Lo Stato dopo la “cura Bassanini”

 

Roberto Bin

 

 

Il programma del Ministro Bassanini era davvero ambizioso: attuare una rivoluzione amministrativa in senso autonomistico “a costituzione vigente”. Operando con i soli strumenti della legislazione ordinaria, senza attendere la tanto conclamata riforma della Costituzione, si voleva anticipare il “federalismo” attraverso un radicale trasferimento di funzioni dal centro alla periferia. Gli strumenti di cui il Governo si è dotato sono eccezionali: una delega legislativa, concessagli dal Parlamento con la legge 59/1997, la cui ampiezza non ha precedenti. Il Governo è stato delegato a trasferire alle regioni ordinarie e agli enti locali tutte le funzioni amministrative di cui era titolare salvo quelle appositamente elencate dalla legge di delega: le funzioni escluse erano soltanto quelle tipiche di uno stato federale. Parallelamente, il Governo è stato delegato a por mano ad una radicale riforma delle strutture ministeriali, in modo da chiudere quegli uffici e quegli enti le cui funzioni venivano trasferite in periferia, conferendo alle regioni e agli enti locali le risorse umane, materiali e finanziarie relative; ed infine è stato delegato a ridisciplinare alcuni settori chiave, quali il commercio, gli ausili all’industria, il lavoro nella amministrazioni pubbliche, l’organizzazione scolastica.

Oggi – maggio 1998 – un primo bilancio può essere già tratto, a quattordici mesi dall’entrata in vigore della legge 59. In forza di questa legge, il Governo ha già emanato 20 decreti delegati, alcuni di importanza storica (si pensi alla riforma del commercio): ma particolare importanza riveste il decreto legislativo 112/1998, che è lo strumento principale di conferimento delle funzioni amministrative al sistema delle autonomie locali. Esso è stato “anticipato” dal decreto 143/1997, che riguarda l’agricoltura (emanato per evitare l’ennesimo tentativo delle regioni di abrogare il relativo Ministero con lo strumento del referendum); dal decreto 469/1997, che riguarda il sistema del collocamento (anticipato per ovviare ai rilievi mossi dalla Commissione della Comunità europea al monopolio pubblico del collocamento: al commento di questo decreto è dedicato il fascicolo 2/1998 della rivista “Le istituzioni del federalismo”, in corso di stampa); dal decreto 422/1997, che riguarda i trasporti (oggetto di una delega autonoma); e dal decreto 281/1997, che ha riformato gli strumenti di cooperazione tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali (al commento di questo decreto è dedicato il fascicolo 1/1998 della rivista “Le istituzioni del federalismo”, in corso di distribuzione). Che valutazione dare a questa complessa manovra legislativa?

Nel complesso non si può che dare una valutazione positiva. In particolare, il decreto 112 – che conta ben 164 articoli – rappresenta un trasferimento di funzioni che non ha precedenti, almeno per dimensioni quantitative. Non è possibile entrare in qui nei particolari (al commento analitico del decreto 112 è dedicato il prossimo fascicolo della rivista “Le Regioni”, in corso di stampa): merita soffermarsi piuttosto su alcune caratteristiche, ovviamente non tutte positive:

a)        Il metodo, anzitutto. Il Ministro Bassanini è riuscito a condurre un’operazione su cui pochi sarebbero stati disposti a scommettere: governare l’attuazione della 59 attuandola – a parte le anticipazioni di cui si è detto – con un unico decreto delegato. L’obiettivo era importante, perché se l’attuazione fosse stata “appaltata” alle singole strutture ministeriali, le resistenze degli apparati burocratici ad un massiccio trasferimento delle “loro” attribuzioni sarebbero state insuperabili. Molti tavoli di lavoro si erano costituiti settore per settore tra funzionari ministeriali e “colleghi” regionali: il risultato che si delineava era una preoccupante polverizzazione della delega e la perdita di una più lungimirante guida politica. Questo pericolo è stato sventato dall’accorta tattica seguita dal Ministro che, quando ormai il termine della delega stava per scadere, è uscito con una bozza di decreto unico, predisposta da équipe di studiosi appositamente istituite da Bassanini: essa, e non i lavori lungamente condotti nei “tavoli tecnici”, è divenuta la base della discussione, dentro il Governo e tra il Governo e le regioni. Alcuni prezzi sono stati indubbiamente pagati: vi sono settori, come lo spettacolo e i beni culturali, ma anche l’ambiente, in cui il trasferimento è praticamente inesistente. A questo risultato, certo non soddisfacente, si è giunti anche perché è stata disattesa una fase fondamentale del percorso tracciato dalla legge 59. Essa prevedeva che in alcuni settori particolarmente delicati - protezione civile, difesa del suolo, tutela dell'ambiente e della salute, lo spettacolo, la ricerca, l’energia - i “compiti di rilievo nazionale” fossero individuati prima della predisposizione degli schemi di decreti legislativi, attraverso un’intesa da raggiungersi in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (quella riformata con il decreto 281/1997): questa fase è stata “saltata” e le regioni, per non bloccare l’intero processo di attuazione della delega, hanno accettato di discutere lo schema di decreto senza prima concordare le funzioni che dovevano restare in capo allo Stato.

b)       La “processualità”. Uno degli aspetti più interessanti della legge 59 è che essa disegna la sua attuazione come un processo di cui l’emanazione dei decreti delegati è solo la prima fase. Essa deve essere seguita dalle leggi regionali di conferimento agli enti locali delle funzioni di non esclusivo interesse regionale, e dall’emanazione di una serie di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri rivolti al trasferimento delle risorse umane, materiali e finanziarie rese “libere” dal trasferimento delle funzioni; questi ultimi devono essere a loro volta seguiti da regolamenti governativi di riordino delle strutture amministrative centrali, ormai “alleggerite”; infine disposizioni correttive e integrativa possono essere emanate dal Governo per riassestare il sistema. Il processo ha meccanismi di controllo e di garanzia: tutti gli atti dello Stato (salvo i regolamenti di riordino delle strutture ministeriali) sono sottoposti al parere della Conferenza “unificata” (che somma le Conferenze Stato-regioni e Stato-città). Il decreto 112 contiene anzi una norma tanto innovativa da rischiare di essere velleitaria: siccome i d.P.C.M. che riguardano le risorse assumono un ruolo decisivo nel "processo", è riconosciuto alle regioni quasi una specie di potere sostitutivo nei confronti del Governo, nel caso che questi ne ritardi l'emanazione; sono le stesse regioni a proporre lo schema di provvedimento su cui la Conferenza si deve pronunciare! Ma a loro volta le regioni possono essere “sostituite” dal Governo, tramite un decreto delegato, se non emanano nei termini previsti le loro leggi di trasferimento delle funzioni agli enti locali (che non si tratta di uno spauracchio inoffensivo lo ha dimostrato – provocatoriamente, al dire il vero – il decreto legislativo 60/1998 che ha “sostituito” le regioni colpevoli di non aver attuato il decreto delegato in materia di agricoltura, del tutto privo di reali contenuti in termini di conferimento di funzioni alle regioni stesse!).

c)       La tattica e le sue conseguenze. La processualità delineata dalla legge 59 non è stata pienamente rispettata nell’attuazione. L’aspetto più negativo è che il decreto delegato 112 non ha assolto ad uno dei suoi compiti fondamentali: cioè sopprimere, trasformare o accorpare le strutture centrali e periferiche interessate dal conferimento di funzioni, ed indicare i criteri di ripartizione tra le regioni, e tra queste e gli enti locali, dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative. È a tutti chiaro che su questo punto si gioca gran parte della partita: la storia patria ci insegna che mai un trasferimento di funzioni sarà effettivo se non si sradicano le strutture burocratiche che le detenevano, perché se no giorno dopo giorno le stesse funzioni saranno ricuperate dal centro. Ma il Ministro Bassanini ha dovuto piegarsi alla tattica degli Orazi, e non affrontare tutti i nemici in un sol colpo: per cui queste decisioni sono rinviate ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Questi si gonfiano di contenuti, dunque, e ciò spiega perché le regioni abbiamo richiesto (e ottenuto) le garanzie di cui si è detto al punto precedente.

d)       La tattica e i suoi limiti. Quando l’ultimo degli Orazi, dopo la lunga ed estenuante corsa, si volse ed affrontò i Curiazi uno ad uno, ebbe la feroce prudenza di ucciderli. Lo stesso non potrà fare il Ministro Bassanini, a causa della costituzione vigente. Nulla pone il complesso sistema di atti normativi che si sta varando a riparo della futura legislazione: in ogni collegato alla finanziaria, in ogni leggina di settore, decine di tentativi di ricupero delle perdute attribuzioni saranno perpetrati dalle burocrazie ministeriali. La nostra costituzione non consente di differenziare le fonti normative al fine di mettere le leggi importanti al riparo dall’erosione continua da parte della “legislazione spazzatura”. Su questo duro scoglio rischiano di naufragare tutte le grandi operazioni di delegificazione, semplificazione amministrativa e decentramento delle funzioni: è ancora la storia patria ad insegnarcelo. Qui sì una riforma costituzionale servirebbe: un procedimento legislativo differenziato, cui partecipino le regioni e i governi locali, e attraverso il quale si producano leggi “rinforzate” non derogabili se non con questo procedimento. Ma di tutte le fantasiose idee riformatorie che popolano i lavori del Parlamento “costituente” proprio questa, alla fine, manca.