Prefazione

 

Before the Next Attack è un libro molto discusso, da una parte e dall’altra dell’Atlantico. L’autore è un insigne costituzionalista che insegna a Yale: da alcuni anni è impegnato a riscrivere la storia delle trasformazioni che, attraverso le generazioni, il popolo americano e le sue istituzioni hanno prodotto nella loro costituzione senza ricorrere alle procedure formali per emendarla, procedure che sono estremamente difficili da concludere. Un problema che riaffiora, come vedremo, in questo libro ed anzi ne domina una parte non trascurabile.

I motivi per cui il libro di Ackerman ha stimolato molte discussioni è presto detto. Esso si occupa della risposta che le istituzioni devono dare al terrorismo, ma si stacca nettamente dalla ormai vastissima letteratura che sul tema si è formata dopo l’11 settembre 2001. Egli non si preoccupa tanto di discutere del tema presente, ossia di quali siano i poteri presidenziali in un momento di grave emergenza, ma guarda al futuro. Lo shock dell’11 settembre, sostiene Ackerman, dovrebbe renderci consapevoli di quale pericolo inedito corrano le istituzioni democratiche e costituzionali nell’ipotesi di ulteriori, devastanti attacchi del terrorismo. Ciò che soprattutto lo preoccupa è l’insidia rappresentata dalla possibilità che più attacchi terroristici si succedano a breve distanza di tempo: essi provocherebbero il panico nella popolazione e la sfiducia nella capacità delle istituzioni democratiche di far fronte al pericolo; ma anche una reazione incontrollata dei politici, indotti a seguire gli impulsi emotivi e forse di approfittarne, sino al punto di comprimere fortemente e stabilmente le garanzie dei diritti costituzionali.

Il fatto è che giudizio di Ackerman nei confronti del popolo e dei suoi rappresentanti non è certo troppo ottimistico, e non si può proprio dargli torto. L’esperienza del dopo 11 settembre parla da sé. Specie, ma non soltanto, nei paesi anglosassoni la reazione è stata drastica ed effettivamente pericolosa. Il Patriot Act voluto da Bush, ma approvato da una vastissima maggioranza (al Senato ha ottenuto il 98% dei consensi, alla Camera l’83%!) e stato subito seguito da un’ondata di leggi per l’emergenza: dal Canada, dal Regno Unito, dalla Francia, dalla Germania, pressoché tutti i paesi occidentali si sono dotati di una legislazione repressiva; altrettanto hanno fatto gli organismi internazionali, dall’Onu al Consiglio d’Europa e alla Unione europea. Sospensione o forte restrizione dei diritti degli stranieri si sono accompagnate a deroghe gravissime alle regole processuali, che hanno ridotto la pubblicità dei processi, contratto le garanzie della difesa nell’acquisizione delle prove e alla loro contestabilità, introdotto eccezioni alla giurisdizione ordinaria, rafforzato le misure di prevenzione. Nel contempo notizie trapelate hanno scoperchiato operazioni di intelligence condotte in stati che pure si sono mostrati più restii ad adottare misure di eccezione dell’ordine costituzionale: interventi illegali che di fatto lasciano la mano pressoché libera ad attività di polizia non rispettose né della sovranità degli stati né delle maglie imposte dai loro ordinamenti legali (in Italia l’episodio più noto è il c.d. “caso Abu Omar”). Di diritto o di fatto il livello di tutela effettiva dei diritti e delle libertà costituzionali si è abbassato, più o meno sensibilmente, man mano che gli stati hanno avvertito l’urgenza di trovare strumenti adeguati al pericolo.

Ma purtroppo – e su questo Ackerman insiste con forza – non esistono strumenti adeguati a garantire la sicurezza dei cittadini contro gli attacchi  terroristici: come è stato giustamente osservato, “lo stato, che pone la sicurezza come suo compito prioritario, fa una promessa che non potrà mantenere a sufficienza, ma che lo pungola permanentemente a nuove attività[1]. Ma il bisogno di agire e reagire è troppo forte, e i governi democratici sentono l’esigenza di rispondere all’allarme sociale. Perciò in periodi di crisi si è portati a sovrastimare il bisogno di sicurezza a scapito del valore della liberta[2], salvo poi scoprire, passata l’emergenza, che le deroghe alle garanzie dei diritti non erano affatto necessarie: ma è un pentimento che dura poco, perché si è pronti a ripetere l’errore di fronte alla crisi successiva[3].

In tutti gli ordinamenti occidentali in cui si è varata una legislazione speciale in reazione al terrorismo internazionale, sono stati i giudici a reagire cercando di limitare l’impatto delle leggi restrittive delle libertà costituzionali. La reazione più efficace si è avuta nel Regno Unito: nel dicembre 2004, i Law Lords, massima autorità giurisdizionale britannica, hanno ritenuto che l’Anti-terrorism, Crime and Security Act 2001 fosse contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nella motivazione formulata da Lord Hoffmann si ritrova un argomento davvero importante, che Ackerman non manca di ricordare: “The real threat to the life of the nation, in the sense of a people living in accordance with its traditional laws and political values, comes not from terrorism but from laws such as these. That is the true measure of what terrorism may achieve[4]. La legislazione speciale d’emergenza diviene dunque non un rimedio contro i terroristi, bensì un premio alla loro strategia. È di grande importanza, perciò, che i giudici reagiscono ostacolando le deroghe più vistose alle garanzie dei diritti, ma – osserva Ackerman – la loro reazione non è di per sé sufficiente. La dura presa di posizione dei Law Lords non è bastata ad evitare che il legislatore britannico, all’indomani degli attacchi alla metropolitana di Londra, riapprovasse una legge (The Prevention of Terrorism Act 2005) non molto più garantista della precedente. In molti altri casi l’atteggiamento dei giudici (e dei giuristi) è poi ispirato, più che da una rigida opposizione alle scelte del legislatore sostenuto dall’opinione pubblica, da una sorta di “strategia della normalizzazione”: si reinterpretano le categorie ordinarie del diritto costituzionale e del diritto penale in modo da estenderle sino a comprendervi le nuove misure repressive, cercando di  “adattare” ad esse il diritto vigente. In effetti è quanto è avvenuto anche in Italia negli anni del terrorismo interno, quando la legislazione di emergenza fu salvata dalle censure di illegittimità proprio estendendo tutte le possibilità offerte da un’interpretazione delle garanzie costituzionali tale da adattarle alle esigenze repressive. Benché allora la Corte costituzionale avesse condizionato la legittimità di quelle norme speciali al loro carattere provvisorio, strettamente correlato al pericolo effettivo e attuale rappresentato dal terrorismo, non c’è dubbio che le lacerazioni prodotte nell’ordinamento da queste forzature abbiano mantenuto più blandi i vincoli imposti dalla costituzione al legislatore ordinario. Anche in Italia, davanti ad una minaccia terroristica certo non comparabile con i rischi collegati al terrorismo internazionale, la situazione di pericolo è precipitata con tutto il suo peso sulla bilancia che soppesa i limiti e le garanzie dei diritti fondamentali.

Proprio questo è il timore che sollecita Ackerman a elaborare un’ipotesi di legislazione quadro che limiti il rischio di uno scivolamento senza ritorno verso la concentrazione di poteri abnormi nelle mani del Presidente e verso la simmetrica compressione delle garanzie costituzionali degli individui. Cosa accadrebbe – si chiede – se fosse nuovamente compiuto un attentato di gravità paragonabile o superiore a quello dell’11 settembre e questo fosse poi a breve seguito da ulteriori attentati altrettanto gravi? Cosa accadrebbe poi se le stesse istituzioni costituzionali – il Presidente e il suo Vice, il Congresso, la Corte suprema – restassero vittima di tali attentati? Di quali tentazioni autoritarie potrebbe cadere vittime i cittadini e i loro rappresentanti politici? E come potrebbe una campagna allarmistica – campagna di cui si è avuto un esempio dopo l’attentato alle Torri gemelle a proposito del rischio di attacchi batteriologici – mantenere sotto pressione l’opinione pubblica stabilizzando lo stato d’emergenza e le sue deroghe all’ordine costituzionale?

Il libro di Ackerman nasce da una seria preoccupazione per gli scenari che potrebbero delinearsi in tali situazioni, scenari che egli descrive con grande efficacia. È un tentativo di offrire una risposta “costruttiva” a questi problemi. Ackerman tenta di tracciare uno “Statuto costituzionale dell’emergenza”, ben consapevole di quanto la letteratura giuridica e filosofica del ‘900 europeo, da Carl Schmitt in poi, abbia riflettuto sul rapporto tra ordinamento costituzionale e stati d’eccezione. Il suo obiettivo è riportare la legislazione d’emergenza entro una cornice di legalità, di sottoporre la reazione emotiva ad una regola che impedisca che l’emergenza diventi a sua volta regola e comporti un danno irreparabile per i diritti fondamentali. Il meccanismo che egli escogita è una “scala mobile” che renda più difficile che l’auto-attribuzione presidenziale di poteri speciali si stabilizzi nel tempo: i poteri possono essere conferiti solo per un periodo breve e ogni rinnovo deve essere approvato dal Congresso con maggioranze via via sempre più elevate.

Naturalmente in Italia e negli altri paesi occidentali uno statuto di questo tipo dovrebbe essere approvato con norma di revisione costituzionale. Ma da noi modificare la costituzione è estremamente semplice (purtroppo, verrebbe da dire), mentre negli Stati uniti è estremamente complicato. Ciò induce Ackerman ad impegnarsi in un discorso tecnico piuttosto complesso (e molto “americano”) per riuscire a dimostrare come anche una legge ordinaria potrebbe agire efficacemente come argine alle eventuali tentazioni di varare una legislazione d’emergenza troppo illiberale. Ma, a parte questa digressione, le sue considerazioni non possono non sollecitare il lettore. La gravità dei pericoli inediti che il terrorismo internazionale può causare alle nostre società; il rischio che gli attacchi terroristici facciano saltare i nervi della popolazione civile e che il potere politico ne resti vittima, facendo mancare il quadro dei comandi, o se ne approfitti, fomentando l’allarme per impossessarsi di poteri eccezionali; la prospettiva di un mondo occidentale che per questa via sia progressivamente indotto a rimangiarsi le proprie conquiste di civiltà e subisca un processo di “imbarbarimento costituzionale”; il bisogno perciò di adeguare le nostre istituzioni e le nostre regole costituzionali per affrontare questi rischi “prima del prossimo attacco: questi temi Ackerman li tratta con grande maestria, con l’intento di provocare una reazione adeguata. Se il suo libro è riuscito a suscitare un dibattito molto acceso,il suo principale obiettivo lo ha pienamente centrato.

 

                                                                                                Roberto Bin



[1] E. DENNINGER, Dallo “Stato di diritto”allo “Stato di prevenzione”, in V. Baldini (a cura di), Sicurezza e stato di diritto: problematiche costituzionali, Cassino, 2005, p. 54.

[2] Cfr. D. COLE, Enemy Aliens, in 54 Stan. L. Rev. 953, 955 (2002).

[3] Come affermava il giudice William J. Brennan, citato da M. TUSHNET, Defending Korematsu?: Reflections on Civil Liberties in Wartime, in Wis. L. Rev. 273 (2003).

[4] Così al par. 97 della sent. UKHL 56 [2004].