ATTIVITA' DI "MERO RILIEVO INTERNAZIONALE", ATTIVITA' "PROMOZIONALI" E ATTIVITA' DI "RILIEVO COMUNITARIO"
1. La sent. 472/1992 ha confermato i princìpi già enunciati nella sent. 179/1987, chiarendone soltanto alcuni dettagli. La Corte distingue tre tipi di "attività" di rilevanza internazionale, ognuna sottoposta ad un preciso regime, quanto ai rapporti tra stato e autonomia regionale:
a) Le attività internazionali che comportano esercizio del c.d. "potere estero", e che consistono essenzialmente nella stipulazione di patti e trattati, cioè nell'assunzione di impegni dei quali risponde necessariamente lo Stato, unico soggetto dell'ordinamento internazionale. Il regime specifico è di assoluto monopolio statale, con esclusione di qualsiasi attività regionale suscettibile, appunto, di creare obblighi di diritto internazionale[1]. Problema diverso è la posizione delle regioni di fronte all' attuazione degli obblighi internazionali, che è poi l'aspetto che più direttamente si riflette sull' autonomia legislativa. Benché sia questo un problema generale, che coinvolge tutti i tipi di impegno che lo Stato assume nell'ordinamento internazionale[2], non c'è dubbio che il suo versante di maggior rilievo sia quello che attiene all'attuazione delle norme CEE[3].
b) Le attività "promozionali" legate "da un rigoroso nesso strumentale con le materie di competenza regionale, ossia qualsiasi comportamento diretto, in tali settori, allo sviluppo economico, sociale e culturale nel territorio dell'ente locale"[4]. Qui vale il regime dell'intesa (introdotto dall'art. 4, 2 del d.p.r. 616/1977), che si compone di un elemento "negativo" (la possibilità di un veto, a tutela degli interessi di politica internazionale dello Stato) e di uno "positivo", rivolto all'esigenza di coordinare le attività delle varie strutture "di promozione"[5]. A conferma di ciò, la sent. 472/1992 dice che il consenso del governo (all'opposto di quanto avviene per le attività sub c) "dev'essere manifestato in forme esplicite".
c) Le attività "di mera rilevanza internazionale". Teorizzate come categoria autonoma per la prima volta nella sent. 179/1987[6], esse sono rimaste sempre, come riconosce ora la stessa Corte, "di più incerta classificazione". Non è possibile tipizzarle, perché sembrano definibili solo in negativo, come categoria residuale. Sono attività "di vario contenuto, congiuntamente compiute dalle regioni e da altri (di norma omologhi) organismi esteri aventi per oggetto finalità di studio o di informazione (in materie tecniche) oppure la previsione di partecipazione a manifestazioni dirette ad agevolare il progresso culturale o economico in ambito locale, ovvero, infine, l'enunciazione di propositi intesi ad armonizzare unilateralmente le rispettive condotte"; deve insomma trattarsi "di attività non collegate con situazioni concernenti l'intero territorio nazionale e perciò rimesse all'iniziativa degli enti locali", i quali però "non pongono in essere veri accordi né assumono diritti ed obblighi tali da impegnare la responsabilità internazionale dello stato, ma si limitano ... a prevedere lo scambio di informazioni utili ovvero l'approfondimento di conoscenze in materie di comune interesse, oppure, ancora, ad enunciare analoghi intenti od aspirazioni, proponendosi di favorirne unilateralmente la realizzazione mediante atti propri o, al più, mediante sollecitazione dei competenti organi nazionali"[7]. Il regime, delineato già dalla sent. 179, ed ora precisato dalla 472, è sostanzialmente quello dell' autorizzazione con silenzio-assenso. La regione deve dare congruo preavviso (con "ragionevole preavviso"), motivando; lo stato deve dare l'assenso (che potrà "esser manifestato anche in forme implicite"[8], o vietare l'iniziativa, se ritenuta "inconciliabile con l'indirizzo politico generale": ma in questo secondo caso, in applicazione del principio onnipresente di "leale cooperazione", un'adeguata motivazione è d'obbligo[9]. La motivazione deve basarsi su argomenti legati alla politica estera dello Stato[10]. Contro il diniego, ed appellandosi alla motivazione data (o alla insufficienza di essa), la regione potrà sempre agire per conflitto di attribuzione.
2. Anche la giurisprudenza costituzionale lascia però nell'ombra un punto di grande rilevanza, impostato in maniera assai discutibile in un obiter dictum della sent. 179/1987. Si tratta delle relazioni delle regioni con la CEE, che la sent. 179 parifica (assieme ai rapporti che le regioni intrattengono nell'ambito della convenzione europea per la cooperazione transfrontaliera: terza, e ancora diversa sottocategoria di attività "di rilievo") alle attività promozionali.
La parificazione può riguardare solo il regime giuridico cui dovrebbero essere sottoposte queste attività regionali, ma certo non anche la ratio che quel regime giustifica. Nei termini del diritto comunitario sarebbe certamente giudicato, infatti, come un'infrazione alla stessa "filosofia" della Comunità che l'Italia tratti le relazione delle regioni con gli organi (ma anche con i partner) europei come rapporti di "diritto internazionale", equiparati dunque, quanto a disciplina, alle relazioni con qualsiasi organismo extracomunitario. La vecchia giustificazione di questa parificazione, basata sul dogma dell'esclusiva responsabilità dello Stato per gli obblighi internazionali, non sembra più adeguata ai tempi dell'Unione europea, e rischia di riflettersi in una grave menomazione dell'autonomia legislativa regionale in senso lato. Infatti, la necessaria interposizione dello Stato si ha non soltanto in fase "ascendente", cioè nei procedimenti decisionali di formazione delle politiche comunitarie, ma persino nelle procedure di notificazione delle leggi di intervento economico delle regioni e nel contraddittorio che può seguirne davanti alla Commissione CE. Che in questo caso sia il governo a rappresentare gli interessi della regione è evidentemente una soluzione priva di senso, perché esclude che vi possa essere, tra Stato e regione, una legittima diversità di posizioni, ed anche un conflitto di interessi che però non tocca minimamente la "politica estera" (e la relativa responsabilità dello Stato sul piano internazionale), bensì, semmai, la ripartizione interna delle attribuzioni o le scelte di politica economica.
Solo un' incomprensibile accondiscendenza delle regioni fa rimanere in piedi una preclusione la cui irrazionalità si manifesta appieno quando si rifletta sul fatto che l'attenzione sempre più scrupolosa con cui la Commissione CE colpisce gli aiuti pubblici alle imprese, potenzialmente distorsivi della concorrenza, non risparmia più, ormai, neppure i contributi e le agevolazioni finanziarie che le regioni elargiscono a sostegno delle imprese, per molti anni trascurati dai controllori. L'integrazione del mercato europeo rischia dunque di paralizzare uno degli strumenti più utilizzati tra quanti sono rimasti a disposizione del legislatore regionale.
ROBERTO BIN
[1] Cfr. le sent. 46/1961, 21/1968, 170/1975, 123/1980, 187/1985, 179/1987, 924/1988; 256/1989. In dottrina cfr.: CIAURRO, Le competenze regionali a svolgere attività di rilievo internazionale, in Aff. soc. internaz. 1979, 145 ss.; MORVIDUCCI, Rapporti fra Stato e Regioni con riferimento alle attività di rilievo internazionale, in questa Rivista 1974, 353 ss.; ID., Le attività di rilievo internazionale delle Regioni e l'interpretazione governativa, in questa Rivista 1980, 983 ss.; STROZZI, Competenze regionali e potere estero dello Stato, in Giur.cost. 1981, I, 1000 ss.; ID., Regioni e adattamento del diritto interno al diritto internazionale, Milano 1983; AA.VV., Autonomia regionale e relazioni internazionali, Milano 1982; AZZENA, Competenze regionali nei rapporti internazionali, in questa Rivista 1983, 1131 ss.; CHELI, Le attività svolte all'estero dalle regioni, in questa Rivista 1983, 1181 ss.; SALERNO, La partecipazione regionale al potere estero, in Riv.Dir.Int. 1983, 505 ss.; DONNARUMMA, Il decentramento regionale in Italia e il diritto internazionale, Milano 1983; PEDETTA, Riserva allo Stato dei "rapporti internazionali" e regime della "previa intesa" in ordine alle attività delle regioni all'estero, in Giur.cost. 1985, I, 1796 ss.; AZZENA, Prospettive di cooperazione interregionale mediante trattati internazionali, in questa Rivista 1985, 94 ss.; CARETTI, Le attività di rilievo internazionale delle Regioni, in questa Rivista 1985, 107 ss.; DE SIERVO, Le Regioni italiane ed i rapporti internazionali, in Q.reg. 1985, 12 ss.; LA PERGOLA, Autonomia regionale, "potere estero" dello Stato ed esecuzione degli obblighi comunitari, in Scr. Crisafulli II, Padova 1985, 401 ss.; ID., Regionalismo, federalismo, e potere estero dello Stato, in Q.reg 1985, 940 ss.; CARETTI, Un'altra tappa verso la difficile definizione di un nuovo modello di esercizio del "potere estero" dello Stato, in Giur.cost. 1987, 3039 ss.; STROZZI, Recenti sviluppi della disciplina dei rapporti tra Stato e Regioni in materia internazionale, in Riv.Dir.Int. 1988, 344 ss.; CONETTI, Turismo e attività regionali di rilievo internazionale, in questa Rivista 1989, 1705 ss.; LIPPOLIS, Regioni, treaty-making power e giurisprudenza della Corte cost., in Giur.cost. 1989, I, 1206 ss.; GIZZI, Il potere estero regionale, in Q.reg. 1989, 81 ss.; PEDETTA, Attività regionali di rilievo internazionale e valutazioni di politica estera, in questa Rivista 1989, 1112 ss.
[2] Il problema è se la regione possa essere considerata "destinatario" degli obblighi internazionali assunti dallo Stato in via convenzionale, se sia chiamata quindi a dare ad essi attuazione. D'ATENA (nella nota in Giur. cost. 1990, 707 s.) segnala che uno spiraglio in questo senso (dopo le chiusure, per es., della sent. 142/1972) è stato aperto dalla giurisprudenza più recente (sent. 830/1988 e 124/1990, entrambe sull'attuazione della Convenzione di Berna sull' uccellagione). Sui problemi tradizionali che si pongono in relazione all'attuazione dei trattati in materie regionali, cfr. LA PERGOLA, Note sull'esecuzione degli obblighi internazionali nelle materie di competenza del legislatore regionale, in Giur.cost. 1960, 1050 ss.
[3] Sul modello dei rapporti Stato-regioni nell'attuazione delle norme CEE introdotto dal d.P.R. 616 e poi evolutosi nella legislazione e nella giurisprudenza, cfr. SCUDIERO, Attuazione delle direttive comunitarie e regioni, Napoli 1977; CARETTI, Ordinamento comunitario e autonomia regionale, Milano 1979; D'ATENA, L'esecuzione e l' attuazione delle norme comunitarie, fra Stato e Regioni, in Giur.cost. 1979, 1242 ss.; BASSANINI-CARETTI, Autonomie regionali e poteri comunitari, in questa Rivista 1980, 84 ss.; STROZZI, Regioni e adattamento cit.; LA PERGOLA, Autonomia regionale cit.; STROZZI, Recenti sviluppi cit., 344 ss.; RUGGERI, Comunità europea, Stato, regioni dopo la sent. 170/1984 della Corte cost. sull'efficacia dei regolamenti comunitari, in questa Rivista 1985, 433 ss.; CERRI, Luci ed ombre del disegno di legge sull'adeguamento dell'ordinamento interno agli atti normativi comunitari, in Foro it. 1986, IV, 222 ss. In particolare, sugli aspetti della legge "La Pergola" che riguardano le regioni, cfr. BIN, Stato e regione nell'attuazione delle direttive CEE, in Foro it. 1988, IV, 499 ss.; TIZZANO, Note introduttive alla "legge La Pergola", in Foro it. 1989, IV, 314 ss.; D'ATENA, Prospettive del regionalismo nel processo di integrazione europea, in Giur.cost. 1989, II, 2167 ss.; GAJA, Le prospettive di sviluppo dell' attuazione della normativa comunitaria nell'ordinamento regionale, in Q.reg. 1989, 55 ss.; CELOTTO, Problematiche sull' attuazione delle direttive comunitarie, in Dir. soc. 1990, 501 ss.; RUGGERI, Continuo e discontinuo nella giurisprudenza costituzionale, a pertire dalla sent. 170/1984 in tema di rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno: dalla teoria della separazione alla prassi dell'integrazione intersistematica, in Giur.cost. 1990, 1583 ss.; ID., Prime considerazioni sul riparto delle competenze Stato-Regioni nella legge "La Pergola" e sulla collocazione di quest'ultima e della legge comunitaria nel sistema delle fonti, in Riv. it. dir. pubbl. comun. 1991, 711 ss.; CARETTI, Il ruolo delle regioni nell'attuazione della normativa comunitaria alla luce dei più recenti sviluppi del processo di integrazione europea, in Reg.gov.loc. 1992, 817 ss.
Sull'attuazione regionale dei regolamenti CEE cfr., inoltre, MARZONA, Materie regionali e potere statale nell'attuazione dei regolamenti CEE, in questa Rivista 1987, 1660 ss.; CARETTI-STROZZI, Luci e ombre nella più recente giurisprudenza costituzionale in materia di adempimento agli obblighi comunitari, in questa Rivista 1988, 196 ss.; BALBONI-PAPA, Regolamenti comunitari e ripartizione costituzionale delle competenze: verso nuove frontiere?, in Giur.cost. 1988, 352 ss.; PANEBIANCO, Regolamenti comunitari "non-autosufficienti", in Giur.cost. 1989, I, 1326 ss.; CARETTI, La piena competenza regionale a dare attuazione ai regolamenti comunitari, in Giur.cost. 1990, I, 2693 ss.; COCOZZA, Regioni e diritto comunitario nella giurisprudenza della Corte cost., in questa Rivista 1992, 620 ss., 631 ss.
[4] Sent. 179/1987: punto 6 del "diritto".
[5] Si veda a proposito anche l'art. 57 del d.p.r. 616
sull' utilizzazione dell' ENIT per la promozione turistica all' estero.
[7] V. sent. 179/1987: punto 7 del "diritto". Per
un'applicazione, cfr. la sent. 42/1989. Cfr. in dottrina CONETTI, Le
attività regionali di mero rilievo internazionale nella sent. 179/1987 della
Corte cost., in questa Rivista 1987, 1424 ss.; CARETTI, Un'altra
tappa cit., 3039 ss.
[9] Cfr. ora, esplicitamente, sent. 204/1993 (in cui si ammette anche che l'assenso sia condizionale), nonché, in precedenza, l'ord. 250/1988.
[10] V. però la recente sent. 204/1993, in cui si ammette che tra i motivi del diniego rientrino considerazioni relative, non già alla politica estera, ma al contenimento delle spese.