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Roberto Bin

Il ruggito del Governatore

 

La riforma costituzionale con cui si è introdotta l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale ha avuto un impatto che è stato fortemente accentuato dall’esito delle prime elezioni condotte con il nuovo sistema. I nuovi Presidenti hanno scoperto di essere le autorità investite dalla più vasta legittimazione elettorale diretta in Italia (e forse persino in Europa occidentale) e quindi hanno preteso ed ottenuto uno spazio adeguato sul proscenio politico. A maggior forza l’hanno chiesto e ottenuto i leader regionali delle forze che, all’opposizione a livello nazionale, hanno conquistato la maggior parte delle Regioni, perché si sono sentiti artefici di una svolta politica decisiva.

Il sistema "mediatico" ha accolto i nuovi protagonisti rispolverando per loro il titolo di "governatori". Perché? In parte è la conseguenza dell’inveterata abitudine giornalistica (una pessima abitudine, a mio parere) di sostituire il nome proprio degli organi con gli appellativi più vari. Per lo più sono i nomi dei palazzi che esse occupano (il Quirinale, la Consulta, Palazzo Chigi, Palazzo Madama, la Farnesina ecc.) ad individuare le varie istituzioni, secondo un gergo che sarà perfettamente comprensibile ai salotti politici romani, ma che non aiuta certo i cittadini a intendere meglio la politica e sentirsene parte: la mappa politica italiana è troppo complicata perché si ponga a carico del pubblico anche l’onere di orientarsi nella carta stradale di Roma, certo non meno complicata. Ma altre volte gli appellativi hanno un potere evocativo preciso, ed è questo il caso del ‘governatore’.

A parte il Governatore della Banca d’Italia (il "Governatore" per antonomasia, almeno sino a ieri), il termine è del tutto estraneo all’esperienza attuale degli italiani (con la sola eccezione di quelli iscritti a club come il Rotary o i Lions, retti, appunto, da un "governatore"). Direi, anzi, che è estraneo all’esperienza della stessa Europa occidentale, almeno da quando non esistono più le colonie. I presidenti dei Länder tedeschi si fregiano del titolo di Ministerpräsident, Presidenti sono a capo delle Comunità autonome spagnole, l’Hauptmann guida i Länder austriaci, ecc. Il fatto è che tutti costoro presiedono un esecutivo collegiale che ha le caratteristiche genetiche e funzionali tipiche del governo parlamentare: sono eletti dall’assemblea cui rispondono politicamente. Che sia per segnare lo stacco da questa esperienza comune che sia stato escogitato il termine?

È proprio così. La sua "invenzione" non è da addebitare ai nostri giornalisti, ma - credo - ad un partito politico, la "Lista Bonino". Essa si è presentata alle elezioni regionali con lo slogan - leggo da un volantino distribuito nel mio collegio elettorale - "una vera Regione - Stato… seguendo i migliori esempi del federalismo liberale occidentale, con un Presidente - Governatore e Consiglieri - Deputati eletti da e per il territorio con sistema uninominale ad un turno".

L’idea del "Governatore della Regione" nasce probabilmente da qui, e il modello di riferimento è evidente. Ma non è tratta da un indefinibile "federalismo liberale occidentale", bensì dallo specifico sistema statunitense. Non si tratta solo di assonanze linguistiche con il termine governor impiegato negli Stati uniti (eredità per altro di un passato coloniale che è ancora presente nella terminologia del Commonwealth, e che di regola non denota affatto una carica elettiva). Il termine ‘governatore’ è stato usato ed è piaciuto ai nuovi Presidenti delle Regioni (almeno ad alcuni) perché segna una interruzione nella continuità della tradizione parlamentare europea ed evoca le caratteristiche tipiche del presidenzialismo americano, o almeno quelle che è comune riferire ad esso. È come si volesse dire che l’elezione diretta conferisce al "governatore" della Regione, non soltanto un’indiscussa autorità politica, ma anche una posizione istituzionale nettamente diversa dal passato, dissolvendo proprio quei tratti che segnano l’esperienza italiana e la tradizione europea: la collegialità dell’esecutivo e la responsabilità politica nei confronti dell’Assemblea, anzitutto. Ma è proprio così?

Non v’è dubbio che il "figurino" del governo presidenziale abbia ispirato la riforma costituzionale: ma il modello istituzionale è ancora tutto da inventare. Saranno i nuovi Statuti e le prassi istituzionali a definire la forma di governo delle Regioni: e sarà il sistema politico nel suo complesso a condizionare il disegno definitivo. Nulla o quasi è già scontato: che il Presidente sia eletto direttamente e possa scegliere i propri assessori indubbiamente favorisce l’affermazione di un modello presidenziale, ma di esso non è una condizione né sufficiente né, forse, necessaria. Tutto dipende dalla presa politica che egli avrà sulla coalizione di maggioranza, sulla capacità di influenzare il lavoro "costituente" del Consiglio, sulla sua capacità di garantire l’unità dell’indirizzo politico e di imporlo agli assessori. Ma tutto questo non è affatto garantito dalle nuove regole costituzionali né lo sarà dagli Statuti: le vecchie regole ostacolavano (ma certo non impedivano) il formarsi di una leadership politica regionale stabile e autorevole, le nuove regole statutarie potranno favorirla o di nuovo scoraggiarla, ma non assicurarla. Le regole non bastano.

Una lunga stagione, non facile, aspetta dunque i nostri "Governatori". Hanno preteso e ottenuto la scena, l’hanno occupata con dichiarazioni e prese di posizione autorevoli su tutte le questioni che in questi mesi sono passate sotto i riflettori della politica nazionale: dalla clonazione al Risorgimento, dall’immigrazione alla vendita delle licenze Umts per i telefonini; hanno varato progetti di alleanze interregionali e internazionali; hanno persino ottenuto spazio sui rotocalchi popolari. Insomma, hanno interpretato in modo adeguato uno dei tratti tipici del presidenzialismo americano, la personalizzazione della politica e la politica dell’immagine. Ma di un progetto istituzionale e di un’azione di governo non si scorgono ancora i segnali. Certo è ancora troppo presto, ma è su questo banco che la loro attività dovrà essere giudicata, non per le dichiarazioni spettacolari o lo splendore gengivale dei sorrisi: oppure è in questo senso che va reinterpretata oggi, nella società mediatica, la massima biblica "Un governatore saggio educa il suo popolo" (Siracide 10, 1)?

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