Roberto Bin

"La funzione di indirizzo e controllo"

 

Relazione al Convegno "Il ruolo e le funzioni del Consiglio nella nuova forma di governo regionale" Perugia, 24 novembre 2000

 

1. Riguardo alla funzione della legge regionale, concordo in tutto con quanto ha detto il prof. Carli. Concordo anche sulla sua affermazione che il ruolo del Consiglio deriva innanzitutto dalla forza politica del Consiglio, dalla autorevolezza politica del Consiglio. Questa mi sembra un’ottima osservazione, ed è esattamente il motivo per cui io sono - lo dichiaro pubblicamente - estremamente preoccupato.

Sono estremamente preoccupato perché ho visto come la frustrazione si sia impadronita delle assemblee degli Enti locali. Oggi, secondo me, fare il Consigliere comunale porta direttamente dallo psichiatra, perché il ruolo e la funzione del Consiglio comunale è una domanda che è rimasta senza risposta. Si dice spesso che la forma di governo dei Comuni - che, ben o male, non sarà diversa, con le sue varianti, dalla forma di governo delle Regioni - è tale per cui il Consiglio è messo da parte. Ebbene, questa, che sembra essere una verità assoluta, secondo me, come tutte le verità assolute, è una verità sbagliata. C'è qualcuno che pensa che il Senato americano sia un'assemblea elettiva senza funzioni? Penso di no. Eppure il Senato americano non ha neanche le funzioni legislative.

Noi, purtroppo, siamo preda di un equivoco, di un malinteso di fondo: e cioè abbiamo proiettato sul futuro - come sempre avviene nella mente umana - le constatazioni del passato. Pensiamo che le Regioni siano nate per la programmazione e la partecipazione, quando in realtà queste non sono che due parole vuote, vergognosamente vuote, due programmi politici non verificati dai fatti, e quindi falliti. Falliti perché le Regioni hanno fallito la programmazione e hanno fallito la partecipazione, creando anche una frustrazione politica assurda, perché erano due programmi, appunto, sbagliati.

Da quando frequento i vari gruppi sugli Statuti regionali, non sento altro che parlare di futuri fallimenti certi, perché, per una specie di morbo mentale, chi si sta occupando degli Statuti crede seriamente che essi siano importanti per le norme di principio che pongono, e questo è falso: le norme di principio non servono a niente.

La mia personale opinione è che lo Statuto non debba mettere neanche una norma di principio, o quanto meno, che esso possa funzionare nello stesso identico modo sia che ci siano sia che non ci siano le norme programmatiche. La sussidiarietà, per esempio, non dev’essere menzionata nello Statuto, e non perché sia una brutta parola, ma perché è una di quelle cose che non si dice ma si fa. Così come non serve a niente mettere nello Statuto la democrazia, la pace ed altri argomenti di principio di questo genere.

Ora, capisco che la mia è una battaglia persa; è ovvio che gli Statuti inizieranno con l’elogio della sussidiarietà, della regione federale, della pace, del benessere, e di questo passo se ne sentiranno venirne fuori di tutti i colori, perché come uno dice benessere, l'altro dice televisione, il terzo dice vita, il quarto dice scuola, e così via. E passeremo dei mesi a litigare sulle parole, come si faceva nell'antica storia d'Europa, arrivando a dare sfogo a tutte le divisioni politiche possibili ed immaginabili su delle parole vuote, dimenticando quella che è la funzione portante degli Statuti. E su questo, come costituzionalista, vorrei intrattenermi brevemente.

Gli Statuti sono, nel loro piccolo, delle costituzioni, sono un capitolo, in sedicesimo, della storia delle Costituzioni. La storia delle Costituzioni ha un suo senso: tutti coloro che hanno scritto Costituzioni, compresi i nostri Padri costituenti, ma a partire dai Padri Pellegrini americani in poi, hanno scritto le Costituzioni guardando al passato, individuando i problemi che avevano avuto, e cercando di dare risposte a questi problemi mettendo dei paletti: perché il senso delle Costituzioni, ma anche il senso delle leggi, è quello di abbassare il contenzioso, prevenire i conflitti.

Massimo Carli prima diceva che abbiamo delle leggi che producono contenzioso, ed invitava a non fare degli altri Statuti che producono ancora del contenzioso. Gli Statuti regionali degli anni '70 hanno prodotto contenzioso, e non sto io a spiegare a chi sta nel Consiglio regionale il contenzioso tra la Giunta e la Regione su infiniti punti: dalle nomine, ai regolamenti mascherati da delibere di Giunta, alle funzioni degli assessori, e così via.

Ora, secondo me, bisogna avere la modestia di affrontare la scrittura degli Statuti non pensando alle in termini di guerra di religione, discutendo sulla "sussidiarietà verticale", "orizzontale" o "obliqua", un argomento che poi non importa niente a nessuno: perché gli Statuti non vengono letti dal popolo, non sono una cosa che la popolazione della regione sta aspettando con ansia e che, la sera, invece di guardare la televisione, il papà, seduto accanto al focolare, leggerà e spiegherà, con commozione, al bambino ignaro. Non è così, e sarebbe anche immodesto pensare che lo sia. Gli Statuti, secondo me, dovrebbero essere scritti con modestia, come se fossero scritti dall’elettricista o dall'idraulico, che sta pensando a come mettere le tubature, perché l'acqua possa scorrere ubbidendo alle leggi fisiche: perché anche la politica istituzionale risponde, più o meno, a leggi fisiche.

Leggi fisiche di che tipo? Credo che Massimo Carli abbia già posto alcune idee di fondo su questo. Ha detto delle cose secondo me molto importanti riguardo a che cosa serve la legge e riguardo a quali sono i vincoli che il legislatore deve porsi per svolgere le sue funzioni legislative. Ha detto delle cose importanti su quella che è l’ovvia crisi della funzione legislativa regionali che avremo davanti. Attenzione: secondo me, anche per quanto riguarda la legge regionale si sta verificando un drammatico scollamento dell'apparato politico regionale dall'apparato sociale. Infatti, se diciamo agli operatori che in futuro avremo meno leggi regionali, questi innalzeranno un sorriso di soddisfazione, perché le leggi regionali sono una sciagura per chi lavora, in quanto sono fatte male, sono troppe, sono contraddittorie, e così via.

L'idea che il Consiglio regionale - ma anche il Parlamento, perché da questo punto di vista vale lo stesso ragionamento - abbia come suo compito quello di fare le leggi, è un'idea ottocentesca. Ma nell'ottocento era un'idea moderna, intelligente; oggi, invece, è un'idea sbagliata, superata. Per cui, la perdita di funzioni legislative, che sarà vista dalla società degli operatori economici come una vera fortuna, va capita e valorizzata. Va valorizzata nel senso che, secondo me, al Consiglio regionale farà bene occuparsi di meno delle leggi. E si occuperà di meno delle leggi perché avrà comunque di fronte il problema di un potere regolamentare che, con ogni probabilità, sarà riconosciuto dall’esecutivo - salvo che il Consiglio non decida nello Statuto di restaurare la sua preminenza regolamentare, sbagliando, ovviamente - e l'esecutivo farà tanti più Regolamenti quanto più sarà difficile fare le leggi. Questa mi pare una regola di fisica; possiamo abbozzare un teorema: i Regolamenti dell'esecutivo saranno tanto più numerosi quanto più difficile sarà il procedimento legislativo. Il che vuol dire che un Consiglio regionale che non vuole perdere potere legislativo dovrebbe riuscire a costruire un procedimento legislativo concorrenziale con quello regolamentare. Mi pare che sia una bella regola di fisica istituzionale, anche abbastanza comprensibile. Come poi la si attui è un altro problema.

2. Due parole sul potere legislativo, e poi passerò al punto che mi è stato affidato, cioè quello del controllo politico.

Personalmente sono dell'idea di essere piuttosto drastici sulla questione del potere legislativo, perché temo moltissimo che su questo aspetto si apra una permanente e talvolta anche clamorosa contraddizione tra Consiglio e Presidente della Giunta (parlo del Presidente della Giunta perché non do per scontato che esista la Giunta, in quanto questa è un'opzione che deve scegliere lo Statuto; probabilmente ci sarà, ma non è detto, e soprattutto non è detto che funzioni sia chiamata a ricoprire). Infatti, non possiamo immaginare che uno Statuto coerente, scritto con la buona cura dell'idraulico, abbia due organi normativi che fanno le stesse cose. E in effetti farebbero le stesse cose, perché, a parte il bilancio, le rare leggi innovative, e poco altro, il Regolamento e la legge sono concorrenziali. Lo spiegava prima Massimo Carli: il principio di legalità, nelle Regioni, è diverso da quello che c’è a livello statale. Già a livello statale abbiamo visto che, con una pratica secondo me abusiva, il Governo sta regolamentando - "delegificando" dice lui - materie legislative; il che segnala che c'è una certa osmosi tra i due strumenti. Ma a livello regionale quest'osmosi è quasi totale, perché il fondamento di legalità dell'azione amministrativa, in Regione, è sì la legge regionale, ma questa è solo al terzo posto, perché prima c'è la disciplina comunitaria e poi la legge statale. Per cui, l'esecutivo può attaccare il suo Regolamento direttamente alla legge dello Stato, il che vuol dire che ogni volta che c’è un'innovazione legislativa da parte della Comunità o dello Stato, l'esecutivo, con un Regolamento, potrà attuarla in Regione senza coinvolgere il Consiglio.

Certo, è un comportamento poco fair, ma questo vi spiega come sia potenziale un conflitto strutturale su chi ha il potere normativo, e come sia indispensabile che chi scrive lo Statuto dimentichi la pace e la sussidiarietà, e pensi invece a risolvere questo problema, cioè a creare un paletto che impedisca che quel contrasto che è rimasto per tutti questi anni sopito (la Giunta che fa atti amministrativi esterni e così via) diventi clamoroso e strutturale. Secondo me questo lo si può fare soltanto con un’operazione molto coraggiosa, del tutto innovativa in Italia, che è quella di scrivere nello Statuto riserve di legge e riserve di Regolamento. Con tutta la serie di problemi che ciò si porta dietro, per esempio chi abbia la competenza residuale, cioè a chi spetti la funzione normativa per quanto riguarda le materie non elencate: la legge o il Regolamento? Secondo me, per esempio, è inevitabile, in base anche alla forma di governo che esce più o meno delineata, con alcune variabili, che il Presidente della Giunta, responsabile dell'azione amministrativa, abbia completa libertà di strutturare i procedimenti amministrativi: sia lui che risponde della velocità dell'azione amministrativa, disegni lui i procedimenti, ripartisca lui le competenze. Ma questo significa che di queste cose non debba occuparsi la legge. Nessuna legge regionale, secondo me, deve prevedere procedure amministrative. Ci sarà una legge quadro sul procedimento, e va bene: la competenza delle norme generali sul procedimento amministrativo sarà riservata ad una legge. Ma chi fa che cosa, quali sono le autorità che rilasciano autorizzazioni o eroga i contributi, la legge non lo deve dire, perché rientra nella competenza del Presidente.

Voi capite che questa è un’affermazione piuttosto forte, piuttosto inedita nel panorama storico italiano, ma che risolve alla radice una serie di contrasti che sono diventati evidenti. Infatti, se io Presidente della Giunta, eletto direttamente, e che rispondo agli elettori della efficienza della "mia" macchina amministrativa, non posso regolare l’alimentazione della macchina amministrativa perché è il Consiglio che fa la legge e che, quindi, può fare una legge che potrebbe inceppare l’amministrazione, allora vengo paralizzato, e quindi sono deresponsabilizzato: questo fa saltare il circuito della responsabilità politica e il senso stesso dell'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale.

Ovviamente questo problema meriterebbe infinita attenzione, valutando caso per caso che cosa attribuire alla legge e che cosa attribuire al Regolamento. E secondo me ne deriverebbe anche un forte alleggerimento del procedimento legislativo, della quantità delle leggi, ma anche un forte rafforzamento del significato di queste leggi. Infatti, non sono per niente convinto - anzi, sono convinto del contrario - che fare molte leggi significhi avere molto prestigio o potere; secondo me, in Italia, le molte leggi che si fanno sono la proiezione di una classe politica debole, che cura più l'interesse particolare - il quale, essendo particolare, richiede molti leggi - piuttosto che l'interesse generale, che, essendo generale, richiede invece poche leggi. E questo è un altro teorema della fisica istituzionale.

3. Ora, la frustrazione comune che ha messo in crisi i Consigli comunali è dovuta all'opinione che la perdita di potere normativo sia perdita secca di potere, non recuperabile in altro modo: cioè che i Consigli, perdendo qualche pezzo della funzione legislativa, perdano qualche pezzo della propria autorevolezza e della propria funzione. Sono convinto dell'opposto. Lo diceva prima Massimo Carli: la legge è un pezzetto, un segmento delle politiche pubbliche. Ma chi cura gli altri segmenti delle politiche pubbliche? E’ questa la domanda che ci dobbiamo porre.

Da un lato, il Presidente della Giunta, nella sua funzione di rappresentanza della Regione, di rappresentanza di interessi regionali, dovrebbe farsi carico di molti di questi segmenti di politiche pubbliche. A me piacerebbe un Presidente che stesse pochissimo nel suo ufficio e viaggiasse moltissimo, perché penso che la comunità regionale, come sistema economico e sociale, abbia bisogno di un suo interprete, e che una della funzioni della Regione sia proprio questa, poiché le regioni economiche, i sistemi economici hanno bisogno di una autorevole rappresentanza politica dei loro interesse. Per cui, da questo punto di vista, una parte delle politiche pubbliche va messa in capo al Presidente della Giunta, mentre il resto rimane nei meccanismi della rappresentanza.

Ora, se la legge, vista dal punto di vista esterno del politologo e del sociologo, è un piccolo pezzo nella decisione delle politiche pubbliche, il fatto che questo piccolo pezzo si restringa in fin dei conti non muta di molto il ruolo di chi fa le leggi nel sistema. Bisogna riuscire anche a capire come si recupera, come il Consiglio regionale, che vede restringersi questo segmento, possa riuscire a recuperare tanta parte del percorso delle politiche pubbliche. E questo, guarda caso, significa: indirizzo, controllo e - uso una parola che è diventata da anni poco pronunciabile, e che a me non piace affatto, mi piace ancora meno di "sussidiarietà" - partecipazione.

Cosa vuol dire controllo politico? Anche su questo viviamo in un equivoco, un equivoco da cui sarà molto difficile uscire. Pensate soltanto a questo: i Regolamenti dei Consigli regionali, dei Consigli comunali, dei Consigli provinciali non sono che dei calchi del Regolamento delle Camere, mentre il Regolamento delle Camere attuale è un calco del Regolamento delle Camere sabaude. Ossia: c’è un’assoluta continuità tra il Regolamento del Parlamento del Regno di Sardegna e il Regolamento delle nostre attuali assemblee elettive. Non vi sembra un po’ strano? Non vi sembra un po' strano che i Regolamenti che regolano e disciplinano la vita politica all'interno delle assemblee elettive non abbiano mutato le forme essenziali dell'essere assemblea elettiva in tutto questo periodo?

Per di più, sono tutti Regolamenti che fotografano con assoluta linearità quella che è la tradizionale, ancora una volta ottocentesca, forma di governo parlamentare, cioè una forma di governo in cui il Governo è in Parlamento, in cui c'è il rapporto di fiducia, in cui c'è una maggioranza ed un’opposizione più o meno ben definite - anche se poi non è così - in cui c'è un controllo e un’ispezione politica, in cui il deputato fa interrogazioni ed interpellanze, in cui l'assemblea fa una mozione o un ordine del giorno o una risoluzione. E questo continua ad avvenire da 140 anni.

Questa assemblea, poi, pretende di avere all'esterno una visibilità ed un’autorevolezza tale da essere interprete del corpo sociale. All'interno ha un Regolamento che è vecchio di qualche secolo, mentre all'esterno deve seguire i mondi e la comunicazione politica attuali, e secondo me questo è un distacco assolutamente incolmabile.

Per di più, l'assemblea, oggi, si trova in una forma di governo che è difficile da definire, su cui la dottrina si dividerà in molte piacevoli discussioni del tipo: è più parlamentare, è più correttivo del parlamentare, è post-parlamentare, è pre-presidenziale, e sciocchezze del genere. Ma è chiaramente una forma di governo che non è più quella su cui si è impiantata la nostra tradizione dei Regolamenti interni. Per cui, sembra del tutto ovvio che il Consiglio regionale di oggi dovrà scriversi un Regolamento che sia di rottura netta con il passato.

Sto parlando del Regolamento, non dello Statuto, ma non a caso, perché nel Regolamento si verifica nei meccanismi concreti quello che è delineato in principio nello Statuto. Anzi, io sono dell'idea che sarebbe molto prudente e molto saggio scrivere il Regolamento e lo Statuto insieme, anche perché l'accordo politico è unico, ed anche per non fare una sciocchezza che temo tantissimo: quella di trasferire nello Statuto ciò che andrebbe messo nel Regolamento. Infatti, lo Statuto sarà "fatto di pietra", sarà ancora più solido di quanto non fossero le Tavole di Mosé, sarà difficilissimo cambiarlo, per cui temo che nello Statuto si scriva qualcosa di compromettente. C'è una Regione che ha scritto in Statuto il numero delle commissioni consiliari permanenti, e dunque, per istituirne una nuova che segua la riforma dello Statuto, deve modificare lo Statuto: questo è un suicidio! Stiamo attenti a quello che si scrivere nello Statuto. Bisogna scrivere il meno possibile, l'essenziale, i paletti.

4. Quali sono questi paletti per quanto riguarda il segmento del controllo dell'ispezione dell’indirizzo politico? Proviamo a toccare alcuni nodi. Le nomine. Tradizionalmente le nomine sono divise tra Consiglio e Giunta, e sono state un terreno di costante tensione tra i due organi. Credo che il Presidente della Giunta rivendicherà per sé le nomine, e ritengo che abbia ragione, che lo Statuto debba riconoscerli ampi poteri in proposito, salvo per le nomine di rappresentanza dell'intero Ente: anche qui è necessario che lo Statuto indichi con chiarezza i criteri del riparto

Il fatto che il Presidente della Giunta decida larga parte delle nomine non significa affatto però che il Consiglio sia stato estromesso. Infatti, le nomine, negli Stati Uniti, le fa il Presidente degli Stati Uniti, ma sappiamo che le nomine presidenziali sono sottoposte ad uno screening del Senato che è feroce: va a vedere che cosa faceva il candidato trent’anni prima nello sgabuzzino delle scope con lo spinello e la segretaria. Dopo di che, siccome il candidato nega di avere fatto tutto quello che gli viene attribuito, vanno a verificare i testimoni, e se scoprono che effettivamente l'ha fatto, gli dicono: "tu sei un mentitore, non potrai ricoprire questa carica". Gli Stati Uniti, alcune volte, sono un po’ "strani" per noi, ma che ci sia uno screening rigoroso del Consiglio sulle nomine che fa il Presidente secondo me è assolutamente fondamentale, e dà senso al ruolo del Consiglio, che è un ruolo legato alla difesa dell'interesse generale: chi deve ricoprire ruoli importanti nell'amministrazione regionale dev’essere passato ai raggi x. Oggi i candidati sono passati ai raggi x? No, oggi le nomine sono fatte senza nessun controllo, se non del rispetto del Manuale Cencelli: il che vuole dire che il Consiglio ha da tempo abdicato ad una delle sue funzioni fondamentali. Se le faccia pure il Presidente della Giunta le nomine, ma sappia che i suoi candidati verranno passati ai raggi, e che, se verrà trovato qualcosa, il candidato non potrà andare avanti. Non mi pare una cosa da poco, né una perdita di potere: anzi sarebbe un potere che serve, serve non solo la politica, ma l'interesse generale. Ed è un potere da regolare con attenzione, stabilendo, per esempio, come si esce delle situazioni di contrapposizione.

Il problema del controllo sull'amministrazione. Io sono dell'idea che l'amministrazione debba sparire dagli oggetti che il Consiglio disciplina, e cioè che quel punto ancora lasciato in ombra, cui accennava Massimo Carli, sulle eventuali funzioni residuali amministrative del Consiglio, vada risolto nel senso che i Consigli non abbiano più nessuna interferenza nell’amministrazione. Questo perché la tradizione, che abbiamo avuto a livello parlamentare e a livello regionale, dei legami di settore tra Commissioni parlamentari e strutture ministeriali, è stata uno dei più potenti canali di corporativizzazione della politica italiana. Infatti, il Ministro che tratta con i sindacati e con le associazioni professionali, e va in Consiglio dei Ministri dicendo che l'accordo è fatto, salta il momento collegiale del Consiglio dei Ministri; poi va in Commissione, dove trova i deputati, che sono, in realtà, i rappresentanti dei sindacati e delle associazioni dei professionisti, dicendo: "cari ragazzi, abbiamo già raggiunto l’accordo", e così salta la mediazione del Parlamento. Questa è una delle cause della settorializzazione della legislazione italiana, della sistematica prevalenza dell'interesse particolare su quello generale, dell'aumento del debito pubblico, e così via. Per cui, direi che è bene che il Consiglio rinunci a qualsiasi residuo di funzione amministrativa diretta più o meno mascherata.

Ma anche in questo caso deve potenziare le funzioni di controllo. E questa è una questione delicata, perché funzione di controllo significa poter rivedere le carte, poter sentire i responsabili, insomma, fare delle indagini. Sono funzioni classiche, ma sono funzione classicamente abortite, in Italia, per il gioco maggioranza/opposizione: a partire dalle Commissioni parlamentari d'inchiesta, che l'art. 82 della Costituzione affossa, imponendo il criterio della composizione proporzionale. Il Parlamento, con questo sistema, ha fatto delle Commissioni d’inchiesta degli organi importanti per altri scopi, ma che non servono per svolgere un controllo efficiente sull'amministrazione. Il controllo sull'amministrazione, infatti, è una questione tipicamente bipartitica, nel senso che è una funzione che svolge il Consiglio in quanto organo contrapposto alla Giunta; e noi dobbiamo accettare che il Consiglio sia un organo in qualche modo diverso e contrapposto alla Giunta. La sua funzione, con un Presidente della Giunta regionale eletto direttamente, che dispone di autonomi poteri regolamentari, che regola la macchina amministrativa, la sua funzione non sarà più quella del passato, di supporto dell'esecutivo tramite la "continuità" tra maggioranza consiliare e esecutivo. Così come il Presidente ha ruolo (e investitura) autonomi, anche il Consiglio dovrà averlo. Perderà pezzetti di quel segmento delle politiche pubbliche che si chiama "legge", ma deve acquistare il segmento delle politiche pubbliche che si chiama "controllo", tra cui il controllo sui risultato delle leggi.

I Regolamenti. Io non sarei tenero su questo; se fossi lo scrittore di uno Statuto, direi che i Regolamenti spariscono dal Consiglio regionale e vanno in capo all'esecutivo. Questo non significa affatto però che il Consiglio perda qualsiasi ingerenza sui Regolamenti, nel senso che il Consiglio può trattenersi, almeno su alcuni Regolamenti - che devono essere definiti con attenzione e chiarezza nello Statuto - un parere. E’ un po' il parere che gli organi parlamentari hanno sui Regolamenti delegati di semplificazione o sui decreti delegati. L'importante è che questo parere non blocchi per sempre l'azione dell'esecutivo, per cui si devono stabilire dei tempi certi e così via. Anche questi sono paletti che vanno messi in Statuto.

Vorrei poi affrontare ancora due nodi: uno è la partecipazione, l'altro riguarda le strutture.

La partecipazione è uno dei capitoli di maggior fallimento delle Regioni. D'altra parte, se vi riguardate gli Statuti degli anni ’70, vedrete che la partecipazione era decantata nell'art. 1, declamate nell'art. 2 e esaltata nell'art. 3: ma poi, dal punto di vista delle norme che strutturavano questo obiettivo di legislazione, cioè dal punto di vista degli strumenti fatti per realizzare quel fine, tutto si riduceva a cose minime, vale a dire la petizione, l'iniziativa popolare, le audizioni qualche volta, il referendum. Tutti strumenti che risalgono anch'essi all’800.

Ma noi siamo nel 2000, e spero che tutti si siano resi conto che gli strumenti vanno cambiati, che la partecipazione non è più codificata secondo queste forme proprie di una società che non ci appartiene più. Esiste la comunicazione politica, esiste Bruno Vespa che alla televisione fa "Porta a Porta". Perché invece il Consiglio regionale fa interrogazioni ed interpellanze alla Giunta, e offre petizioni e proposte alla comunicazione che viene dal popolo? Bruno Vespa "partecipa" più dei Consigli regionali, ed è anche più "partecipato". Non sto dicendo di fare di Bruno Vespa un simbolo della futura partecipazione dei Consigli regionali, ma di pensare seriamente a che cosa sia la comunicazione politica, di pensare seriamente come il Consiglio possa strutturarsi per avere una comunicazione attiva e passiva con l'esterno, come possa venire a conoscere le cose dell'esterno e come possa comunicare all'esterno le cose che fa. Mi sembra un problema interessante e di grande rilevanza; certamente non da mettere nello Statuto, perché questo significherebbe pietrificare un argomento che si modifica di anno in anno, ma bisogna comunque incominciare a pensare di creare delle strutture, delle modalità nuove, che secondo me, in Italia, ancora non esistono.

Perché da noi non si capisce il significato di certe prassi? Penso, per esempio, al "question time", introdotto alle Camere e in qualche Consiglio regionale non di recente, anche se solo un po' alla volta si sta affermando. Il "question time" è una spettacolarizzazione della Politica che "toglie l’erba" sotto quelle forme vecchie ed anche un po' stupide che erano le interrogazioni e le interpellanze. "Question time" significa che il Presidente della Giunta, ad una certa ora di un certo giorno fisso della settimana, si siede e per un'ora risponde a domande di trenta secondi con risposte che non superano i tre minuti, con diritto di replica. E’ un formato televisivo, come si vede. Se questa cosa, invece che alle 9.00 della mattina in Consiglio regionale, fosse fatta alle 8.00 di sera con il Consiglio regionale collegato con la televisione, forse sarebbe anche uno spettacolo interessante, seguito dalle famiglie che vi vedono discussi i loro problemi, in grado di avvicinare i Palazzi della Regione alla gente. Partecipazione, appunto, a parte il dato spettacolare della cosa. O è invece partecipazione il fatto di garantire che se il Consigliere regionale fa un'interrogazione o un'interpellanza, il Presidente gli risponderà in Commissione entro trenta giorni? Trenta giorni da una comunicazione politica, oggi come oggi, sono una follia! Le carestie duravano a lungo, anni, i nostri problemi politici invece si bruciano in pochi giorni, se non in poche ore. E invece vediamo ancora che ci sono queste prassi lunghissime, mascherate, codificate, paludate. Tutto questo finisce per affossare il senso della partecipazione! Allora diventa ridicolo mettere nella parte introduttiva dello Statuto tutta una serie di norme sulla partecipazione politica e l'apertura della Regione al mondo (già, ci risparmieranno gli Statuti qualche accenno alla globalizzazione?), se poi non creiamo degli strumenti per realizzare veramente quello che promettiamo. Non dico che questi strumenti debbano necessariamente essere scritti in Statuto; dico che chi scrive lo Statuto deve tenere a mente che questa è una parte che se non nello Statuto va messa nei Regolamenti consiliari, coprendoli comunque con qualche norma di previsione statutaria.

Concludo con l’argomento più evidente: le strutture operative. Abbiamo dei Consigli e delle assemblee parlamentari che sono poco strutturati; ovvero: sono molto strutturati ma male strutturati, vale a dire che ci sono molte persone ma poche strutture operative. Oggi questo produce essenzialmente lo scadimento del ruolo delle assemblee elettive. Il ruolo delle assemblee elettive implica anche costi e strutture. Come si conoscono i problemi? Torniamo alla questione della parabola delle politiche pubbliche: abbiamo parlato del segmento della legge; e il resto? Come viene a conoscere il Consiglio regionale che cosa è successo nella specifica politica pubblica, quali sono le conseguenze delle applicazioni delle leggi e degli atti del Presidente, quali sono le conseguenze delle sue sofferte decisioni? Solo attraverso i poteri forti, che, con un’operazione di lobby, che poi sono audizioni e telefonate, dicono: "guarda che la legge va male". Ma vi pare che sia questo il modo con cui un'assemblea può esprimere il suo ruolo? Secondo me, no.

Allora è necessario un grosso investimento, anche finanziario, e tecnologico, per avere degli uffici di staff in Consiglio che siano in grado di conoscere dati, elaborarli e portarli a cognizione della maggioranza e dell'opposizione. E questa è una strumentazione che implica smettere quella prassi di portarsi in Consiglio regionale i portaborse e i politici decotti, e mettere delle persone che siano in grado di fare il loro lavoro ad un elevato standard di professionalità. Non farlo per questo o per quel partito, ma per l'istituzione. Non ci fasciamo la testa, dunque, sul fatto che il Consiglio regionale perderà potere legislativo, perché, anche se ci fasciamo la testa, lo perderà comunque. Rendiamoci conto, invece, che ci sono risorse che possono essere governate e sono risorse importanti: che fare le leggi poche volte è davvero importante, per lo più è inutile; ma vedere il risultato delle leggi e dell'azione amministrativa è invece indispensabile, significa aprirsi al mondo reale, sentire le reazione della gente, conoscere i dati e i fenomeni, capire cosa funziona e cosa no nell'azione della Regione, far valere le responsabilità dell'esecutivo e dei vertici dell'amministrazione a ragion veduta, predisporre i correttivi, reinnestare la politica.

L'unica cattiveria che riesco a dire a Massimo Carli è che ciò che ha detto sul ruolo del Consiglio regionale e i poteri deboli mi ricorda i consigli parrocchiali, mi da un senso di povertà francescana, di pomeriggi passati con il calcetto e le luci spente. E’ un’idea che francamente non mi sembra appropriata. Siamo in un'era tecnologica, e penso che il Consiglio regionale debba essere una struttura che vive in questa epoca; altro che poteri deboli! Certo, bisogna conoscere anche i poteri deboli, ma questo è un problema, secondo me, di conoscenza degli effetti delle politiche, ed è un problema estremamente serio.

Invece, secondo me, non è un problema serio il sistema elettorale. Carli terminava con il dimostrare la sua simpatia per il sistema proporzionale. Forse lui non lo crederà, ma io queste cose le ho dette a più di un seminario circa sette o otto anni fa, quando andava molto di moda il sistema maggioritario. Non perché mi piaccia il proporzionale, ma perché proporzionale e maggioritario mi dicono poco, sono etichette che vanno riempite di tanti particolari decisivi; e poi perché non do per scontato che ci sia un sistema maggioritario a livello regionale. E’ un aspetto su cui riflettere, ma direi che non è il punto di partenza, bensì il punto di arrivo della riflessione. Se dovessimo tracciare la tempistica, direi che una volta che si è scritto lo Statuto regionale e si sono scritti i Regolamenti consiliari (cioè una volta che si è capito che cosa fa il Consiglio, su quali aspetti punta e come li struttura), si può finalmente parlare del sistema elettorale, e si può anche arrivare a dire che va bene il proporzionale. Però, attenzione: "va bene il proporzionale" significa fare un Consiglio che è spaiato rispetto alla Giunta. Può andare benissimo, ma questo significa diverse cose: significa suturare i rapporti tra Giunta e Consiglio, significa che la Giunta dev’essere in grado di lavorare senza Consiglio. Lo vogliamo fare? E’ indifferente dal mio punto di vista, si potrebbe anche fare. Però ci sono ancora delle regole di fisica giuridica: non possiamo avere una Giunta regionale forte, eletta direttamente, con il suo bel motore Ferrari, e poi imbrigliarlo in una carrozzeria da camioncino del latte, perché il sistema si spaccherebbe, non funzionerebbe. Non possiamo creare un Consiglio arcobaleno, in cui, sì, teoricamente la Giunta ha il 60% dei voti, ma di fatto è un 60% che è sparso tra tutti i colori del mondo, un Consiglio Benetton, in cui prima che si riesca a raggiungere un accordo in Commissione passano tre mesi. Non lo possiamo fare, se poi dalla decisione di quella Commissione dipende l'azione amministrativa decisa dal Presidente della Giunta regionale.

Allora, il sistema proporzionale può andare benissimo, ma solo se facciamo un passo forte verso una strutturazione di tipo presidenziale della Giunta. Per me è indifferente, nel senso che quello che secondo me è fondamentale - parlo come tecnico, evidentemente - è che alla fine le somme tornino. E’ un problema di equilibrio, di coerenza del sistema. Ed è proprio questo il compito dello Statuto: assicurare la coerenza del sistema. Quale sia il sistema, tutto sommato, per l'idraulico, è indifferente: e l'architetto che decide la forma della casa; però dev’essere un sistema che funziona, che sta in piedi, dove le finestre chiudano e in cui ci sia un’entrata e un’uscita dell’acqua. Dove passano i tubi, non è poi importante.