Semplificazione e Statuto regionale

 

Roberto Bin

 

1.    Gli obiettivi della semplificazione regionale

Il processo di semplificazione nella Regione Emilia-Romagna, avviato con la legge Bassanini e con la legge reg. 3/1999, deve ora essere correttamente ricollocato nel quadro delle riforme costituzionali introdotte dalle leggi cost. 1/1999 e 3/2001. In origine esso muoveva essenzialmente verso quattro obiettivi:

a)    semplificazione della legislazione regionale, attraverso l’abrogazione della normativa non più attuale e la riduzione della legislazione in vigore in un numero limitato di testi unici;

b)   delegificazione della normativa regionale, attraverso lo spostamento della disciplina analitica e procedimentale dal livello legislativo a quello regolamentare;

c)   semplificazione dei procedimenti amministrativi previsti dalla legislazione di settore;

d)   decentramento delle funzioni di amministrazione attiva agli enti locali.

 

Rispetto a questi obiettivi, verso i quali la legislazione regionale ha già fatto passi importanti, le riforme costituzionali hanno introdotto alcune varianti.

In primo luogo l’operazione di semplificazione della legislazione di settore comporta oggi, a seguito della riforma del Titolo V, l’esigenza di un’accurata revisione dei contenuti della legislazione in vigore. Lo spostamento di quasi tutte le materie di competenza concorrente previste dall’ex art. 117 Cost. alla competenza residuale-esclusiva delle Regioni richiede la verifica della permanenza dei vincoli nella legislazione statale. Infatti in questi casi il limite specifico non è più dato dai “princìpi” desumibili dalla legislazione statale nella materia, ma esclusivamente dal rispetto di quei “limiti” che sono riferibili alle “materie” trasversali che l’art. 117.2 riserva alla legislazione statale: quindi, in particolare, alla “tutela della concorrenza”, all’”ordinamento civile e penale” e ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. Si tratta di “limiti” che, in attesa di una riforma della legislazione statale, vanno ancora desunti in via d’interpretazione dalla legislazione statale vigente; ma sono ovviamente “limiti” che non comportano sottrazione di settori della materia, quanto l’obbligo di considerazione degli interessi specifici che lo Stato persegue con la sua legislazione. Importante è l’insegnamento delle prime sentenze della Corte costituzionale, costante nell’indicare la necessità che le “materie” e i “limiti” siano definite e individuati attraverso la ricostruzione della combinazione degli interessi in cura, rispettivamente, allo Stato, alle regioni e agli enti locali.

Inoltre, le Regioni hanno di fronte un compito di revisione di un’amplissima area della legislazione, in larga parte non precedentemente toccata dalla legge regionale, e compresa o nella competenza residuale di cui si è detto o nella competenza concorrente. In queste materie, dunque, la legislazione regionale dovrà porsi l’obiettivo di semplificare innanzitutto la legislazione statale vigente, togliendo tutto ciò che in essa è inutile appesantimento burocratico.

In secondo luogo, la delegificazione oggi può avvalersi del nuovo assetto del potere regolamentare, introdotto dalla legge cost. 1/1999. Per quanto possa essere dubbio (come argomentato dalla nota ordinanza del TAR Milano) che la semplice abrogazione della norma costituzionale che attribuiva al Consiglio regionale il potere regolamentare abbia comportato l’automatico spostamento della competenza in capo alla Giunta regionale, pur restando però intatta la norma attributiva scritta nel vecchio Statuto, non pare discutibile che già oggi, pur non essendo intervenuta la revisione dello Statuto, la legge regionale possa validamente compiere l’attribuzione di specifici poteri regolamentari alla Giunta. Sicché la delegificazione, che comunque richiederebbe una legge regionale per essere innescata, può nella legge regionale stessa trovare base legale sufficiente; il processo quindi può iniziare già ora, in attesa che lo Statuto definisca, forse definitivamente, chi e a quali condizioni possa esercitare il potere regolamentare. Ma l’obiettivo della legge attuale, e dello Statuto futuro, non può che essere uno: attribuire il potere regolamentare, almeno per ciò che riguarda l’organizzazione e le procedure amministrative, a chi reca la responsabilità politica, di fronte agli elettori, del buon funzionamento e dei risultati della macchina amministrativa, ovviamente lasciando alla legge la fissazione di tutto ciò che riguarda i diritti e gli interessi dei cittadini.

In terzo luogo, la semplificazione dei procedimenti si prospetta come una conseguenza della delegificazione, da un lato, e del decentramento delle funzioni agli enti locali, dall’altro. Assumendo come punto fermo che la semplificazione, come la stessa Corte costituzionale ha confermato, non è una “materia” su cui questo o quel livello di governo possa vantare la competenza, sembra chiaro che, per ciò che riguarda la Regione, il compito della legge è essenzialmente di definire gli interventi e, dove necessario, indicare quali interessi devono essere acquisiti nel procedimento (consultazioni, pareri di determinati soggetti esterni all’amministrazione agente, contraddittorio ecc.), mentre per il resto la semplificazione dei procedimenti deve essere una regola di “buona pratica” dell’organizzazione amministrativa.

In quarto luogo, il decentramento delle funzioni agli enti locali si è già ampliamente compiuto nella Regione Emilia-Romagna in attuazione della riforma Bassanini, e solo nell’opera di revisione della legislazione di settore sarà possibile progredire ancora su questa strada (mentre essa resta del tutto aperta per le materie “nuove” verso cui si può affacciare la legislazione regionale dopo la riforma del Titolo V).

 

 

2.    Una premessa di metodo, in vista dello Statuto

 

Un’opera di semplificazione può essere avviata solo in relazione ad un oggetto già esistente, ossia alla legislazione regionale in vigore. È invece del tutto fuori luogo che la semplificazione entri tra gli obiettivi “stabili” (cioè, non transitori) fissati dal nuovo Statuto regionale. La semplificazione è il rimedio ad un fenomeno di “complicazione” della legislazione che si è indubbiamente realizzato in passato e di cui andrebbero indagate attentamente le cause “tecniche”. In altri termini, l’esigenza di semplificazione nasce da un’esperienza di complicazione che, in larga parte, è un fenomeno tutto italiano. Nessuna occasione migliore per svolgere tale indagine che la revisione della legislazione stessa: ma lo Statuto, necessariamente rivolto al futuro, non dovrebbe affatto imporre la “semplificazione” come metodo, quanto invece dovrebbe introdurre i meccanismi che assicurino in futuro la “semplicità” della legislazione, che combattano quindi quelle cause che in passato hanno prodotto complicazione normativa.

  Il punto è di straordinaria importanza. È paradossale che in molte bozze di Statuto la “semplificazione” compaia nei princìpi professati come cardine della futura legislazione, sino al punto di prevedere apposite procedure per la formazione annuale della legge di semplificazione, secondo il modello “Bassanini”. Questa può essere una misura transitoria (anzi, sarebbe molto apprezzabile che una disciplina transitoria di questo genere fosse prevista), per riportare il sistema legislativo ad un punto “zero” da cui ripartire con prassi e tecniche nuove: ma per il resto è decisivo che lo Statuto si preoccupi di costruire meccanismi legislativi che garantiscano il non perpetuarsi delle antiche prassi che hanno prodotto i fenomeni negativi, che ora, in nome della semplificazione, si vorrebbe combattere.

Quindi la legislazione pre- e post- statutaria di revisione e semplificazione della legislazione attuale della Regione dovrebbe preoccuparsi anzitutto di individuare le cause della passata complicazione legislativa, consentendo così di introdurre nei lavori per il nuovo statuto gli espedienti necessari a garantire in futuro la “semplicità” della legislazione (se proprio nello Statuto è necessario introdurre dei princìpi a questo proposito, si parli allora del principio di “semplicità”, anziché di quello di “semplificazione”, ossia dell’igiene preventiva della legislazione futura, non della cura di malattie che è già scontato che la legislazione futura comunque avrà). Le stesse considerazioni vanno fatte per ciò che riguarda la delegificazione, poiché la proliferazione incontrollata di norme legislative è frutto anch’essa di meccanismi e prassi insane invalse in passato, ma che non è affatto detto che debbano permanere in futuro, potendo e dovendo su ciò incidere proprio gli Statuti.

 

 

3.    Come procedere nel periodo transitorio

 

Non è strettamente indispensabile che all’opera attuale di semplificazione ci si avvii attraverso una legge sulle procedure. Infatti il compito di conferire base legale all’opera di delegificazione potrebbe essere assolto dalle leggi di riordino del singolo settore. Ma, anche senza ricorrere alla legge, bensì attraverso un’intesa istituzionale, si dovrebbe individuare l’organo tecnico che soprintende alla revisione della legislazione in vigore. Sembrerebbe estremamente opportuno che l’organo tecnico sia costituito da un comitato paritetico formato da tecnici della Giunta e del Consiglio, magari integrato da alcuni tecnici designati dal Cral. Ciò potrebbe:

o     favorire un largo consenso sui testi da approvare poi con legge regionale

o     incrociare esperienze e punti di vista necessariamente diversi

o     precostituire in nuce l’organo tecnico che lo Statuto dovrebbe istituire al fine di evitare che la legislazione futura ripristini la passata complicazione legislativa.

 

L’organo tecnico dovrebbe predisporre uno schema tipo dei contenuti delle leggi di riordino (per esempio, indicando che nelle prima parte siano enunciati princìpi ed obiettivi, nella seconda gli interventi previsti, nella terza il riparto verticale delle funzioni, nella quarta gli interessi da coinvolgere nel procedimento amministrativo, ecc.). L’organo tecnico dovrebbe dare una soluzione omogenea ad alcuni problemi “trasversali” quali sanzioni, controlli, vigilanza ecc.; dovrebbe anche ridurre e concentrare gli organismi di rappresentanza degli interessi. Dovrebbe infine definire una “buona pratica” per la riformulazione dei testi legislativi e una serie di test con cui verificare la bontà dei testi revisionati. Spetterebbe alle strutture di settore rivedere la legislazione e proporre i testi “semplificati”, da discutere in contraddittorio con l’organo tecnico prima della presentazione in Consiglio regionale.

L’intesa istituzionale che avvia il processo potrebbe essere seguita da una norma transitoria di integrazione del regolamento del Consiglio regionale che preveda il procedimento per commissione redigente per le proposte di legge corredate dal parere positivo dell’organo tecnico e un parere di questo su tutte le future leggi che intervengano nella materia già “semplificata”. Si tratterebbe di una norma esplicitamente transitoria, in attesa del nuovo Statuto.

Spetterebbe invece alla legge di riordino del settore (o, in alternativa, alla legge generale transitoria sulla semplificazione) definire alcune regole di fondo, quali:

o     la durata massima dei procedimenti amministrativi previsti: questo è un obiettivo “politico”, legato alla performance dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. E’ un vincolo che la legge deve porre all’amministrazione, che poi dovrà regolamentare i procedimenti di conseguenza. Sarebbe un grande segnale politico di novità, perché rimetterebbe in un ordine “naturale” i rapporti tra cittadini e amministrazione: non più i tempi dei cittadini graduati sui tempi “necessari” all’amministrazione, ma il contrario, cioè l’amministrazione che organizza le sue procedure nei tempi giudicati “sopportabili” dai cittadini:

o     la regola dello sportello unico dell’amministrazione, anch’esso da definirsi secondo il principio di sussidiarietà, principio che, è bene sottolineare, deve essere affermato e strumentato in nome dei diritti dei cittadini nei confronti dell’amministrazione, e non semplicemente in nome delle attribuzioni che spettano ad un livello di governo piuttosto che ad un altro. Riuscire a tradurre il principio di sussidiarietà in termini di diritti dei privati – così come la legge 241 ha fissato alcuni diritti dei cittadini nei confronti della PA – significa garantire l’operatività concreta del principio stesso, dando ai cittadini la possibilità di far valere i propri diritti anche in sede giurisdizionale (come è accaduto di molte innovazioni della legge 241);

o     il controllo di un organismo esterno di monitoraggio e di valutazione della qualità dell’amministrazione e delle sue performance. Anche in questo caso si tratterebbe di avviare un’esperienza che potrebbe essere utile per impostare un regola statutaria e strumentarla in seguito.

 

4. La semplificazione nello Statuto

 

Come già si è osservato, di semplificazione lo Statuto non dovrebbe affatto parlare. Potrebbe semmai introdurre la previsione di una legislazione transitoria di “semplificazione” che completi l’opera già eventualmente iniziata dal legislatore regionale. Lo Statuto dovrebbe invece imporre alcune regole al procedimento legislativo, tali da garantire che la legislazione regionale si ispiri al principio di semplicità. Per esempio, si potrebbe prevedere:

 

a)                  un ruolo forte, nel procedimento legislativo, di un organismo tecnico di controllo della qualità della legislazione. È infatti indispensabile impedire che la legislazione regionale possa essere nuovamente frantumata da emendamenti e deroghe implicite (e spesso inconsapevoli). Si potrebbe per esempio prevedere che l’organismo tecnico intervenga obbligatoriamente dopo l’approvazione finale della legge, in sede di revisione tecnica, con la conseguenza che, se le osservazioni comportano modifiche di rilievo del testo, il Consiglio proceda ad una seconda votazione finale;

b)                 un ruolo preciso di un organismo che curi il monitoraggio dei procedimenti amministrativi e quindi esamini, da un lato, i risultati delle leggi e, dall’altro, le performance delle amministrazioni, anche comparandone l’efficienza. Si tratta di un controllo indispensabile al buon funzionamento del principio di sussidiarietà, perché diretto a valutare l’adeguatezza delle amministrazioni;

c)                 un metodo diverso di pubblicazione delle leggi e dei regolamenti. L’organismo tecnico potrebbe essere incaricato di pubblicare le delibere legislative regionali, promulgate dal Presidente della Regione, che introducono modifiche alla legislazione vigente, esclusivamente nella forma della legislazione vigente “unificata”. Infatti nulla impedisce – e tutto consiglia invece - allo Statuto di staccarsi dalle vecchie tradizionali regole che hanno retto la pubblicazione degli atti normativi adeguandosi, anche con l’impiego di tecnologie moderne, a prassi note in altri paesi. E’ infatti del tutto inopportuno che lo Statuto si preoccupi di disciplinare la produzione occasionale di “testi unici”, che sono una tipica risposta inadeguata e “passatista” ad un fenomeno provocato esclusivamente dall’assenza di più attenti meccanismi di formazione del “testo ufficiale” delle leggi. Altrettanto inutile è che – come in molte bozze di Statuto viene però proposto – si imponga la regola della c.d. abrogazione espressa: infatti, anche se lo Statuto affermasse che le leggi regionali possono essere abrogate solo espressamente, ciò non modificherebbe di nulla il comportamento degli interpreti che, in caso di contrasto tra una legge nuova con una vecchia non risolto da una clausola di abrogazione espressa, non potrebbero che dare la prevalenza alla legge nuova, e tra una norma generale e una norma speciale non potrebbero che riconoscere la prevalenza di quest’ultima. Il problema non può essere risolto per decreto, ma solo attraverso adeguate procedure;

d)                 una previsione per cui le norme legislative che riguardano le procedure e l’organizzazione amministrativa valgano solo per la prima applicazione della legge e siano destinate a cedere di fronte all’emanazione del  regolamento di Giunta di organizzazione delle procedure (con relativo aggiornamento della legislazione vigente “unificata”). In questo modo anche la “delegificazione” troverebbe una risposta ordinaria, e non diverrebbe un rimedio ad una “corruzione” patologica del sistema normativo;

e)                  una analoga previsione per cui le norme legislative e regolamentari regionali che riguardano le procedure e l’organizzazione amministrativa delle funzioni conferite agli enti locali valgano solo per la prima applicazione della legge o del regolamento e siano destinate a cedere di fronte all’emanazione del  regolamento di organizzazione da parte dell’ente locale competente (anche in questo caso con relativo aggiornamento della legislazione vigente “unificata”).