenti sommovimenti tellurici che sconquassano di continuo la politica italiana non bloccheranno improvvisamente questo processo, l’intero panorama dell’istruzione italiana ne risulterà mutato.

Eppure questa evidente rottura nell’ordinato succedersi delle generazioni – la scuola dei nostri figli sarà fortemente diversa da quella nostra e dei nostri genitori – non è oggetto di un vero dibattito pubblico. Tutta l’attenzione è infatti attratta da un unico problema dell’organizzazione scolastica, il nodo del sostegno pubblico alla scuola privata. Certo non è un nodo da poco. In quasi tutti i paesi europei, l’educazione pubblica si è lentamente e a fatica affrancata dall’egemonia dell’educazione religiosa attraverso una lotta politica spesso assai dura. Ma in Italia questo distacco non si è mai integralmente compiuto. Il regime "concordatario", che da noi si è scelto come regola dei rapporti tra stato e chiesa, ha mantenuto un rapporto "consociativo" che ha perpetuato una posizione di privilegio della chiesa cattolica, rispetto agli altri culti, nell’organizzazione degli studi: non solo attraverso la compresenza di istituti religiosi di istruzione, accanto a quelli pubblici, in tutto l’arco degli studi, università compresa, ma anche attraverso la presenza dell’insegnamento religioso, retribuito dallo Stato, e dei simboli della religione cattolica negli istituti di istruzione laica.

In questa situazione è comprensibile che il divieto di finanziamento pubblico della scuola privata, che la parte laica legge (e non senza fondamento) nell’art. 33.3 Cost., sia divenuto una vera e propria bandiera, sotto cui si riuniscono tutti coloro che hanno a cuore i valori della scuola come servizio pubblico laico e pluralista. Tanto più che, essendo le risorse pubbliche limitate (per non dire carenti), è chiaro che tutto ciò che va verso l’istruzione privata è tolto all’istruzione pubblica: il cui stato di difficoltà (e, in certe situazioni, di disfacimento) è poi assunto da parte cattolica come un fattore concorrenziale che promuove l’offerta educativa privata. D’altra parte (cioè, da parte cattolica), l’attuale situazione politica (un governo diretto dalla sinistra, cui i voti del centro cattolico sono indispensabili) appare perfetta per avanzare una richiesta precisa di superamento o di aggiramento del divieto costituzionale, dando ossigeno ad un sistema educativo, quello privato, che a fatica si può reggere sul solo apporto delle rette. Ma questo proclamato interesse di parte cattolica, e soprattutto della Chiesa ufficiale, di mantenere vivo il sistema delle scuole confessionali rafforza i sospetti dei laici, che vi riscontrano la conferma dei loro sospetti: cioè che la Chiesa vuole usare i danari pubblici per catechizzare le nuove generazioni.

È evidente che da un intreccio così stretto non se ne esce facilmente, e l’azione innovativa del governo sul piano scolastico rischia di restarne soffocata. Da qui il tentativo ripetuto del governo (dei governi, perché anche quelli regionali vi si trovano impegnati) di trovare escamotage continui che consentano di venire incontro alle richieste di parte cattolica senza infrangere il divieto sotto cui si serrano le file laiche. Governi di sinistra che s’inventano espedienti di sostegno pubblico nelle spese sostenute dalle famiglie che optano per le scuole private che ricordano l’ educational voucher di thatcheriana memoria (si veda il saggio di Torre); oppure che parificano gli oneri previdenziali di categorie, quali gli insegnanti "pubblici" e quelli "privati", che nulla hanno da spartire in comune quanto a modalità di assunzione, livello di retribuzione, status giuridico e garanzie di libertà d’insegnamento (se non addirittura di tutela della dignità personale).

Sono soluzioni inevitabilmente pessime, perché non risolvono il nodo di fondo: cosa sia la scuola privata nel nostro sistema. E questo nodo di fondo non lo si può sciogliere sinché la discussione si svolge a colpi di accuse e di argomentazioni speciose, senza il tentativo di iniziare a distinguere e a capire dove le opinioni sono davvero irriducibili. Per esempio, sbaglia la parte laica a guardare all’istruzione privata come a un sistema indifferenziato: che cosa ha da spartire la scuola confessionale con le scuole professionali organizzate da soggetti economici? Ma nello stesso errore cadono coloro di parte cattolica che si mascherano dietro alla scuola privata "laica" per chiedere il finanziamento pubblico della scuola confessionale.

Di questo nodo non se ne viene a capo né con divieti generalizzati, né con aperture incondizionate: i primi sarebbero irragionevoli, perché lo stato davvero deprecabile della formazione professionale in Italia (causa prima della disoccupazione giovanile) dipende anche da questo, da non aver incentivato un maggior coinvolgimento delle forze produttive nella formazione; le seconde sarebbero inaccettabili e certamente contrarie a costituzione. Deve essere chiaro che la scuola "pubblica", ancorché gestita da privati (anche religiosi), è cosa del tutto diversa dalla scuola confessionale. A quest’ultima sono consentiti privilegi che la scuola pubblica certo non ha, e sono privilegi che portano persino all’attenuazione delle garanzie costituzionali dei diritti fondamentali. È chiaro infatti che la scuola "di tendenza", sia essa un istituto cattolico, una yeshivah talmudica o una scuola coranica, per la loro stessa sussistenza, hanno bisogno di personale docente che risponda esemplarmente ai dettami della fede, e possono trovarsi nella necessità di selezionare anche gli studenti e le loro famiglie. Ad esse va assicurata la massima libertà e autonomia, ma è quantomeno discutibile che vada concesso anche il finanziamento pubblico.

Da laico, a me sembra che il finanziamento pubblico debba essere riservato al sostegno del servizio pubblico: ma il servizio pubblico è caratterizzato dalle regole, non dal gestore. Nulla di strano se il servizio pubblico scolastico fosse gestito da un soggetto privato, anche a vocazione religiosa: purché esso resti un servizio pubblico, ispirato a quei princìpi di laicità e pluralismo che sono imposti dalla costituzione. Il che significa nessuna concessione alla catechesi (che non si deve fare con il soldo pubblico), nessuna al personale docente licenziabile ad nutum per volontà del vescovo, nessuna discriminazione per l’accesso. Sta poi al soggetto privato decidere se ha interesse a gestire, a queste condizioni, il servizio pubblico: se la sua motivazione è educativa o confessionale. Ma la sua scelta deve avvenire nell’àmbito di regole chiare e precise, ed anche con chiari e precisi ausili e persino incentivi, perché la pluralità di gestori è a sua volta garanzia di pluralismo

Di queste regole dovremmo incominciare a discutere. Questo fascicolo intende essere un primo contributo alla discussione, offrendo un panorama delle esperienze maturate dai principali partner europei. Poi la Rivista organizzerà una tavola rotonda su questi temi, promovendo una riflessione sui materiali qui prodotti: i contributi alla tavola rotonda verranno pubblicati in uno dei prossimi fascicoli. Ma siccome la direzione di questa Rivista sente molto l’importanza dell’argomento, l’apriremo volentieri a tutti i contributi che ci verranno in futuro, anche (anzi, specialmente) se non richiesti.

 

ñ ñ