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Roberto Bin

Stato-Regioni: il dopo elezioni

(editoriale fascicolo 2.2000)

Il mutamento politico provocato dalle recenti elezioni regionali ha introdotto una situazione inedita, almeno per l'Italia. Per la prima volta la maggioranza delle Regioni ordinarie è nettamente schierata sul versante politico opposto al Governo. È una situazione inedita, ma non una situazione priva di potenzialità interessanti.

Negli ultimi anni, il fatto che la maggior parte delle Regioni fosse governata da una coalizione politica omogenea a quella al governo del paese aveva generato una evidente solidarietà politica tra Regioni e Governo. In questo clima ha potuto svilupparsi il ruolo della Conferenza Stato-Regioni. Si è sviluppato senza contrapposizioni nette e senza elaborare un preciso codice di regole decisionali: l'assenza di contrapposizioni nette e predefinite ha consentito alla Conferenza di dilatare il suo ruolo politico di organo di coordinamento centro-periferia; e questa dilatazione è stata possibile proprio perché non si sono mai definite precise regole procedurali e decisionali. In altre parole, la Conferenza ha potuto assumere la funzione di sede privilegiata della "leale collaborazione" tra Stato e Regioni mantenendo assai basso il livello di formalizzazione dei ruoli e delle procedure, come per altro è probabilmente funzionale allo stesso concetto di "leale collaborazione". Solo alle ultimissime battute della legislatura regionale, quando ormai l'infuocato clima elettorale dominava la scena, le Regioni del "Polo" hanno clamorosamente rotto il fronte regionale, indurendo improvvisamente il clima tutto sommato "morbido" che aveva dominato sino allora.

Ora la situazione è completamente cambiata, e gli sviluppi sono imprevedibili. Tutto dipende da cosa privilegeranno i leader delle Regioni del "Polo". Se la Conferenza verrà usata come l'ennesimo luogo in cui portare il conflitto politico, lo scontro elettorale anticipato, l'opposizione dura al Governo, è assai probabile che la linea di sviluppo delle sue funzioni invertirà il verso della parabola. L'assenza di precise regole di funzionamento potrà consentire al Governo di far girare al minimo la Conferenza, lasciandola rifluire al ruolo di mero organo consultivo, privo di reale peso politico. Ma è possibile - e naturalmente sperabile - che venga scelta un'altra via: che i leader regionali colgano l'importanza di mantenere in funzione un organo che, non esposto in primo piano sulla tormentata scena politica, è un raccordo strategico tra lo Stato e le Regioni che governano. La differenza di colore politico diverrebbe allora non un ostacolo al funzionamento della Conferenza, ma una risorsa per migliorarlo. In che senso?

L'assenza di regole precise - si diceva - ha favorito lo sviluppo del ruolo "informale" della Conferenza. Può essere arrivato il momento di formalizzarlo, di tradurlo in regole e di introdurre regole che consentano alla Conferenza di potenziare la propria funzionalità. Alcuni esempi. In questi anni la Conferenza ha dovuto quasi sempre lavorare in tempi stretti, incalzata dall'iniziativa del Governo che sottoponeva alla sua attenzione i provvedimenti dell'ultima ora. D'altra parte, il Presidente del Consiglio ha usato in pieno la sua prerogativa di fissare l'ordine del giorno per ottenere dalla Conferenza il parere che le leggi prevedono come obbligatorio o gli altri che il Governo riteneva opportuno acquisire: ed è chiaro che, nell'azione del Governo, l'urgenza preme e provoca l'esigenza di ridurre i tempi dei complessi procedimenti consultivi. A loro volta le Regioni hanno avuto poco tempo per discutere le questioni sottoposte alla loro attenzione e sono arrivate assai spesso in Conferenza su posizioni differenziate. La solidarietà politica tra Governo e maggioranza delle Regioni ha indubbiamente favorito l'attenuazione dei conflitti tra Stato e Regioni, consentendo al Governo di uscire indenne dal confronto con le Regioni anche quando prospettava loro misure tutt'altro che utili agli interessi di esse.

Il potere di fissare l'ordine del giorno, lo si sa bene, è decisivo nel "governo" degli organi collegiali. Di questo potere sarebbe bene che le Regioni cominciassero a discutere con il Governo. Da un lato si tratterebbe dell'esigenza di affiancare al Presidente della Conferenza, cioè al Presidente del Consiglio dei ministri, il Presidente della "Conferenza dei Presidenti" di Regione: in modo che l'ordine del giorno esca dalla loro trattativa, e non più dalla scelta unilaterale del Governo. Dall'altro sarebbe necessario introdurre uno strumento di programmazione dei lavori a medio termine. Infatti, mentre il Governo porta alla Conferenza proposte già studiate e definite, ponendo così in difficoltà le Regioni non sempre preparate ad affrontarle, le Regioni non hanno modo di far inserire nell'ordine del giorno argomenti di loro interesse che abbiano già avuto la necessaria istruttoria. Un programma bi- trimestrale di attività potrebbe servire a questo obiettivo, permettendo alle Regioni di istituire i tavoli tecnici e le procedure istruttorie necessarie a preparare la successiva deliberazione in Conferenza.

Dunque: un sistema di co-presidenza, il potere di co-decidere l'ordine del giorno, uno strumento di programmazione dei lavori che consenta alla Regioni di uscire dall'attuale posizione passiva, di attesa dell'iniziativa governativa, e di diventare invece propositive. Forse sarebbe necessaria anche una riforma della struttura amministrativa della Conferenza, tale da adeguarla alla posizione della Conferenza, che non può più essere intesa come un organo della Presidenza del Consiglio ma, come ebbe modo di dire la stessa Corte costituzionale, come un'amministrazione terza rispetto allo Stato e alle Regioni. Questi sarebbero i passi necessari a riequilibrare il ruolo della Conferenza Stato-Regioni, nel senso di farne una sede anche dell'iniziativa regionale, oltre che di quella governativa. Sono misure che non richiedono grandi provvedimenti legislativi: anzi è probabile che possano essere conseguite attraverso accordi informali e prassi condivise. Sarebbe meglio, perché oggi più la sede o la forma della decisione è "visibile", maggiore è la probabilità che si renda visibile anche lo scontro politico: una malintesa interpretazione italica del bipolarismo che alimenta il clamore dello scontro e allontana ogni decisione.

 

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