prof. Bin

 

E’ diffuso, anche attorno a questo tavolo, un atteggiamento perplesso rispetto alla prospettiva di introdurre il federalismo in Italia, si dubita della sua possibilità o della sua opportunità. Dipende dal gioco che intendiamo fare: se noi facciamo il gioco di caricare la parola ‘federalismo’ di grandi aspettative, vi ricolleghiamo significati sconvolgenti sul piano politico, storico o sociale, per poi dire che in Italia tutto ciò è impossibile e inopportuno, il gioco si smaschera da sé. Ma non c’è alcuna ragione di caricare il federalismo di tanti drammatici significati: forse converrebbe rimetterci sui piedi e incominciare a ragionare delle cose da fare; che esse poi si chiamino federalismo, regionalismo o decentramento sarà la dottrina a dircelo in seguito. Non ci deve importare tanto l’etichetta.

         Abbandoniamo i grandi affreschi progettuali, dunque, anche perché non c’è niente di più illusorio dell’ingegneria costituzionale, di quegli sforzi progettuali che si fanno sui giornali, spesso nei convegni e talvolta anche in parlamento. L’ingegneria costituzionale - la storia ci insegna - è sempre un fallimento: non c’è stata nessuna costituzione, per quanto ben pensata e progettata, che abbia funzionato come i suoi progettisti l’avevano pensata. Neppure quella francese - che pure è stata imposta da una testa unica, pensante in modo lineare e molto ben consigliata dai tecnici, invece di uscire dagli ondeggianti compromessi politici di un’assemblea costituzionale - neppure la costituzione francese ha avuto gli esiti voluti. La vita è sorprendente, e questo è il suo bello! Per questo gli ingegneri costituzionali perdono già in partenza.

         In Italia, invece, non si fa che parlare - e da quanto tempo? - di grandi e storiche riforme strutturali, di progetti o sogni di ingegneria costituzionale. Mentre quello che mai in Italia ha attecchito - come giustamente osserva Piero Scoppola nelle pagine finali della nuova edizione de “La Repubblica dei partiti” - è la pratica (e la filosofia) dell’emendamento. E’ la logica delle riforme piccole e minute ma significative, attraverso le quali il sistema costituzionale si consolida, aumenta la sua operatività, non si sconvolge dalle radici nella speranza di operare meglio in seguito. E’ la prospettiva del meccanico, non quella dell’ingegnere, quella che invoco.

         Le piccole riforme sono urgenti e indispensabili proprio sul terreno dei rapporti centro-periferia, e ciò per un preciso motivo: perché il quadro dei rapporti tra stato e sistema delle autonomie non è più regolato dalla costituzione; questa parte della costituzione è saltata, e ormai da decenni questi rapporti stanno fuori dalla legalità costituzionale. In questa materia la costituzione ha registrato fallimento: solo in questa materia, perché per il resto sono convinto che è un’ottima costituzione, sicuramente di molto migliore di quelle che ci propongono in questi giorni. Ma per ragioni di inesperienza, di mancanza di modellistica, e forse anche per scarso interesse da parte dei costituenti, il quadro costituzionale delle autonomie si è rivelato molto carente ed è crollato difronte alle difficoltà operative. Per cui oggi ci ritroviamo con una macchina decisionale complessa, attraverso la quale viene gestita buona parte delle risorse italiane, a cui è demandata larga parte delle decisioni politico-amministrative, ma che è priva di regole stabili, di meccanismi funzionanti.

         Ovviamente, se noi queste regole e questi meccanismi li ricerchiamo in progetti massimalisti di federalismo impossibile, trascurando il fatto che l’Italia ha una sua tradizione municipale piuttosto che regionale, che vi sono enti locali forti e regioni deboli, che vi sono divari impressionanti nella tradizione amministrativa, dobbiamo concludere che il federalismo è impossibile, e poi che è anche poco utile parlarne, perché altri eventi, altre dimensioni di problemi si sono ormai affacciati, ben altrove si prendono le decisioni strategiche per l’economia, la globalizzazione dei mercati, l’internazionalizzazione delle regole commerciali ecc. Ma se invece di fare il gioco tipicamente italiano delle parole facessimo un gioco meno usuale da noi, quello delle cose, capiremmo che alcuni passi potremmo farli, e che l’itinerario che essi profilano forse si potrebbe chiamare persino federalismo.

         Un’analisi delle relazioni interne al sistema centro-periferia ci dimostra che alcuni meccanismi “progettati” dalla costituzione non funzionano perché non possono funzionare. Se andiamo a vedere in altri Paesi - federali o meno forse non importa un granché - scopriremmo che alcuni meccanismi sono invece necessari per far funzionare il sistema a dovere. Sono i meccanismi di codecisione, di cooperazione tra livelli di governo e i meccanismi che rendono precise, stabili e facilmente individuabili le responsabilità di ognuno di essi.

         Quanto ai meccanismi di cooperazione, essi devono assicurare che le decisioni che riguardano la ripartizione delle funzioni e delle finanze tra Stato e Regioni e, sull’altro versante, tra Regioni e enti locali siano prese consensualmente dai soggetti interessati. Questo ci porta al nodo dei nodi, al problema che la dottrina quasi unanime indica come fondamentale: il problema di portare le regioni nel procedimento legislativo, ovvero nel parlamento. Questo è, se la paragoniamo alle altre di cui si parla, una piccola riforma, ma una riforma fondamentale, la chiave di volta del sistema delle autonomie, un meccanismo che da solo è capace di invertire il circolo vizioso che si è creato e di ridare stabilità alle relazioni centro-periferia, di assicurare un progressivo decentramento dell’amministrazione, di riportare controllo e razionalità nella legislazione. Vogliamo chiamare questa riforma, questo passo, “federalismo”? Chiamiamolo pure così, perché forse è la parola giusta. Perché è senz’altro nello spirito del federalismo l’idea di portare i livelli di governo minore a decidere insieme al livello superiore dei propri poteri: è una sorta di “sussidiarietà procedurale” che è anche l’unica garanzia che la “sussidiarietà sostanziale” non si traduca nella sistematica centralizzazione delle decisioni. E’ mettere in moto un sistema di setacci che costantemente scremano i compiti dell’amministrazione pubblica facendo piovere verso il basso i compiti che non hanno una dimensione tale da restare più in su.

         Il grave è che se dobbiamo affrontare il tema, come ci invita il titolo della tavola rotonda, di “Quale Federalismo per l’Italia” in termini di descrizione-previsione di ciò che accade, dovremmo dire che nessun federalismo è possibile in Italia, perché sul tavolo della Bicamerale mi pare che ci sia di tutto, salvo un’idea chiara di riforma in senso regionale o federale dello Stato, o anche solo una diffusa convinzione del carattere prioritario che essa assume. Non c’è perché non vogliono che ci sia, perché prevale un’irrefrenabile desiderio di restaurazione del sistema politico tradizionale, centralistico e inefficiente. Il primo passo della Bicamerale, staccare a livello organizzativo la questione della forma di stato dalla questione del bicameralismo, nega in radice il mio assioma: che, cioè, la chiave di volta del sistema delle autonomie è la regionalizzazione del potere legislativo. Ma il partito dei Senatori (e dei funzionari del Senato) ha fatto blocco, con la partecipazione commossa di tutto il ceto politico: e arriveremo all’assurdo che dal bicameralismo perfetto usciremo, non nella direzione del monocameralismo, ma in quella del tricameralismo, sia pure mascherato. Perché il problema dei problemi sembra non essere quello di ridare efficienza, prevedibilità, chiarezza alla macchina decisionale, ma di conservare il posto di lavoro ai politici. In questa logica è chiaro che il Federalismo diventa impossibile: ma l’ostacolo non è teorico, è politico.

 

 

prof. Bin

 

Lo spettro della secessione non mi sconquassa affatto dalla paura, come dice Miglio, ma mi sconquassa dal ridere, perché non riesco a immaginarmi chi seceda e da che cosa. Da che cosa secede il Veneto, che è una delle zone a più alta evasione fiscale in Italia? Sarebbe più facile evadere stando sotto l’Austria o la Baviera? Certe volte mi sembra che in questo Paese si prendano sempre sul serio le ultime cose che meritano di essere prese sul serio. Il problema della secessione non è un problema: non sarebbe un dramma, certo, ma neppure è una prospettiva seria, su cui lavorare razionalmente. Se tutti secedono in Europa, come dice Miglio, possiamo andare a pescare tranquillamente per questa generazione, perché il processo andrà parecchio per le lunghe. A me pare che il “federalismo” e il “miglismo” siano cose profondamente diverse: perché Miglio ha in mente un federalismo che, lui stesso lo dice, non ha riferimenti storici né esempi attuali, è un’utopia, di cui capisco il senso e il fascino, ma che è altra cosa dalla riforma delle nostre attuali istituzioni. Quello che mi spaventa è che poi queste utopie entrano nel dibattito come se appartenessero al tema del federalismo, e così complicano enormemente il dibattito e possono tradursi in un boomerang. Impediscono di parlare seriamente di quello che per me è un tema angoscioso, il problema del sistema amministrativo: che non è un gran problema, se vogliamo, non ha il fascino del “miglismo” o della “globalizzazione”, ma è assai vicino al problema della qualità della vita. Per quanto “globalizzati” avremo pur sempre a che fare con l’amministrazione pubblica.

         Io non riesco ad avere una visione olistica, del federalismo che risolve tutti i problemi: a me basterebbe che migliorasse la nostra amministrazione pubblica, che spaccasse i ministeri e la loro arrogante burocrazia, che togliesse l’inefficienza paralizzante degli apparati pubblici. A me sembrerebbe un obiettivo importante. Ma perché deve essere impossibile? E’ condizionato dalla “globalizzazione” o dall’ Europa? Sì, forse, ma sicuramente condizionano l’atteggiamento dell’Italia nei confronti della globalizzazione e dell’Europa: almeno nel senso che la macchina Italiana non riesce a prendere decisioni in Europa, non soltanto non riesce a spendere i soldi che dall’Europa riceve, ma è assente nella determinazione della politica europea. Questo dipende dal fatto che i circuiti decisionali sono malfunzionanti, intasati da decisioni che non devono essere prese al centro, non devono distogliere l’attenzione delle autorità statali dai problemi, appunto, della “grande politica”. Spezzare l’accentramento: questo io chiamo federalismo.

         Vi è un riflesso anche sulla classe politica (e forse è proprio il timore di questo riflesso che preoccupa l’attuale classe politica). Uno dei motivi di impazzimento della macchina amministrativa è che la politica “romana”, il ceto politico che sta al governo, in parlamento, nei vertici nazionali dei partiti, non ha esperienza di amministrazione attiva o, se la ha avuta, l’ha rimossa. Lo si vede dalle leggi che fanno: quando esce la finanziaria con i suoi collegati ci si mette un anno a capire quel che vuol dire, e quando finalmente si crede di aver capito qualcosa, ne esce un’altra e rimette tutto in discussione. Questo sta a significare che chi la scrive non ha minimamente in testa il problema della “fattibilità” amministrativa delle leggi. Questo è un dramma. E’ un dramma cui non si può ovviare se non cambiando i circuiti decisionali e anche la classe politica. Rafforzare i poteri locali, la presenza delle regioni in Senato e qualche bella norma che abroghi l’incompatibilità tra cariche parlamentari e la carica di sindaco, come dirò in seguito: tutto questo potrebbe migliorare il lavoro e la qualità della classe politica nazionale, non perché quella che vive in periferia sia migliore - su questo non mi faccio nessuna illusione - ma semplicemente perché conosce i problemi, e conoscere i problemi mi sembra una condizione per legiferare.

         Un’ultima cosa. Sono d’accordo con          PASQUINO: pensare che il 616 sia il modello per andare avanti sulla strada del federalismo è una follia. Le Regioni non hanno bisogno, in fondo, di maggiori poteri, né ne hanno i Comuni: ciò di cui hanno bisogno è di una bella legge, un’unica legge che abroghi tutte le leggi attuali, salvo quelle esplicitamente elencate. Hanno bisogno di poter esercitare liberamente i poteri che già hanno, ma solo sulla carta: di assumersi pienamente le loro responsabilità, ed essere finalmente costrette a renderne conto agli elettori.

 

 

 

prof. Bin

 

Due cose. La prima riguarda i temi della cittadinanza, del patriottismo costituzionale e del federalismo; l’altra riguarda i modi per uscire dal paradosso delle riforme.

         Cittadinanza e patriottismo sono ormai temi ridiventati di moda nel dibattito politologico, e sono una cosa seria perché ci costringono a considerare perché stiamo insieme nello stesso Paese, sotto la stessa costituzione: quali siano i valori che ci fanno riconoscere come membri della stessa comunità. L’idea che vi sia un soggetto, la Commissione bicamerale, che sta allegramente litigando su quali modelli di assetto costituzionale scegliere senza porsi il problema della cittadinanza, senza minimamente curarsi di quali valori faranno accettare e operare la “nuova” costituzione, quest’idea mi sembra una follia. Io credo che il federalismo non sia affatto una strada per dividere, ma la strada per ricuperare un senso della cittadinanza. Le diversità che esistono in Italia, diversità che sono profonde e che costituiscono una grande ricchezza di questo Paese, queste diversità devono avere un riscontro istituzionale. Tanto sono pesanti le insegne della centralità del potere, tanto più forte è il desiderio di separazione, non la coesione. Il patriottismo costituzionale, il senso della cittadinanza, si ricuperano valorizzando e istituzionalizzando le differenze e liberandole dal giogo del centro: consentendo alle comunità di autoamministrarsi, di essere responsabili del proprio governo.

         Secondo punto. Capisco quanto diceva BASSETTI sul paradosso delle riforme, sul fatto che questa amministrazione è troppo inefficiente e gelosa dei suoi poteri per poter riformarsi. Ma io credo nell’errore fortunato che consente lo sviluppo delle specie biologiche, quell’errore di riscrittura del programma per cui ogni tanto la specie muta e migliora: e penso che anche i sistemi politici e quelli amministrativi, che di errori ne fanno tanti, possano generare errori che generano mutazioni. Nel dibattito sulle riforme costituzionali, dibattito che trovo allucinante, in cui la passione per il gioco del compromesso politico induce a sostenere senza ridere le più sorprendenti sciocchezze, in questo dibattito vedo già profilarsi alcuni possibili errori, errori virtuosi e fortunati: ne bastano un paio e la pentola scoppia. Il sistema istituzionale è estremamente complesso, e le variabili da calcolare sono infinite. L’insostenibile leggerezza del gioco al compromesso politico, sorretta dalla sicumera, talvolta furbesca talvolta tracotante, degli ingegneri costituzionali, di errori ne produrranno più d’uno.

         E basta poco: pensate, ad esempio, a quale effetto potrebbe avere, sul sistema politico anzitutto, una piccola riforma - di semplici leggi ordinarie, non della costituzione: di quelle riforme che si possono fare anche per referendum, per intenderci - che togliesse l’incompatibilità parlamentare dei sindaci dei comuni maggiori. In Francia, L’Assemblea nazionale è composta in maggioranza da sindaci: non da ex-sindaci, o magari dai rappresentanti delle associazioni sindacali dei comuni e delle province, ma da sindaci effettivi, in carica. Passerebbero più le leggi finanziarie e i loro collegati così come passano oggi? Quanti deputati, che passano la loro vita in piccole operazioni di lobbing per portare a casa quel tanto da sventolare al proprio elettorato, in modo da fare concorrenza al sindaco della propria città, che magari è anche loro compagno di partito e di corrente: di quanti di questi deputati ci potremmo finalmente liberare, sostituendoli con i veri rappresentanti della comunità locale, finalmente messi in grado di essere pienamente investiti delle responsabilità della rappresentanza politica? Piccole riforme, piccoli errori possibili, errori probabili, forse già in atto... Ma è meglio non parlarne, non dire quali sono: se no addio alla mutazione del sistema!