Nel procedimento 109/88, avente ad oggetto la domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art . 177 del
trattato CEE, dal "faglige voldgiftsret" ( tribunale arbitrale di
categoria, Danimarca ) nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Handels - og Kontorfunktionaerernes Forbund i Danmark
e
Dansk Arbejdsgiverforening, che agisce per conto della Danfoss,
domanda vertente sulla portata del principio della parità di trattamento tra
lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile in materia di
retribuzione,
LA CORTE,
composta dai signori O . Due, presidente, M . Zuleeg, presidente di sezione, T
. Koopmans, R . Joliet, J.C .
Moitinho de Almeida, G.C . Rodríguez Iglesias e M . Diez de Velasco,
giudici,
avvocato generale : C.O . Lenz
cancelliere : H.A . Ruehl, amministratore principale
viste le osservazioni presentate :
- per la Handels - og Kontorfunktionaerernes Forbund i Danmark, dall' avv . L.S
. Andersen,
- per la Dansk Arbejdsgiverforening, dall' avv . H . Werner,
- per la Commissione delle Comunità europee, dai suoi agenti sig . J . Currall
e sig.na I . Langermann, membri del suo servizio giuridico,
- per il governo danese, dal suo agente sig . P . Vesterdorf, consigliere
giuridico,
- per il governo britannico, dai suoi agenti sig.ra S.J . Hay e sig . D .
Wyatt,
- per il governo italiano, dall' avvocato dello Stato P.G . Ferri,
- per il governo portoghese, dai suoi agenti sig . Fernandez e sig.ra Leitão,
vista la relazione d' udienza ed in seguito alla trattazione orale del 10
maggio 1989,
sentite le conclusioni dell' avvocato generale presentate all' udienza del 31
maggio 1989,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
1 Con ordinanza 12 ottobre 1987, pervenuta in cancelleria il 5 aprile 1988, il
"faglige voldgiftsret" ( tribunale arbitrale di categoria ) ha
sottoposto alla Corte, a norma dell' art . 177 del trattato CEE, diverse
questioni pregiudiziali relative all' interpretazione della direttiva 75/117
del Consiglio del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni
degli Stati membri relative all' applicazione del principio della parità delle
retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile (
GU L 45, pag . 19 ), in prosieguo : "la direttiva sulla parità delle
retribuzioni ".
2 Tali questioni sono state sollevate nell' ambito di una
controversia tra la Federazione degli impiegati di commercio, ossia la
"Handels - og Kontorfunktionaerernes Forbund i Danmark" ( in
prosieguo "Federazione degli impiegati "), e la Confederazione dei
datori di lavoro, la "Dansk Arbejdsgiverforening" ( in prosieguo
"Confederazione dei datori di lavoro "), che agisce per l' impresa
Danfoss . La Federazione degli impiegati sostiene che la prassi salariale dell'
impresa Danfoss comporta discriminazioni basate sul sesso e viola pertanto l'
art . 1 della legge danese 5 maggio 1986, n . 237, che ha dato attuazione alla
direttiva sulla parità delle retribuzioni .
3 La Danfoss corrisponde la stessa retribuzione base ai
lavoratori inquadrati nello stesso livello retributivo . Facendo uso della
facoltà di cui all' art . 9 del contratto collettivo concluso il 9 marzo 1983
tra la Confederazione dei datori di lavoro e la Federazione degli impiegati,
essa concede tuttavia ai suoi dipendenti aumenti retributivi individuali
calcolati in particolare in base alla loro flessibilità, alla loro formazione
professionale e alla loro anzianità .
4 Nella causa principale, la Federazione degli impiegati aveva convenuto una
prima volta la Danfoss dinanzi al tribunale arbitrale di categoria facendo
valere il principio della parità di retribuzione a favore di due impiegate
addette una al servizio di laboratorio e l' altra a quello di ricevimento e di
spedizione in magazzino . A sostegno del suo ricorso, essa aveva fatto valere
il fatto che nell' ambito di questi due livelli retributivi la retribuzione
media di un lavoratore di sesso maschile era superiore a quella di un lavoratore
di sesso femminile . Nel suo lodo del 16 aprile 1985, il tribunale arbitrale
aveva tuttavia ritenuto, alla luce del numero limitato di lavoratori le cui
retribuzioni erano state prese in considerazione, che la Federazione degli
impiegati non avesse fornito la prova di una discriminazione . La Federazione
degli impiegati ha quindi intentato un nuovo ricorso presentando statistiche
più elaborate relative alle retribuzioni versate a 157 lavoratori tra il 1982
ed il 1986, statistiche dalle quali risulta che la retribuzione media
corrisposta ai lavoratori di sesso maschile è superiore del 6,85% a quella
corrisposta ai lavoratori di sesso femminile .
5 Stando così le cose, il tribunale arbitrale di categoria
ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte una serie di
questioni pregiudiziali relative all' interpretazione della direttiva sulla
parità di retribuzione . Esse sono così formulate :
"1 a ) Supponendo che un lavoratore di sesso maschile e uno di sesso
femminile compiano lo stesso lavoro o lavori dello stesso valore, si chiede
alla Corte di decidere a chi ( datore di lavoro o lavoratore ) incomba l' onere
di provare che la differenza di retribuzione fra i due lavoratori sia dovuta o
non sia dovuta ad un motivo determinato dal sesso .
1 b ) Se sia in contrasto con la direttiva sulla parità di retribuzione
corrispondere una retribuzione maggiore ai lavoratori di sesso maschile i quali
compiono lo stesso lavoro o un lavoro dello stesso valore dei lavoratori di
sesso femminile, unicamente secondo criteri soggettivi, ad esempio la
flessibilità di un collaboratore .
2 a ) Se la direttiva osti a che a lavoratori di sesso diverso, i quali
compiono lo stesso lavoro o lavori di valore uguale, a parte la retribuzione
base pattuita, vengano corrisposti aumenti per anzianità, speciale
preparazione, ecc .
2 b ) In caso di soluzione affermativa della questione 2 a ), si chiede come
un' impresa, senza trasgredire la direttiva, possa operare una differenziazione
di retribuzione tra i singoli collaboratori .
2 c ) Se la direttiva osti a che dei lavoratori di sesso diverso, i quali
compiono lo stesso lavoro o lavori dello stesso valore, siano retribuiti in
misura diversa a causa di una diversa preparazione professionale .
3 a ) Se un lavoratore od un' organizzazione di categoria, qualora documenti
che un' impresa con molti dipendenti ( ad esempio, più di 100 ), i quali
compiono un lavoro dello stesso genere o dello stesso valore, retribuisce in
media le donne meno degli uomini, possa ritenere di aver provato che la
direttiva è stata trasgredita .
3 b ) In caso di soluzione affermativa della questione 3 a ), se la conseguenza
ne sia che i due gruppi di lavoratori ( uomini e donne ) devono avere in media
la stessa retribuzione .
4 a ) Qualora sia accertato che la differenza di retribuzione per lo stesso
lavoro è dovuta al fatto che i due lavoratori rientrano in due diversi
contratti di lavoro, se ciò implichi che la direttiva non va applicata .
4 b ) Se nel valutare tale questione abbia rilievo il fatto che i due contratti
di lavoro riguardino per intero o soprattutto lavoratori di sesso maschile in
un caso e di sesso femminile nell' altro ".
6 Per una più ampia esposizione degli antefatti della causa principale, dello
svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate dinanzi alla Corte
si rinvia alla relazione d' udienza . Questi elementi del fascicolo sono
richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento
della Corte .
Sul carattere di organo giurisdizionale del tribunale arbitrale di categoria
7 Per
quanto riguarda la questione se il tribunale arbitrale di categoria costituisca
un organo giurisdizionale di uno Stato membro ai sensi dell' art . 177 del
trattato, bisogna sottolineare anzitutto che, ai sensi dell' art . 22 della
legge danese 13 giugno 1973, n . 317, relativa alla giurisdizione del lavoro,
le controversie tra le parti di contratti collettivi, in mancanza di
disposizioni specifiche contenute in tali contratti, sono assoggettate alla
procedura tipo adottata dalla Confederazione dei datori di lavoro e dalla
Federazione degli impiegati . E' quindi un tribunale arbitrale che risolve la
controversia in ultima istanza . Tale tribunale può essere adito da una delle
parti : poco importa che l' altra vi si opponga . Ne deriva che la competenza
del tribunale non dipende dall' accordo delle parti .
8
Bisogna rilevare poi che la stessa norma della legge sopramenzionata disciplina
il modo in cui il tribunale deve essere composto, e specificamente il numero
dei membri che devono essere nominati dalle parti ed il modo in cui deve essere
designato l' arbitro principale in mancanza di accordo tra di esse . La
composizione del tribunale arbitrale non è quindi lasciata alla libera
decisione delle parti .
9
Stando così le cose, il tribunale arbitrale di categoria dev' essere
considerato come un organo giurisdizionale di uno Stato membro ai sensi dell'
art . 177 del trattato .
Sull' onere della prova (( questioni 1 a ) e 3 a ) ))
10 Dal fascicolo risulta che la controversia tra le parti nella causa
principale trova origine nel fatto che il meccanismo degli aumenti individuali
applicati alle retribuzioni base è applicato in modo tale che un lavoratore di
sesso femminile si trova nell' impossibilità di identificare le cause di una
disparità tra la sua retribuzione e quella di un lavoratore di sesso maschile
che svolge lo stesso lavoro . Infatti, i lavoratori ignorano quali siano i
criteri di aumento che sono applicati nei loro confronti e le relative modalità
di applicazione . Essi hanno conoscenza solo dell' importo della loro
retribuzione maggiorata, senza poter determinare l' incidenza che ha avuto
ciascuno dei criteri di maggiorazione . Quanti rientrano in un determinato
livello retributivo sono quindi nell' impossibilità di comparare le varie
componenti della loro retribuzione con quelle della retribuzione dei loro
colleghi che fanno parte dello stesso livello retributivo .
11 Stando così le cose, le questioni poste dal giudice
nazionale devono essere intese nel senso che mirano ad accertare se la
direttiva sulla parità delle retribuzioni vada interpretata nel senso che,
qualora un' impresa applichi un sistema di retribuzione caratterizzato da una
mancanza totale di trasparenza, il datore di lavoro ha l' onere di provare che
la sua prassi salariale non è discriminatoria, ove il lavoratore di sesso
femminile dimostri, rispetto a un numero relativamente elevato di lavoratori,
che la retribuzione media dei lavoratori di sesso femminile è inferiore a
quella dei lavoratori di sesso maschile .
12 A tal riguardo, bisogna innanzitutto ricordare che nella
sentenza 30 giugno 1988 ( causa 318/86, Commissione / Francia, Racc . 1988, pag
. 3559, punto 27 della motivazione ) la Corte ha censurato un sistema di
assunzione caratterizzato da una mancanza di trasparenza in quanto
incompatibile col principio della parità di accesso all' impiego, poiché tale
mancanza di trasparenza impediva qualsiasi forma di controllo da parte dei
giudici nazionali .
13 Bisogna sottolineare poi che, quando si ha a che fare con
un meccanismo di aumenti di retribuzione individuali caratterizzato da una
mancanza totale di trasparenza, i lavoratori di sesso femminile possono
dimostrare una disparità solo tra retribuzioni medie . Essi sarebbero privati
di qualsiasi mezzo efficace per far rispettare il principio della parità delle
retribuzioni dinanzi al giudice nazionale se il fatto di fornire tale prova non
avesse la conseguenza di imporre al datore di lavoro l' onere di dimostrare che
la sua prassi salariale non è in realtà discriminatoria .
14 Va rilevato infine che, in base all' art . 6 della
direttiva sulla parità delle retribuzioni, gli Stati membri devono adottare, in
conformità alle loro situazioni nazionali e ai loro sistemi giuridici, i
provvedimenti necessari per garantire l' applicazione del principio delle
parità delle retribuzioni ed assicurarsi dell' esistenza di mezzi efficaci che
consentano di provvedere all' osservanza di tale principio . L' intento di
efficacia che in tal modo sottostà alla direttiva deve portare ad interpretare
quest' ultima nel senso che comporta adeguamenti alle regole nazionali relative
all' onere della prova nelle situazioni specifiche in cui tali adeguamenti sono
indispensabili all' attuazione effettiva del principio di parità .
15 Per provare che la sua prassi salariale non sfavorisce
sistematicamente i lavoratori di sesso femminile, il datore di lavoro dovrà
indicare in che modo ha applicato i criteri di maggiorazione e sarà così
indotto a rendere il suo sistema di retribuzione trasparente .
16 Stando così le cose, si debbono risolvere le questioni 1
a ) e 3 a ) dichiarando che la direttiva sulla parità delle retribuzioni va
interpretata nel senso che, qualora un' impresa applichi un sistema di
retribuzione caratterizzato da una totale mancanza di trasparenza, il datore di
lavoro ha l' onere di provare che la sua prassi salariale non è
discriminatoria, ove il lavoratore di sesso femminile dimostri, su un numero
relativamente elevato di lavoratori, che la retribuzione media dei lavoratori
di sesso femminile è inferiore a quella dei lavoratori di sesso maschile .
Sulla legittimità dei criteri di aumento di cui trattasi (( questioni 1 b ) e 2
a ) e c ) ))
17 Con tali questioni si domanda essenzialmente se la
direttiva vada interpretata nel senso che, qualora risulti che l' applicazione
di criteri di aumento quali la flessibilità, la formazione professionale o l'
anzianità del lavoratore sfavorisce sistematicamente i lavoratori di sesso
femminile, il datore di lavoro può nondimeno giustificare la loro utilizzazione
e si intende accertare a quali condizioni può farlo . Per risolvere tale
questione bisogna esaminare ciascuno dei criteri separatamente .
18 Per quanto riguarda, in primo luogo, il criterio della
flessibilità, dal fascicolo non risulta chiaramente la portata che gli deve
essere attribuita . All' udienza, la Confederazione dei datori di lavoro ha
fatto presente che il fatto di essere disposti a lavorare ad orari differenti
non giustificava, di per sé, un aumento di retribuzione . Essa ha indicato che
per applicare il criterio della flessibilità, il datore di lavoro valuta
globalmente la qualità del lavoro effettuato dai suoi dipendenti e tiene conto,
a tal fine, in particolare del loro impegno sul lavoro, del loro senso d'
iniziativa e del volume di lavoro svolto .
19 Stando così le cose, bisogna operare una distinzione a
seconda che il criterio della flessibilità sia utilizzato per retribuire la
qualità del lavoro svolto dal dipendente oppure per retribuire l' adattabilità
del dipendente ad orari e luoghi di lavoro variabili .
20 Nel primo caso, il criterio della flessibilità è
incontestabilmente del tutto neutro dal punto di vista del sesso . Quando esso
porta a sfavorire sistematicamente i lavoratori di sesso femminile, ciò può
avvenire solo perché il datore di lavoro l' ha applicato in modo abusivo . Non
è concepibile, infatti, che la qualità del lavoro svolto da questi ultimi sia
generalmente inferiore . Il datore di lavoro non può pertanto giustificare l'
utilizzo del criterio della flessibilità, così inteso, qualora la sua
applicazione si riveli sistematicamente sfavorevole alle donne .
21 Diversamente è nel secondo caso . Se inteso nel senso che
comprende l' adattabilità del lavoratore ad orari e luoghi di lavoro variabili,
il criterio della flessibilità può anche operare a danno dei lavoratori di
sesso femminile, i quali, a causa di impegni casalinghi e familiari di cui
hanno sovente la responsabilità, possono meno facilmente dei lavoratori di
sesso maschile organizzare il loro orario di lavoro in modo flessibile .
22 Nella sentenza 13 maggio 1986 ( causa 170/84, Bilka, Racc
. pag . 1607 ), la Corte ha considerato che la politica di un' impresa intesa a
retribuire globalmente in misura maggiore i lavoratori a tempo pieno rispetto a
quelli ad orario ridotto, esclusi da un regime pensionistico aziendale, poteva
colpire un numero molto più elevato di donne che di uomini, in considerazione
delle difficoltà che incontrano i lavoratori di sesso femminile a lavorare a
tempo pieno . Essa ha tuttavia dichiarato che l' impresa poteva provare che la
sua prassi salariale era determinata da fattori obiettivamente giustificati ed
estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso e che, se vi riusciva,
non sussisteva infrazione all' art . 119 del trattato . Tali considerazioni
valgono anche nel caso di una prassi salariale che retribuisce specificamente
l' adattabilità dei lavoratori ad orari e luoghi di lavoro variabili . Il
datore di lavoro può quindi giustificare la remunerazione di una tale
adattabilità dimostrando che quest' ultima riveste importanza per l' esecuzione
di compiti specifici che sono affidati al lavoratore .
23 Per quanto riguarda, in secondo luogo, il criterio della
formazione professionale, non è escluso che esso possa svolgere un ruolo a
danno dei lavoratori di sesso femminile laddove questi ultimi abbiano avuto
minori possibilità di acquisire una formazione professionale altrettanto
avanzata rispetto a quella dei lavoratori di sesso maschile o abbiano
utilizzato tali possibilità in misura minore . Tuttavia, alla luce delle
considerazioni espresse nella sentenza 13 maggio 1986, sopramenzionata, il
datore di lavoro può giustificare la remunerazione di una formazione
professionale particolare dimostrando che tale formazione riveste importanza
per l' esecuzione di compiti specifici che sono affidati al lavoratore .
24 Per quanto riguarda, in terzo luogo, il criterio dell'
anzianità, non è neppure escluso che esso possa, come quello della formazione professionale,
comportare un trattamento meno favorevole dei lavoratori di sesso femminile
rispetto ai lavoratori di sesso maschile in quanto le donne sono entrate più
recentemente sul mercato del lavoro rispetto agli uomini o subiscono più
frequentemente un' interruzione di carriera . Tuttavia, poiché l' anzianità va
di pari passo con l' esperienza e quest' ultima pone generalmente il lavoratore
in grado di meglio svolgere le sue prestazioni, il datore di lavoro è libero di
remunerarla senza dover dimostrare l' importanza che essa riveste per l'
esecuzione dei compiti specifici che sono affidati al lavoratore .
25 Stando così le cose, le questioni 1 b ) e 2 a ) e c )
vanno risolte dichiarando che la direttiva sulla parità delle retribuzioni dev'
essere interpretata nel senso che, quando risulta che l' applicazione di
criteri di aumento quali la flessibilità, la formazione professionale o l'
anzianità del lavoratore sfavorisce sistematicamente i lavoratori di sesso
femminile :
- il datore di lavoro può giustificare il ricorso al criterio della
flessibilità se esso viene inteso come attinente all' adattabilità ad orari e
luoghi di lavoro variabili, dimostrando che tale adattabilità riveste
importanza per l' esecuzione di compiti specifici che sono affidati al
lavoratore, ma non se tale criterio viene inteso nel senso che si riferisce
alla qualità del lavoro svolto dal lavoratore;
- il datore di lavoro può giustificare il ricorso al criterio della formazione
professionale dimostrando che tale formazione riveste importanza per l'
esecuzione dei compiti specifici che sono affidati al lavoratore;
- il datore di lavoro non deve particolarmente giustificare il ricorso al
criterio dell' anzianità .
Sul modo in cui il datore di lavoro può legittimamente
differenziare le retribuzioni dei suoi dipendenti (( questione 2 b ) ))
26 Dato che dalle soluzioni date alle questioni sulla legittimità dei criteri
di aumento di cui trattasi (( questioni 1 b ) e 2 a ) e c ) )) è apparso chiaro
come la legittimità di questi criteri di aumento dovesse essere valutata in
diritto comunitario, la questione sul modo in cui il datore di lavoro può
legittimamente differenziare la retribuzione dei suoi dipendenti (( questione 2
b ) )) diventa superflua .
Sull' incidenza dell' esistenza di due contratti collettivi
distinti ( questione 4 )
27 Con tale questione, il giudice nazionale tende ad accertare se l' esistenza
di due contratti collettivi distinti che si applicano, in sostanza,
rispettivamente a lavoratori di sesso maschile e a lavoratori di sesso
femminile abbia l' effetto di escludere l' applicazione della direttiva sulla
parità delle retribuzioni .
28 A tal riguardo, bisogna notare che dalla stessa ordinanza di rinvio risulta che il contratto collettivo 9 marzo 1983, sopramenzionato, è il solo che viene in considerazione nel caso di specie . Le parti nella causa principale l' hanno del resto confermato dinanzi alla Corte all' udienza . Stando così le cose, non occorre risolvere la questione 4 sollevata dal giudice nazionale .
Decisione relativa alle spese
Sulle spese
29 Le spese sostenute dai governi danese, britannico, portoghese e italiano e
dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni
alla Corte, non possono dar luogo a rifusione . Nei confronti delle parti nella
causa principale, il presente procedimento ha il carattere di un incidente
sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese
.
Dispositivo
Per questi motivi,
LA CORTE,
pronunciandosi sulle questioni ad essa sottoposte dal tribunale arbitrale di
categoria, con ordinanza 12 ottobre 1987, dichiara :
La direttiva 75/117 del Consiglio del 10 febbraio 1975, per il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all' applicazione
del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso
maschile e quelli di sesso femminile, va interpretata nel senso che :
1 ) qualora un' impresa applichi un sistema di retribuzione caratterizzato da
una mancanza totale di trasparenza, il datore di lavoro ha l' onere di provare
che la sua prassi salariale non è discriminatoria, ove il lavoratore di sesso
femminile dimostri, su un numero relativamente elevato di lavoratori, che la
retribuzione media dei lavoratori di sesso femminile è inferiore a quella dei
lavoratori di sesso maschile;
2 ) quando risulta che l' applicazione dei criteri di aumento quale la
flessibilità, la formazione professionale o l' anzianità del lavoratore
sfavorisce sistematicamente il lavoratore di sesso femminile :
- il datore di lavoro può giustificare il ricorso al criterio della
flessibilità se esso viene inteso come attinente all' adattabilità ad orari e
luoghi di lavoro variabili, dimostrando che tale adattabilità riveste
importanza per l' esecuzione dei compiti specifici che sono affidati al
lavoratore, ma non se tale criterio viene inteso nel senso che si riferisce
alla qualità del lavoro svolto dal lavoratore;
- il datore di lavoro può giustificare il ricorso al criterio della formazione
professionale dimostrando che tale formazione riveste importanza per l'
esecuzione dei compiti specifici che sono affidati al lavoratore;
- il datore di lavoro non deve particolarmente giustificare il ricorso al
criterio dell' anzianità .