ART. 4
Indirizzo e coordinamento
1. Relativamente alle funzioni e ai compiti conferiti alle regioni e agli enti locali con il presente decreto legislativo, e' conservato allo Stato il potere di indirizzo e coordinamento da esercitarsi ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59.
Roberto Bin
1. Poco aggiunge questa disposizione alla nuova disciplina della funzione di indirizzo e coordinamento dettata dall’art. 8 della legge 59/1997. Il punto fondamentale della nuova disciplina sta nel procedimento attraverso di cui vengono formati “gli atti di indirizzo e coordinamento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordinamento tecnico, nonché le direttive relative all'esercizio delle funzioni delegate”. Questi atti “sono adottati previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, o con la singola regione interessata” (art. 8, comma 1). Il decreto 281/1997 - che riforma la Conferenza Stato-regioni, sempre in attuazione della legge 59 – prevede che “le intese si perfezionano con l'espressione dell'assenso del Governo e dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano” (art. 3, comma 2); se l’intesa non è raggiunta entro quarantacinque giorni dalla prima consultazione, gli atti possono essere “adottati con deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali da esprimere entro trenta giorni dalla richiesta” (art. 8, comma 2 della legge 59); in “caso d’urgenza”, il Consiglio dei Ministri può adottare l’atto senza la procedura d’intesa, ma resta l’obbligo di presentare l’atto alla Conferenza e alla Commissione parlamentare, e di “riesaminare i provvedimenti in ordine ai quali siano stati espressi pareri negativi” (art. 8, comma 3).
L’art. 8 della legge 59 abroga espressamente le precedenti norme generali sull’indirizzo e coordinamento; sia le norme che attribuivano allo Stato l’astratta titolarità della funzione (dall’art. 17 lett. a, della c.d. “legge finanziaria” 281/1970, all’art. 3 della legge 382/1975 e all’art. 4 del d.P.R. 616/1977); sia le norme di procedura, quale in particolare l’art. 2, comma 3, lett. d) della legge 400/1988; sia, infine, le norme sulla “forma” con cui gli atti di indirizzo e coordinamento vengono adottati (art. 1, comma 1, lett. hh, della legge 13/1991).
2. La disciplina della funzione di indirizzo e coordinamento che ne risulta presenta diversi aspetti problematici, che la disposizione in commento contribuisce a rendere più complessi:
a) In primo luogo non è chiaro il meccanismo delle intese. Il decreto 281/1977 non include le intese tra gli atti che la Conferenza Stato-regioni approva a maggioranza (art. 2, comma 2): la Conferenza “promuove e sancisce intese, ai sensi dell'articolo 3” (art. 2, comma 1, lett. a), ma le intese si perfezionano “con l'espressione dell'assenso del Governo e dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano” (art. 3, comma 2). Il problema non sorge per gli atti di indirizzo e coordinamento che fossero rivolti a singole regioni, ma nel caso, assai più frequente, di atti rivolti a tutte le regioni e province autonome. In questa ipotesi l’intesa si perfezionerebbe soltanto con l’unanimità dei consensi: se questa non si realizzasse, il Governo potrebbe praticare l’altra strada, quella segnata dall’art. 8, comma 2, della legge 59.
b) Non è chiaro il rapporto tra la nuova disciplina e le condizioni poste dalla giurisprudenza costituzionale perché possa considerarsi legittimo l’esercizio in via amministrativa della funzione di indirizzo e coordinamento. Come si sa, la Corte aveva posto due condizioni “formali”, cioè facilmente riscontrabili dalla Corte costituzionale stessa senza entrare nel merito delle scelte compiute dal Governo: che sia rispettato il principio di legalità sostanziale, poiché spetta al legislatore “discernere le esigenze unitarie” che l’atto di indirizzo e coordinamento deve perseguire (sent. 150/1982); che l’atto sia deliberato dal massimo organo politico dell’esecutivo, cioè dal Consiglio dei Ministri. Queste due condizioni si erano fissate in altrettanti test molto affidabili, che consentivano alle regioni di opporsi con estrema efficacia agli atti governativi che non li rispettassero. Valgono ancora questi criteri a seguito della riforma? Quello relativo alla competenza del Consiglio dei Ministri probabilmente no: l’abrogazione delle citate norme della legge 400, del d.P.R. 616 e della legge 13/1991 sembrano portare a questa conclusione, cui per altro si perviene anche ragionando a contrario dalla previsione, contenuta nei commi 2 e 3 dell’art. 8 della legge 59, laddove si prevede espressamente la deliberazione del Consiglio dei Ministri per i soli atti che non siano preceduti da intesa. È vero però che l’intesa si “perfeziona” solo con l’assenso del “Governo”, intendendosi di regola con questa espressione il Consiglio dei Ministri: ciò dovrebbe significare che il Presidente del Consiglio dei ministri sia tenuto a sentire il Consiglio prima di promuovere l’intesa in sede di Conferenza. Questa previsione dovrebbe comunque assicurare alle Regioni che gli atti di indirizzo e coordinamento preceduti da intesa non siano poi emanati da un singolo ministro, ma dallo stesso Presidente del Consiglio: l’abrogazione espressa della norma della legge 13/1991, che prevedeva l’emanazione degli atti di indirizzo e coordinamento con la forma del decreto del Presidente della Repubblica, dovrebbe perciò riportare alla precedente prassi di adottare tali atti, anche se non preceduti da intesa, con d.P.C.M.
Più difficile è rispondere al secondo quesito, se cioè sia sempre richiesta la previa legge di individuazione dell’interesse nazionale “non frazionabile”, presupposto – come si è detto – cui la Corte ha sempre legato la legittimità dell’emanazione di atti amministrativi capaci di vincolare la stessa legislazione regionale. Possono moduli convenzionali – quali sono le intese – portare a derogare ad un principio costituzionale qual è la generale prevalenza gerarchica della legge – della legge regionale, s’intende – sugli atti amministrativi? La risposta dovrebbe essere negativa, anche in ragione del fatto che l’atto di indirizzo e coordinamento può essere emanato anche in assenza di previa intesa: e certo non si può immaginare che solo quando il Governo agisca senza l’intesa si riespanda l’applicazione del principio di legalità sostanziale fissato dalla Corte, soprattutto se si considera che questa ipotesi può ricorrere anche quando il Governo agisce “in caso di urgenza”. Va però notato che a soddisfare il principio di legalità sostanziale potrebbero essere già sufficienti le molte norme del decreto in commento che assegnano specifici compiti di indirizzo e coordinamento allo Stato: si vedano infatti gli artt. 29, c. 1 (programmazione energetica), 30 (risparmio energetico), 72, c. 2 (V.I.A.), 78, c. 2 (individuazione di riserve statali), 98, c. 1 lett. h) (sicurezza stradale), 100, c. 2 (pubblicità stradale), 107, c. 1 lett. a) (protezione civile), 115, c. 1 lett. f) (requisiti strutture sanitarie), 116, c. 1 (pianificazione sanitaria), 142, c. 1 lett. b) (formazione professionale); e forse persino i numerosi e generici riferimenti a funzioni di “coordinamento”.
c) Non è affatto chiaro il significato che potrà assumere la clausola “in caso di urgenza”, circostanza che consente al Consiglio dei Ministri di emanare gli atti in questione sottoponendoli solo successivamente al parere della Conferenza e della Commissione parlamentare; né è chiaro che cosa comporti il “riesame del provvedimento” a cui lo stesso Consiglio dei Ministri è tenuto in caso di parere negativo. Solo elementi troppo indefiniti per costituire un limite efficace all’abuso di questo strumento da parte del Governo: sicché è fin troppo facile prevedere che sull’applicazione di questa disposizione sorgerà un duro contenzioso tra lo Stato e le regioni.
d) Non è chiara infine l’estensione della funzione di indirizzo e coordinamento agli enti locali disposta proprio dalla disposizione in commento. Né la legge 59, né il decreto legislativo 281 prevedono che il Governo eserciti una funzione di indirizzo e coordinamento diretta nei confronti degli enti locali: mancano quindi sia i presupposti sostanziali (il che potrebbe tradursi persino in un eccesso di delega), sia le garanzie procedurali di partecipazione dei destinatari alla formazione degli atti in questione attraverso l’apposita Conferenza Stato-città, disciplinata dal decreto 281. Per altro questa norma appare coerente con la filosofia del doppio binario che pervade la legge 59 e la sua attuazione: filosofia che muove dalla “pariordinazione” costituzionale tra regioni ed enti locali e conduce al parallelo conferimento alle une e agli altri delle funzioni amministrative e del potere di disciplinarle con proprie norme. Per cui, coerentemente, anche la funzione di indirizzo e coordinamento viaggia sul doppio binario: salvo che gli enti locali restano del tutto privi di quegli strumenti, vuoi procedurali vuoi giurisdizionali, di cui sono munite le regioni (proprio in virtù del loro ben diverso status costituzionale) per difendersi dalla insopprimibile tendenza delle burocrazie ministeriali a riavocare al centro quanto si sta attualmente trasferendo in periferia. Ma questo è il risultato coerente e miope della forte pressione centralistica e antiregionalistica esercitata dalle associazioni – nazionali, non a caso – dei comuni e delle province.