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Roberto Bin

Riforma degli Statuti e riforma delle fonti regionali

Tavola rotonda sul tema:

" Le Regioni nel sistema istituzionale italiano. Riforme e autoriforme"

 

1. Forma di governo e sistema delle fonti

Non c’è dubbio che gli aspetti più evidenti e più discussi delle innovazioni introdotte dalla legge cost. 1/1999 riguardano la "forma di governo" e il sistema elettorale regionale. Anche in prospettiva, in vista cioè della riforma degli Statuti, sono questi i profili che maggiormente attraggono l’attenzione. Vorrei invece richiamare l’attenzione su un aspetto meno vistoso, anche per il suo (apparente) significato essenzialmente tecnico: il problema del riordino delle fonti regionali.

Quasi mai nel dibattito politico-istituzionale attorno alle riforme costituzionali viene posta in rilievo la questione delle fonti del diritto. È un errore, ovviamente, per due ragioni.

Anzitutto, perché buona parte dell’insoddisfazione generale nei confronti del nostro attuale assetto di governo, che è la ragione del continuo riproporsi del tema delle riforme, è in realtà imputabile al nostro sistema delle fonti. Un numero di leggi incalcolabile, non già nel suo totale, ma addirittura nel numero delle cifre che lo compongono (dell’ordine delle decine o delle centinaia di migliaia?); una tecnica legislativa che impedisce di "interpretare", anziché "inventare" i precetti; un sistema giudiziario deprivato pertanto dell’indispensabile fondamento di legalità; un’amministrazione che ha perso la garanzia (non solo il limite) della legge, ed è alla mercé del giudice; un sistema istituzionale che riversa sulla legge tutte le aspettative e le incongruenze, ma è incapace di produrla entro tempi accettabili; un groviglio normativo che è lo specchio del groviglio istituzionale, entro cui le responsabilità perdono ogni centro d’imputazione. Devo continuare?

In secondo luogo, perché non tutti i sistemi di governo sono compatibili con un determinato sistema di fonti, e viceversa. Lo ha intuito lo stesso legislatore costituzionale, che infatti, abrogando il modello di governo regionale parlamentare-assembleare, ha abrogato anche la sua prima e più evidente proiezione sul sistema delle fonti: l’esclusività del potere normativo in capo al Consiglio regionale. Le implicazioni di questa innovazione non sono state ancora ben esplorate.

2. Il potere regolamentare nelle Regioni dopo la riforma

Nessun dubbio che fosse un’anomalia l’attribuzione del potere regolamentare all’assemblea legislativa: un’anomalia, è chiaro, in un sistema istituzionale, come quello impostosi di fatto nelle regioni, fortemente orientato alla forma parlamentare e dotato di un imponente apparato burocratico (non sarebbe stata affatto un’anomalia in un sistema assembleare con un’amministrazione "leggera", dedita essenzialmente alla programmazione, come era nei sogni originari). Opportunamente questa anomalia è stata rimossa, perché avrebbe reso assai difficile il funzionamento di un sistema di governo come quello che la riforma costituzionale delinea, sia pure in via transitoria. Il perché è chiaro: sarebbe del tutto inutile introdurre l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, rendere la formazione della Giunta autonoma dal Consiglio, se poi la guida politica e l’amministrazione delle Regione restassero interamente soggette alla volontà del Consiglio e alle norme da esso dettate. L’evoluzione della normativa "di contorno" che ha seguito la fortunata riforma del sistema di elezione del Sindaco è istruttiva: progressivamente si sono allentati i vincoli che legavano il Sindaco al Consiglio e lo si è dotato di poteri decisionali e normativi del tutto autonomi, fortemente limitando i poteri normativi del Consiglio.

L’aver abrogato la riserva consiliare di potere regolamentare era dunque un passo obbligato, ma di per sé apre un problema senza delinearne la soluzione. Alla soluzione dovrebbero provvedere i "nuovi" Statuti, in coerenza con le scelte che dovranno compiere circa la "forma di governo" regionale. Non mi sembra che, in linea di teoria, sia definitivamente impedita allo Statuto la restaurazione del vecchio sistema istituzionale di tipo assembleare, né, di conseguenza, la restituzione del potere regolamentare al Consiglio: ma, ragionando realisticamente, non credo che questa strada sarà praticata. Quindi di seguito ragionerò sull’ipotesi che il nuovo Statuto introduca un concorso tra il Consiglio e la Giunta nella produzione normativa: al Consiglio spetterà quantomeno il potere legislativo, alla Giunta spetterà almeno in parte il potere regolamentare. Il problema cui vorrei dedicare l’attenzione è come lo Statuto possa regolare questo concorso.

3. Il problema del concorso tra fonti regionali

La regolazione del concorso tra le fonti è praticata, nel sistema costituzionale italiano, da due meccanismi: la riserva di legge e il principio di legalità. Entrambi funzionano in una direzione sola: garantiscono lo spazio della legge contro la produzione regolamentare, mentre lasciano interamente alla legge il potere di determinare lo spazio residuo provvisoriamente assegnato al regolamento. Questo sistema asimmetrico è la proiezione sulle fonti della forma di governo parlamentare: il potere esecutivo dipende da quello legislativo e da questo deriva i limiti, l’estensione e la direzione della sua attività normativa, che resta pur sempre abrogabile dalla legge.

Sono dunque meccanismi che, trasferiti negli Statuti, non opererebbero con coerenza con la forma di governo "transitoria" indicata dalla legge di riforma costituzionale né con qualsiasi altra che si ispirasse ai suoi principi. Per di più sono meccanismi che comunque non opererebbero a pieno a livello regionale. Quest’ultimo aspetto merita un approfondimento.

Nulla impedirebbe agli Statuti di introdurre riserve di legge, in modo da garantire l’àmbito di competenza normativa del Consiglio; si potrebbero introdurre anche riserve di regolamento consiliare, impedendo all’esecutivo di disciplinare con normazione secondaria autonoma certi settori. Come fattore di regolazione del concorso delle fonti, non avrebbe invece un funzionamento efficiente a livello regionale il principio di legalità.

Il principio di unità dell’ordinamento giuridico fa sì che la legge statale e, ormai, la stessa normativa comunitaria possano costituire la base legale sufficiente all’azione amministrativa e regolamentare della Regione, senza la necessità dell’interposizione della legge regionale. Ciò pone l’esecutivo regionale nella condizione di emanare i propri regolamenti per l’attuazione delle norme statali e comunitarie senza attendere la legge regionale. L’unico ostacolo valido potrebbe essere proprio la riserva di legge regionale prevista nello Statuto. Nella materia in cui essa fosse prevista avremmo dunque un rallentamento vistoso della capacità della Regione di adeguarsi alle innovazioni normative, rallentamento di cui non sarebbe responsabile l’esecutivo ma il Consiglio. La riserva di legge diverrebbe quindi un meccanismo di forte tensione tra l’esecutivo e il Consiglio, nonché un fattore di deresponsabilizzazione dell’esecutivo, non più padrone dei tempi e delle modalità della sua azione. Quindi, quante più riserve di legge lo Statuto contenesse, tanto più lontano si collocherebbe dai princìpi che hanno indotto il legislatore costituzionale a varare la riforma.

Dove però la materia non fosse coperta da riserva di legge, la concorrenza tra regolamento dell’esecutivo e legge del Consiglio sarebbe completa. L’esecutivo potrebbe provvedere immediatamente all’attuazione delle leggi statali e degli atti comunitari, ma con la possibilità, per il Consiglio, di intervenire successivamente con legge e abrogare i regolamenti incompatibili. A questo punto il potere regolamentare dell’esecutivo verrebbe compresso e riportato agli angusti spazi dell’attuazione e dell’esecuzione della legge.

4. Riserve di legge, riserve di regolamento e meccanismi di regolazione

Coerenza con il sistema proposto dalla riforma costituzionale vorrebbe che, accanto ad un numero necessariamente ridotto di riserve di legge, lo Statuto ponesse anche un numero adeguato di riserve di regolamento dell’esecutivo. Senza di esse l’attività regolamentare dell’esecutivo è in ogni momento sostituibile dalla legge, fonte superiore e a competenza generale. Le vicende normative nazionali sono troppo note e esemplari per dover essere ripercorse: la continua rincorsa tra delegificazione e ri-legificazione, la natura solo provvisoria dei testi unici e delle leggi cornice, ecc.

Si noti che almeno in un àmbito l’allontanamento dal regime parlamentare puro dovrebbe comportare la conseguenza di una limitazione della competenza della legge: l’organizzazione dell’amministrazione e delle procedure amministrative. È questo infatti che hanno rivendicato e ottenuto subito i "nuovi" sindaci, e sarà questo che immediatamente rivendicheranno i "nuovi" Presidenti di Giunta regionale. L’elezione diretta del Presidente e il potere di nomina e di revoca dei "suoi" assessori, la fiducia "diretta" che il Presidente riceve dal corpo elettorale, mentre il rapporto fiduciario con il Consiglio è tutto da definire: questi fattori spingono verso una forte autonomia del potere esecutivo, una responsabilizzazione diretta del suo vertice per l’organizzazione dell’amministrazione e le sue "prestazioni". La conseguenza non può essere che una rigorosa attribuzione al Presidente del potere di organizzare e disciplinare la macchina amministrativa.

Scrivere nello Statuto la riserva di regolamento non è certo difficile. Il problema è come garantirne il rispetto. Il Presidente non ha alcun potere di rinviare la legge che ledesse le norme statutarie, né glielo potranno conferire i "nuovi" Statuti. Il controllo e il rinvio restano infatti interamente in capo al Governo nazionale: una volta che la legge venga vistata, il Presidente della Regione è tenuto a promulgarla nei dieci giorni, come prescritto dal non modificato art. 127.2. D’altra parte non è certo seriamente immaginabile che sia ritenuto compito del Governo nazionale presidiare il rispetto del riparto di competenze fissato dallo Statuto, perché ciò lo porterebbe ad ingerirsi nello scontro, tutto politico, che potrebbe sorgere tra il Presidente e il Consiglio. Allo stato attuale, dunque, non vi sono meccanismi che possano sistematicamente colpire e rimediare le violazioni del riparto di competenze che venisse tracciato dagli Statuti. La violazione dello Statuto, non rimediata nel corso del procedimento legislativo, rischia invece di emergere in sede di applicazione, generando eccezioni d’incostituzionalità. Sino al momento della dichiarazione di illegittimità da parte della Corte, la legge però resterebbe in vigore, prevalendo sugli atti regolamentari contrastanti. Un risultato che lascerebbe il Presidente della Giunta regionale privo della strumentazione necessaria a salvaguardare le sue attribuzioni.

Se non si vuole scrivere la riserva di regolamento solo pro forma, è necessario perciò che lo Statuto introduca un meccanismo infraprocedimentale di difesa del riparto di attribuzione, un meccanismo che operi prima della deliberazione finale della legge. Insomma, la soluzione naturale ci riporta all’instaurazione di un controllo preventivo interno al procedimento legislativo, cioè ad un meccanismo simile a quello introdotto dalla Costituzione francese. Anche in quella esperienza, il rafforzamento dell’immagine presidenziale e, poi, la sua investitura elettorale diretta hanno implicato l’introduzione di un riparto di competenze netto tra legge e regolamento, e per garantire questo riparto, si è dovuto introdurre un organo di tipo arbitrale, il Conseil constitutionnel, incaricato di dirimere in via preventiva gli eventuali conflitti di competenza. Come costruire questo meccanismo, adeguandolo alla realtà regionale, è una questione di seria progettazione: ma senza questo meccanismo si rischia di indebolire fortemente la tenuta dell’intero assetto statutario.

5. Per un riordino della produzione normativa

Riassumendo: se non si introdurrà negli Statuti un riparto di competenze normative tra Consiglio e Giunta, tra legge e regolamento, avremo un sistema in perenne stato di conflitto, con un esecutivo che non potrà difendersi dai continui sconfinamenti del Consiglio nelle scelte organizzative, gestionali e procedurali della Giunta; la riforma sarà perciò fallita e non vi sarà modo di opporsi alla progressiva restaurazione del sistema parlamentare tradizionale. Se invece si prevederà quel riparto, sarà inevitabile munirlo con l’introduzione di un organo o di una procedura di tipo arbitrale che risolva i conflitti di competenza prima che la legge venga approvata dal Consiglio.

D’altra parte, l’introduzione di un organo o di una procedura siffatti potrebbe servire per compiere un’ulteriore importante missione a cui gli Statuti dovrebbero dedicarsi: la riorganizzazione dello stesso sistema di legislazione. Uno dei fattori più efficienti nel produrre l’endemica confusione del nostro sistema di fonti è la mancanza di una graduazione interna alle fonti primarie: leggi che hanno richiesto anni di faticosa redazione e approvazione, una volta entrate in vigore sono assoggettate ad un’incessante erosione da parte di leggine o norme sparse nelle pieghe più recondite delle altre leggi. Lex specialis derogat legi generali è il broccardo che decreta il trionfo della leggina: in questa situazione, la semplificazione legislativa, la legislazione organica, i testi unici sono solo dei miraggi.

La revisione degli Statuti regionali potrebbe essere l’occasione per introdurre delle differenziazioni nel sistema delle leggi regionali. Può essere che a ciò concorra la probabile introduzione negli Statuti di organi collegiali di rappresentanza delle autonomie locali e la previsione di una loro partecipazione alla formazione di alcune leggi: queste leggi acquisterebbero immediatamente una posizione rinforzata, che però andrebbe difesa nel procedimento. Per le stesse ragioni illustrate nel § precedente, la difesa delle leggi rinforzate non potrebbe essere affidata che ad un organo o ad una procedura arbitrale preventiva, se non si vuole che sia il Governo o il giudice a farla saltuariamente valere. Dunque, anche a prescindere dal problema dei rapporti tra Giunta e Consiglio, e dei rispettivi poteri normativi, qualsiasi doveroso intervento degli Statuti sul sistema di produzione normativa regionale sembra dover passare attraverso la differenziazione degli atti normativi e, conseguentemente, l’introduzione di un organo preposto al controllo preventivo.

6. Come dare certezza all'amministrazione regionale?

Più ardito, benché non del tutto impossibile, è che lo Statuto cerchi di agire anche sull’altro versante del problema delle fonti regionali: quello, ormai insopportabilmente intricato, dei rapporti tra fonti regionali e fonti statali. È fuori discussione che questa materia non potrebbe essere regolata unilateralmente dallo Statuto regionale. Però non mi sembrerebbe impossibile, in via di principio, che lo Statuto disciplini l’amministrazione regionale dicendo quali sono gli atti su cui essa deve basare la sua attività. L’obiettivo non potrebbe certo essere quello di slegare l’amministrazione regionale dall’obbligo di rispettare le leggi statali e le norme comunitarie self-executing, bensì quello di dare certezza all’amministrazione, creando meccanismi che eliminino le situazioni, del resto frequentissime, di incertezza sulla norma vigente.

Di conseguenza, non mi immagino un meccanismo che regoli l’ingresso e l’applicazione delle norme statali nell’ordinamento regionale, come quello previsto dalle norme di attuazione dello Statuto del Trentino-Alto Adige; quanto piuttosto un meccanismo simile a quello introdotto nel Regno unito dallo Human Rights Act 1998 per adeguare l’ordinamento inglese alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Serve insomma una norma statutaria che conferisca al Presidente della Giunta regionale il potere di emanare atti di primo adeguamento alle leggi dello Stato, agli atti di indirizzo e coordinamento, alle norme comunitarie direttamente applicabili, alle sentenze della Corte costituzionale: indicando quali norme legislative e regolamentari regionali si intendono abrogate e quali norme vanno applicate. Ad esso andrebbe aggiunto il potere di promuovere, laddove sia necessario, un disegno di legge che il Consiglio deve approvare o respingere entro termini ristrettissimi, ferma restando la possibilità di ripensare in un secondo tempo la materia e di regolarla con una normativa definitiva. Certezza per l’amministrazione, velocità di risposta sono insomma i due obiettivi che andrebbero perseguiti.

7. Sull'esigenza di ripensare integralmente il ruolo dei Consigli regionali

Queste proposte sembrano muovere tutte nel segno di un drastico indebolimento del Consiglio regionale. È indubbio che il problema di rifondare il ruolo del Consiglio regionale sia una delle priorità che si dovranno seriamente porre gli Statuti. Non è mio compito approfondire qui questo tema: tuttavia mi preme notare che la posizione del Consiglio all’interno di una forma di governo regionale ispirata ai principi del presidenzialismo va integralmente ripensata, né il problema può essere risolto con la semplice conservazione di scampoli di potere.

La rottura del continuum governo-maggioranza parlamentare - che è il connotato tipico della forma parlamentare, materializzato nel rapporto di fiducia - crea una situazione del tutto nuova non solo nei rapporti tra esecutivo e legislativo, necessariamente molto più allentati, ma nelle stesso rapporto tra maggioranza e opposizione nell’assemblea, necessariamente assai più stretti, perché per almeno alcuni versi gli interessi dei rispettivi consiglieri sono convergenti. Infatti, se lo spostamento del potere decisionale in capo all’esecutivo provoca una maggior difficoltà, per chi siede nei Consigli, di incidere sulle scelte dell’apparato politico-amministrativo (o di aspirare a divenire parte dell’esecutivo, scalzando qualcuno dei membri attuali: anche questo era, in fondo, un aspetto del continuum), devono i consiglieri, siano essi di maggioranza o di opposizione, ricuperare appieno la loro fondamentale funzione di rappresentanza della società regionale e di comunicazione con essa.

Sono le premesse per una rifondazione delle funzioni di controllo politico che sono tipiche di ogni parlamento, ma soprattutto del parlamento di un sistema presidenziale. Funzioni di controllo che possono ben spingersi sino ad un severo esame delle candidature alle cariche la cui nomina spetta all’esecutivo ed anche ad un parere obbligatorio (ma con tempi certi) su tutte le decisioni più importanti dell’esecutivo, regolamenti inclusi. Funzioni di controllo che poi si manifestano nei tipici poteri ispettivi, di vigilanza, di verifica, di indagine che sono propri delle assemblee, ma che oggi richiederebbero, da parte degli Statuti e dei regolamenti consiliari, un’attenta rivisitazione, per adeguarli alle regole della comunicazione politica. Tutti gli strumenti del controllo politico devono essere riprogettati per essere canali di comunicazione efficienti con la società civile e perciò garanzia di trasparenza dell’amministrazione. E su questo versante, oltre che su quello dell’innovazione legislativa, che i Consigli possono giocare la loro partita.

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